La diagnosi è l’etichetta medica che “istituisce” la malattia. Il nome apposto su un insieme di segni e sintomi fino a quel momento irrelati. La diagnosi ha il potere di dare un nome a quello che prima era solo unorganized illness. La diagnosi è il presupposto per essere curati. Senza diagnosi non c’è terapia. La diagnosi permette l’accesso al ruolo di malato. La sociologia della salute si fonda proprio su uno scritto che descrive le caratteristiche del sick role. Si tratta del famoso capitolo 10 de Il sistema sociale di Talcott Parsons. L’assunto che sta alla base dello scritto di Parsons è che «la malattia rende incapaci di assolvere efficacemente i ruoli sociali» (Parsons 1965: 438). In prima istanza, il ruolo produttivo. Per questo motivo «esiste un interesse funzionale della società al suo controllo» (ibidem, p. 439). Il “meccanismo” che il sistema sociale utilizza per far fronte alle malattie dei suoi membri è costituito dalla “professione medica”. Il medico, attraverso la diagnosi, legittima l’esenzione del soggetto, ora soggetto malato, dai suoi compiti produttivi. Il medico riconosce e istituisce il disease: «è il disease ad essere diagnosticato, non l’illness. Questo, piuttosto, è proposto al medico come disease presunto. La trasformazione dell’illness in disease avviene attraverso l’intermediazione del medico e della diagnosi» (Jutel, 2009, p. 287). Vi è una sequenza temporale tipica tra le tre dimensioni della malattia. Il caso paradigmatico, infatti, è quando un guasto organico (disease) dà vita a dei sintomi esperiti dal soggetto come spiacevoli (illness) e questa malattia viene riconosciuta socialmente (sickness). Inoltre, si potrebbe anche dire che al disease afferiscono i segni – ovvero eventi direttamente osservabili al di là della volontà del soggetto: cambiamenti corporei, risultati di laboratorio, ma anche comportamenti aggressivi nei confronti degli altri o di sé stessi (es. tentato suicidio) – mentre, all’illness, i sintomi – ovvero quegli eventi non direttamente osservabili che il soggetto riporta al medico (dolore, debolezza, tristezza...) (Twaddle & Hessler, 1987, p. 127). Potremmo dunque considerare la diagnosi come una forma narrativa che si fonda sull’applicazione di categorie mediche a uno specifico caso empirico. Le narrazioni possono a loro volta essere definite come entità descrittive logicamente interrelate dotate di coerenza interna. La diagnosi, come detto, è il riconoscimento medico della malattia. La diagnosi istituisce il disease e quindi si può configurare anche come un modo per spiegare e dare senso all’illness, ovvero al senso soggettivo di malessere.

A. Maturo (2010). Medicine-Based Narrative: spunti per una sociologia della diagnosi. MILANO : FrancoAngeli Editore.

Medicine-Based Narrative: spunti per una sociologia della diagnosi

MATURO, ANTONIO FRANCESCO
2010

Abstract

La diagnosi è l’etichetta medica che “istituisce” la malattia. Il nome apposto su un insieme di segni e sintomi fino a quel momento irrelati. La diagnosi ha il potere di dare un nome a quello che prima era solo unorganized illness. La diagnosi è il presupposto per essere curati. Senza diagnosi non c’è terapia. La diagnosi permette l’accesso al ruolo di malato. La sociologia della salute si fonda proprio su uno scritto che descrive le caratteristiche del sick role. Si tratta del famoso capitolo 10 de Il sistema sociale di Talcott Parsons. L’assunto che sta alla base dello scritto di Parsons è che «la malattia rende incapaci di assolvere efficacemente i ruoli sociali» (Parsons 1965: 438). In prima istanza, il ruolo produttivo. Per questo motivo «esiste un interesse funzionale della società al suo controllo» (ibidem, p. 439). Il “meccanismo” che il sistema sociale utilizza per far fronte alle malattie dei suoi membri è costituito dalla “professione medica”. Il medico, attraverso la diagnosi, legittima l’esenzione del soggetto, ora soggetto malato, dai suoi compiti produttivi. Il medico riconosce e istituisce il disease: «è il disease ad essere diagnosticato, non l’illness. Questo, piuttosto, è proposto al medico come disease presunto. La trasformazione dell’illness in disease avviene attraverso l’intermediazione del medico e della diagnosi» (Jutel, 2009, p. 287). Vi è una sequenza temporale tipica tra le tre dimensioni della malattia. Il caso paradigmatico, infatti, è quando un guasto organico (disease) dà vita a dei sintomi esperiti dal soggetto come spiacevoli (illness) e questa malattia viene riconosciuta socialmente (sickness). Inoltre, si potrebbe anche dire che al disease afferiscono i segni – ovvero eventi direttamente osservabili al di là della volontà del soggetto: cambiamenti corporei, risultati di laboratorio, ma anche comportamenti aggressivi nei confronti degli altri o di sé stessi (es. tentato suicidio) – mentre, all’illness, i sintomi – ovvero quegli eventi non direttamente osservabili che il soggetto riporta al medico (dolore, debolezza, tristezza...) (Twaddle & Hessler, 1987, p. 127). Potremmo dunque considerare la diagnosi come una forma narrativa che si fonda sull’applicazione di categorie mediche a uno specifico caso empirico. Le narrazioni possono a loro volta essere definite come entità descrittive logicamente interrelate dotate di coerenza interna. La diagnosi, come detto, è il riconoscimento medico della malattia. La diagnosi istituisce il disease e quindi si può configurare anche come un modo per spiegare e dare senso all’illness, ovvero al senso soggettivo di malessere.
2010
La salute tra assetti sociali e organizzazioni sanitarie
163
174
A. Maturo (2010). Medicine-Based Narrative: spunti per una sociologia della diagnosi. MILANO : FrancoAngeli Editore.
A. Maturo
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