Samanta Schweblin (Buenos Aires, 1978) è l’autrice di Kentuki (2018), romanzo ascrivibile a quelle che oggi cominciano ad essere chiamate “distopie del presente”, o “presente aumentato” (Deotto, 2018). Il romanzo narra la proliferazione del fenomeno globale dei kentuki, peluche meccanici connessi a dei codici di accesso acquistabili che permettono di essere osservati – nel caso di chi decide di avere fisicamente un kentuki – e di osservare – per chi invece preferisce comprare i codici d’accesso online e quindi essere un kentuki. Per esempio, un’anziana pensionata peruviana può osservare, attraverso un peluche a forma di coniglietta, la vita di una giovane tedesca a Erfurt. Il mondo descritto dalla Schewblin appare così polarizzato tra chi osserva e chi è osservato, in cui le due parti sembrano occupare dei ruoli e dei posizionamenti complementari e interrelati all’interno del mondo neoliberista e iperglobalizzato di Kentuki. Da un lato, chi è guardato appare inquadrabile nelle dinamiche consumistiche descritte da Baudrillard ne La società dei consumi (1970), in cui lo scaffale del supermercato, il packaging e l’idea di entrare a far parte di una comunità attraverso l’acquisto di un prodotto mettono in funzione le logiche del pensiero magico da lui descritte (p. 11, 2019). Dall’altro, chi guarda assume comportamenti più strettamente ascrivibili a forme di capitalismo recenti, come quello di piattaforma (Srnicek, 2017) e di sorveglianza (Zuboff, 2019), nella completa alienazione dalla dimensione fisica e soggettiva della realtà. Ciò che sembra infatti sospeso tra questi due poli sembrano essere proprio i corpi, intesi sia come corpi fisici (i padroni dei kentuki), che come corpi macchinici (i kentuki stessi), e come corpi assenti (chi guarda tramite i kentuki). Il corpo di chi è guardato è inafferrabile, desiderato e osservato; del corpo di chi guarda non restano invece che degli output meccanici sfogati attraverso i peluche che diventano per loro una protesi macchinica di identità, mentre ai corpi reali – ancorati davanti a uno schermo – viene pian piano negata la soddisfazione dei bisogni più primari come cibo e igiene. In questo modo i corpi diventano merce, a metà tra voyeurismo e dissoluzione negli apparati di funzionamento dei kentuki. Attraverso una metodologia basata su teorie che spaziano dall’analisi della società dei consumi (Baudrillard), a quella del neoliberismo attuale (Fisher, Lyon), passando attraverso gli studi sulla relazione tra il corpo e la macchina (Braidotti, Haraway), l’intervento si propone di analizzare il rapporto tra chi possiede un kentuki e chi è un kentuki nel romanzo di Samanta Schweblin prestando particolare attenzione al divenire macchinico dei corpi (Deleuze, Guattari) innescato dall’uso di una tecnologia di massa senza precedenti.
Beatrice Masi (2024). Strutture capitaliste e corpi macchinici in Kentuki di Samanta Schweblin. Palermo : Palermo University Press.
Strutture capitaliste e corpi macchinici in Kentuki di Samanta Schweblin
Beatrice Masi
2024
Abstract
Samanta Schweblin (Buenos Aires, 1978) è l’autrice di Kentuki (2018), romanzo ascrivibile a quelle che oggi cominciano ad essere chiamate “distopie del presente”, o “presente aumentato” (Deotto, 2018). Il romanzo narra la proliferazione del fenomeno globale dei kentuki, peluche meccanici connessi a dei codici di accesso acquistabili che permettono di essere osservati – nel caso di chi decide di avere fisicamente un kentuki – e di osservare – per chi invece preferisce comprare i codici d’accesso online e quindi essere un kentuki. Per esempio, un’anziana pensionata peruviana può osservare, attraverso un peluche a forma di coniglietta, la vita di una giovane tedesca a Erfurt. Il mondo descritto dalla Schewblin appare così polarizzato tra chi osserva e chi è osservato, in cui le due parti sembrano occupare dei ruoli e dei posizionamenti complementari e interrelati all’interno del mondo neoliberista e iperglobalizzato di Kentuki. Da un lato, chi è guardato appare inquadrabile nelle dinamiche consumistiche descritte da Baudrillard ne La società dei consumi (1970), in cui lo scaffale del supermercato, il packaging e l’idea di entrare a far parte di una comunità attraverso l’acquisto di un prodotto mettono in funzione le logiche del pensiero magico da lui descritte (p. 11, 2019). Dall’altro, chi guarda assume comportamenti più strettamente ascrivibili a forme di capitalismo recenti, come quello di piattaforma (Srnicek, 2017) e di sorveglianza (Zuboff, 2019), nella completa alienazione dalla dimensione fisica e soggettiva della realtà. Ciò che sembra infatti sospeso tra questi due poli sembrano essere proprio i corpi, intesi sia come corpi fisici (i padroni dei kentuki), che come corpi macchinici (i kentuki stessi), e come corpi assenti (chi guarda tramite i kentuki). Il corpo di chi è guardato è inafferrabile, desiderato e osservato; del corpo di chi guarda non restano invece che degli output meccanici sfogati attraverso i peluche che diventano per loro una protesi macchinica di identità, mentre ai corpi reali – ancorati davanti a uno schermo – viene pian piano negata la soddisfazione dei bisogni più primari come cibo e igiene. In questo modo i corpi diventano merce, a metà tra voyeurismo e dissoluzione negli apparati di funzionamento dei kentuki. Attraverso una metodologia basata su teorie che spaziano dall’analisi della società dei consumi (Baudrillard), a quella del neoliberismo attuale (Fisher, Lyon), passando attraverso gli studi sulla relazione tra il corpo e la macchina (Braidotti, Haraway), l’intervento si propone di analizzare il rapporto tra chi possiede un kentuki e chi è un kentuki nel romanzo di Samanta Schweblin prestando particolare attenzione al divenire macchinico dei corpi (Deleuze, Guattari) innescato dall’uso di una tecnologia di massa senza precedenti.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.