Ricomporre l’infranto è inevitabilmente l’operazione che viene richiesta allo storico dell’arte quando decide di occuparsi della Calabria, in particolare del collezionismo, dandosi – come in questo caso – i limiti cronologici che dal viceregno arrivano al periodo postunitario e quindi all’Ottocento inoltrato. Diverso sarebbe, infatti, il discorso per il Novecento e per l’epoca contemporanea, per i quali si hanno sul territorio anche importanti collezionisti di arte antica. I riferimenti a spoliazioni e terremoti, che sempre incombono quando si parla di Calabria, e il paradigma storiografico che nella dialettica centro/periferia vede sempre il prevalere della prima realtà, in questo caso Napoli, a scapito della seconda, certo non hanno contribuito a incoraggiare le indagini. Rimandando alla lettura dei saggi per apprezzare quanto emerso dalla ricerca, qui ci limitiamo a sottolineare che uno dei risultati più importanti è stato quello di “smontare” uno dei luoghi comuni più diffusi secondo il quale nel viceregno, a differenza di altre corti, la mancanza di un modello da imitare e quindi il venir meno dell’emulazione sia stata una delle cause principali dell’assenza, tranne qualche eccezione, di collezioni importanti e secondo il quale la Calabria sarebbe stata ulteriormente svantaggiata dal fatto che la nobiltà locale aveva la sua principale dimora a Napoli. Corollario di questa visione è quello di una Calabria dove il fenomeno del collezionismo, tranne eccezioni, è praticamente assente. In realtà i lavori pubblicati nel volume da me curato, dimostrano che è stata soprattutto la mancanza di ricerche a far maturare tali pregiudizi. In molti dei saggi emerge la presenza in Calabria di una nobiltà che per quanto concerne il lusso, l’ostentazione, la decorazione e il collezionismo investiva molto nei suoi feudi, senza che questo implichi ovviamente nessun tipo di valutazione sulla gestione politica e amministrativa dei feudi stessi, per molti dei quali attualmente non abbiamo dati specifici. È inoltre emersa l’esistenza di un ceto medio che aveva decisa sensibilità per le opere d’arte. Ci si è orientati per un approccio di tipo interdisciplinare proprio nella consapevolezza che per la piena comprensione di un fenomeno come il collezionismo e delle sue implicazioni non ci si può limitare né alla ricostruzione degli insiemi né alle opere d’arte tout court, ma è fondamentale una visione che tenga conto della storia delle famiglie, degli orientamenti culturali del collezionista, dell’impatto che la collezione aveva sul territorio, solo per citare alcuni aspetti. Per questo motivo si è deciso di far confluire nel volume tematiche legate alla residenza e ai ritratti – come, per esempio nei saggi di Mario Panarello, Antonio Rodinò di Miglione e Francesca Valensise – che strettamente si legano alla volontà di espressione dello status sociale, come spesso accadeva per la decisione di formare una collezione, non escludendo, in quest’ultimo caso, intenti più strettamente eruditi e quindi conoscitivi, estetici e di gusto. Anche se l’attenzione è rivolta prevalentemente agli oggetti d’arte e alle antichità, si è inoltre deciso di includere oggetti appartenenti ad altre categorie purché siano stati raccolti con la precisa intenzionalità di metterli insieme. Si sono, dunque considerati i collezionisti di beni immateriali come le parole, in particolare gli autori dei primi dizionari dialettali, ai quali hanno dedicato un saggio John Trumper e Marta Maddalon. Per quanto concerne i limiti cronologici, anche se questo progetto si ricollega e per certi aspetti prosegue le indagini confluite nel volume La Calabria del viceregno spagnolo storia arte architettura e urbanistica, questa volta si è deciso di abbracciare un arco cronologico decisamente più ampio, dal viceregno al periodo postunitario. Questo perché dalle indagini preliminarmente svolte ci si è resi conto che in Calabria, regione che più di altre ha sofferto il fenomeno della dispersione sia degli oggetti sia dei documenti, l’analisi di tale arco temporale in relazione al collezionismo, se da un lato si presentava come fattibile per la maggiore presenza di documenti e collezioni superstiti dall’altro permetteva una fruttuosa comparazione a livello cronologico. È stato escluso il periodo antecedente all’epoca vicereale per mancanza di significative testimonianze, mentre si è deciso di comprendere il periodo post-unitario perché nella seconda metà dell’Ottocento si manifesta una stretta prosecuzione con fenomeni e atteggiamenti maturati nei precedenti secoli, che per la Calabria si può dire trovino il suo culmine nella figura di Giovanni Barracco (la cui data di morte in realtà oltrepassa il XIX secolo, ma la cui figura è pienamente legata alle vicende dell’Italia post-unitaria) e nella significativa donazione della sua collezione al Comune di Roma. Come si evince anche scorrendo semplicemente l’indice, la ricerca e quindi i saggi confluiti nel volume hanno coinvolto tutta la regione.
ANSELMI, A. (2012). Introduzione. Roma : GANGEMI.
Introduzione
ANSELMI, ALESSANDRA
2012
Abstract
Ricomporre l’infranto è inevitabilmente l’operazione che viene richiesta allo storico dell’arte quando decide di occuparsi della Calabria, in particolare del collezionismo, dandosi – come in questo caso – i limiti cronologici che dal viceregno arrivano al periodo postunitario e quindi all’Ottocento inoltrato. Diverso sarebbe, infatti, il discorso per il Novecento e per l’epoca contemporanea, per i quali si hanno sul territorio anche importanti collezionisti di arte antica. I riferimenti a spoliazioni e terremoti, che sempre incombono quando si parla di Calabria, e il paradigma storiografico che nella dialettica centro/periferia vede sempre il prevalere della prima realtà, in questo caso Napoli, a scapito della seconda, certo non hanno contribuito a incoraggiare le indagini. Rimandando alla lettura dei saggi per apprezzare quanto emerso dalla ricerca, qui ci limitiamo a sottolineare che uno dei risultati più importanti è stato quello di “smontare” uno dei luoghi comuni più diffusi secondo il quale nel viceregno, a differenza di altre corti, la mancanza di un modello da imitare e quindi il venir meno dell’emulazione sia stata una delle cause principali dell’assenza, tranne qualche eccezione, di collezioni importanti e secondo il quale la Calabria sarebbe stata ulteriormente svantaggiata dal fatto che la nobiltà locale aveva la sua principale dimora a Napoli. Corollario di questa visione è quello di una Calabria dove il fenomeno del collezionismo, tranne eccezioni, è praticamente assente. In realtà i lavori pubblicati nel volume da me curato, dimostrano che è stata soprattutto la mancanza di ricerche a far maturare tali pregiudizi. In molti dei saggi emerge la presenza in Calabria di una nobiltà che per quanto concerne il lusso, l’ostentazione, la decorazione e il collezionismo investiva molto nei suoi feudi, senza che questo implichi ovviamente nessun tipo di valutazione sulla gestione politica e amministrativa dei feudi stessi, per molti dei quali attualmente non abbiamo dati specifici. È inoltre emersa l’esistenza di un ceto medio che aveva decisa sensibilità per le opere d’arte. Ci si è orientati per un approccio di tipo interdisciplinare proprio nella consapevolezza che per la piena comprensione di un fenomeno come il collezionismo e delle sue implicazioni non ci si può limitare né alla ricostruzione degli insiemi né alle opere d’arte tout court, ma è fondamentale una visione che tenga conto della storia delle famiglie, degli orientamenti culturali del collezionista, dell’impatto che la collezione aveva sul territorio, solo per citare alcuni aspetti. Per questo motivo si è deciso di far confluire nel volume tematiche legate alla residenza e ai ritratti – come, per esempio nei saggi di Mario Panarello, Antonio Rodinò di Miglione e Francesca Valensise – che strettamente si legano alla volontà di espressione dello status sociale, come spesso accadeva per la decisione di formare una collezione, non escludendo, in quest’ultimo caso, intenti più strettamente eruditi e quindi conoscitivi, estetici e di gusto. Anche se l’attenzione è rivolta prevalentemente agli oggetti d’arte e alle antichità, si è inoltre deciso di includere oggetti appartenenti ad altre categorie purché siano stati raccolti con la precisa intenzionalità di metterli insieme. Si sono, dunque considerati i collezionisti di beni immateriali come le parole, in particolare gli autori dei primi dizionari dialettali, ai quali hanno dedicato un saggio John Trumper e Marta Maddalon. Per quanto concerne i limiti cronologici, anche se questo progetto si ricollega e per certi aspetti prosegue le indagini confluite nel volume La Calabria del viceregno spagnolo storia arte architettura e urbanistica, questa volta si è deciso di abbracciare un arco cronologico decisamente più ampio, dal viceregno al periodo postunitario. Questo perché dalle indagini preliminarmente svolte ci si è resi conto che in Calabria, regione che più di altre ha sofferto il fenomeno della dispersione sia degli oggetti sia dei documenti, l’analisi di tale arco temporale in relazione al collezionismo, se da un lato si presentava come fattibile per la maggiore presenza di documenti e collezioni superstiti dall’altro permetteva una fruttuosa comparazione a livello cronologico. È stato escluso il periodo antecedente all’epoca vicereale per mancanza di significative testimonianze, mentre si è deciso di comprendere il periodo post-unitario perché nella seconda metà dell’Ottocento si manifesta una stretta prosecuzione con fenomeni e atteggiamenti maturati nei precedenti secoli, che per la Calabria si può dire trovino il suo culmine nella figura di Giovanni Barracco (la cui data di morte in realtà oltrepassa il XIX secolo, ma la cui figura è pienamente legata alle vicende dell’Italia post-unitaria) e nella significativa donazione della sua collezione al Comune di Roma. Come si evince anche scorrendo semplicemente l’indice, la ricerca e quindi i saggi confluiti nel volume hanno coinvolto tutta la regione.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.