Il discorso religioso e teologico sono sussumibili nella categoria della retorica «nel senso che la retorica è l’arte della persuasione e le cosmogonie religiose sono concepite, in ultima analisi, come modi di persuasione eccezionalmente approfondite»: in The Rhetoric of Religion: Studies in Logology (1961, V), la preoccupazione di Kenneth Burke non investe tanto il valore di verità della religione, ma piuttosto la terminologia, il suo status come linguaggio e la relativa forza perlocutoria dell’atto religioso. In quanto sistemi di comunicazione ad alto potenziale simbolico, le tradizioni religiose hanno sviluppato nel tempo un ‘linguaggio’ sofisticato per comunicare idee, norme, valori condivisi. Come ha sot- tolineato il sociologo tedesco Niklas Luhmann (The Religion of Society [Die Religion der Gesellschaft], 2000), «We can [...], in the context of a sociological theory, think of religion exclusively as a communicative happening [kommunikatives Geschehen]». Al contempo, la religione va intesa anche come strumento efficace di autoposizionamento comunitario: «it is the ability of religious traditions to position individuals and groups in time and space that is of paramount importance for religious studies» (Stuckrad, 2003). Considerando dunque il linguaggio come “azione simbolica” (Burke 1966) e la religione come “sistema di azione” (Burke 1961), possiamo assumere la logica discorsiva (come base del terreno mitico o narrativo), e gli enunciati performativi (ancorati al “contesto della situa- zione”, vd. Halliday, McIntosh, Strevens 1964, e Halliday 1977), come fattori polari e interagenti al centro dei corpi dottrinali e delle relative strategie di persuasione, identificazione e immaginazione (Burke 1950), all’interno di un lavoro di cultura (Obeyesekere 1990) dove, da un punto di vista evoluzionistico, «it will often make more sense not to separate belief and action, but to see believing (or theologizing, or imagining, for example) as itself performatory, an act of speech, of in- terpreting, by a player in a context» (Paden 2016). Di qui, l’importanza dell’approccio interazionale al linguaggio, per cui la parola (nel caso specifico, la parola religiosa, il linguaggio del sacro) è considerata come evento sociale che “agisce” grazie a un contesto pubblico che la trasforma per l’appunto in atto, ed è in quest’ultima dimensione che il linguaggio diviene azione con la sua forza perlocutoria: in tal senso, l’atto linguistico andrà valutato non solo come sequenza di azioni verbali ma anche come sequenza di azioni simboliche, fortemente ancorate al contesto comunicativo, più che all’intenzione.
Giuseppina Paola Viscardi (2023). Introduzione. Bologna : Pàtron Editore.
Introduzione
Giuseppina Paola Viscardi
2023
Abstract
Il discorso religioso e teologico sono sussumibili nella categoria della retorica «nel senso che la retorica è l’arte della persuasione e le cosmogonie religiose sono concepite, in ultima analisi, come modi di persuasione eccezionalmente approfondite»: in The Rhetoric of Religion: Studies in Logology (1961, V), la preoccupazione di Kenneth Burke non investe tanto il valore di verità della religione, ma piuttosto la terminologia, il suo status come linguaggio e la relativa forza perlocutoria dell’atto religioso. In quanto sistemi di comunicazione ad alto potenziale simbolico, le tradizioni religiose hanno sviluppato nel tempo un ‘linguaggio’ sofisticato per comunicare idee, norme, valori condivisi. Come ha sot- tolineato il sociologo tedesco Niklas Luhmann (The Religion of Society [Die Religion der Gesellschaft], 2000), «We can [...], in the context of a sociological theory, think of religion exclusively as a communicative happening [kommunikatives Geschehen]». Al contempo, la religione va intesa anche come strumento efficace di autoposizionamento comunitario: «it is the ability of religious traditions to position individuals and groups in time and space that is of paramount importance for religious studies» (Stuckrad, 2003). Considerando dunque il linguaggio come “azione simbolica” (Burke 1966) e la religione come “sistema di azione” (Burke 1961), possiamo assumere la logica discorsiva (come base del terreno mitico o narrativo), e gli enunciati performativi (ancorati al “contesto della situa- zione”, vd. Halliday, McIntosh, Strevens 1964, e Halliday 1977), come fattori polari e interagenti al centro dei corpi dottrinali e delle relative strategie di persuasione, identificazione e immaginazione (Burke 1950), all’interno di un lavoro di cultura (Obeyesekere 1990) dove, da un punto di vista evoluzionistico, «it will often make more sense not to separate belief and action, but to see believing (or theologizing, or imagining, for example) as itself performatory, an act of speech, of in- terpreting, by a player in a context» (Paden 2016). Di qui, l’importanza dell’approccio interazionale al linguaggio, per cui la parola (nel caso specifico, la parola religiosa, il linguaggio del sacro) è considerata come evento sociale che “agisce” grazie a un contesto pubblico che la trasforma per l’appunto in atto, ed è in quest’ultima dimensione che il linguaggio diviene azione con la sua forza perlocutoria: in tal senso, l’atto linguistico andrà valutato non solo come sequenza di azioni verbali ma anche come sequenza di azioni simboliche, fortemente ancorate al contesto comunicativo, più che all’intenzione.File | Dimensione | Formato | |
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