La prima parte del Novecento ha fatto da cornice all'approfondirsi della dicotomia fra città residenziale e città di villeggiatura, per effetto della specializzazione funzionale dei centri urbani seguita all’affermazione della rivoluzione industriale: da un lato le città in cui tutto era finalizzato alla produzione o alla riproduzione del lavoro dall’altro quelle incentrate su una visione ludica dello spazio. Le località balneari e montane avevano così acquisito una centralità sino ad allora impensabile nel panorama turistico internazionale. Tuttavia negli anni Sessanta e Settanta profondi cambiamenti nell’economia e nella cultura hanno cominciato ad alterare tali specializzazioni: in primo luogo il maggiore benessere e una diversa concezione della qualità della vita hanno stimolato la riqualificazione delle città industriali; secondariamente la deindustrializzazione ha imposto l’avvio di un processo di riconversione delle attività economiche nonché di re-definizione dell’identità urbana. Nel nuovo contesto la costruzione di un futuro turistico è diventato interessante anche per molte città tradizionalmente industriali. La ri-definizione delle città si è incrociata con la elaborazione di una nuova concezione di heritage incentrata sull'idea di memoria, che in Italia comincia a delinearsi negli anni sessanta del novecento Come è noto la selezione dell'heritage avviene nel presente ed è per questa ragione che tale concetto è cambiato molte volte. Le prime leggi di tutela del patrimonio culturale risalgono al XV secolo e furono opera di alcuni pontefici che vollero proteggere le testimonianze del passato, in particolare gli edifici antichi, anche privati1. Nel 1704 ad essi furono aggiunti gli oggetti archeologici, i libri e i manufatti rari2. La motivazione era legata ad un interesse generale che tali oggetti consentivano di perseguire: “perché essi oltre a contribuire all’erudizione sia sacra sia profana incita gli stranieri a visitare la città con gran vantaggio del pubblico e del privato bene.”3 Da questa visione molto restrittiva di heritage, che limita l'insieme dei beni da proteggere a pochi manufatti, in virtù del loro valore artistico intrensico e della loro dimensione simbolica, si passa nella seconda metà del novecento ad una definizione molto ampia, all'interno della quale trova spazio la conservazione di tutti gli aspetti del passato (arte, economia, socialità). Per usare le parole di Lowenthal: “All’improvviso l’heritage è dappertutto — nei notiziari, nei film, nel mercato — e in tutto, dalla galassie ai geni...... E il punto focale del patriottismo e un richiamo fondamentale del turismo....... Difficilmente ci si muove senza imbattersi nell’heritage. Ogni eredità è protetta. Dalle radici etniche ai parchi storici tematici, da Hollywood all’Olocausto, il mondo intero è occupato a lodare — o lamentare — un qualche passato, sia esso realtà o fiction”4 Nel caso italiano il passaggio cruciale va fatto risalire ai lavori della commissione Franceschini, chiamata nel 1967 a proporre una riforma della legge Bottai, risalente al 1939. Anche se un nuovo codice sui beni culturali vedrà la luce diversi decenni dopo (nel 2004), tale commissione lasciò comunque in eredità una nuova concezione di patrimonio culturale: “Appartengono al patrimonio culturale della Nazione tutti i beni aventi riferimento alla storia della civiltà...Sono assoggettati alla legge i beni di interesse archeologico, storico, artistico, ambientale e paesistico, archivistico e librario, ed ogni altro bene che costituisca testimonianza materiale avente valore di civiltà.” Si apriva così la strada all'invenzione di nuove forme di heritage: il patrimonio industriale, e poi quello balneare, i musei antropologici e quelli della civiltà contadina, ma anche gli itinerari letterari e tante altre cose ancora. Ma anche i centri storici delle città e i piccoli borghi.
P.Battilani (2010). Introduzione. SAN MARINO : Centro sammarinese di studi storici.
Introduzione
BATTILANI, PATRIZIA
2010
Abstract
La prima parte del Novecento ha fatto da cornice all'approfondirsi della dicotomia fra città residenziale e città di villeggiatura, per effetto della specializzazione funzionale dei centri urbani seguita all’affermazione della rivoluzione industriale: da un lato le città in cui tutto era finalizzato alla produzione o alla riproduzione del lavoro dall’altro quelle incentrate su una visione ludica dello spazio. Le località balneari e montane avevano così acquisito una centralità sino ad allora impensabile nel panorama turistico internazionale. Tuttavia negli anni Sessanta e Settanta profondi cambiamenti nell’economia e nella cultura hanno cominciato ad alterare tali specializzazioni: in primo luogo il maggiore benessere e una diversa concezione della qualità della vita hanno stimolato la riqualificazione delle città industriali; secondariamente la deindustrializzazione ha imposto l’avvio di un processo di riconversione delle attività economiche nonché di re-definizione dell’identità urbana. Nel nuovo contesto la costruzione di un futuro turistico è diventato interessante anche per molte città tradizionalmente industriali. La ri-definizione delle città si è incrociata con la elaborazione di una nuova concezione di heritage incentrata sull'idea di memoria, che in Italia comincia a delinearsi negli anni sessanta del novecento Come è noto la selezione dell'heritage avviene nel presente ed è per questa ragione che tale concetto è cambiato molte volte. Le prime leggi di tutela del patrimonio culturale risalgono al XV secolo e furono opera di alcuni pontefici che vollero proteggere le testimonianze del passato, in particolare gli edifici antichi, anche privati1. Nel 1704 ad essi furono aggiunti gli oggetti archeologici, i libri e i manufatti rari2. La motivazione era legata ad un interesse generale che tali oggetti consentivano di perseguire: “perché essi oltre a contribuire all’erudizione sia sacra sia profana incita gli stranieri a visitare la città con gran vantaggio del pubblico e del privato bene.”3 Da questa visione molto restrittiva di heritage, che limita l'insieme dei beni da proteggere a pochi manufatti, in virtù del loro valore artistico intrensico e della loro dimensione simbolica, si passa nella seconda metà del novecento ad una definizione molto ampia, all'interno della quale trova spazio la conservazione di tutti gli aspetti del passato (arte, economia, socialità). Per usare le parole di Lowenthal: “All’improvviso l’heritage è dappertutto — nei notiziari, nei film, nel mercato — e in tutto, dalla galassie ai geni...... E il punto focale del patriottismo e un richiamo fondamentale del turismo....... Difficilmente ci si muove senza imbattersi nell’heritage. Ogni eredità è protetta. Dalle radici etniche ai parchi storici tematici, da Hollywood all’Olocausto, il mondo intero è occupato a lodare — o lamentare — un qualche passato, sia esso realtà o fiction”4 Nel caso italiano il passaggio cruciale va fatto risalire ai lavori della commissione Franceschini, chiamata nel 1967 a proporre una riforma della legge Bottai, risalente al 1939. Anche se un nuovo codice sui beni culturali vedrà la luce diversi decenni dopo (nel 2004), tale commissione lasciò comunque in eredità una nuova concezione di patrimonio culturale: “Appartengono al patrimonio culturale della Nazione tutti i beni aventi riferimento alla storia della civiltà...Sono assoggettati alla legge i beni di interesse archeologico, storico, artistico, ambientale e paesistico, archivistico e librario, ed ogni altro bene che costituisca testimonianza materiale avente valore di civiltà.” Si apriva così la strada all'invenzione di nuove forme di heritage: il patrimonio industriale, e poi quello balneare, i musei antropologici e quelli della civiltà contadina, ma anche gli itinerari letterari e tante altre cose ancora. Ma anche i centri storici delle città e i piccoli borghi.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.