I comportamenti aggressivi dei bambini, in età prescolare e scolare, sono tra i più comuni problemi affrontati da educatori, insegnanti, psicoterapeuti e ludoterapeuti. Dall’infanzia alla preadolescenza, con l’avanzare delle competenze comunicative-sociali e l’uso di strategie cooperative, utili per accedere a risorse materiali o al riconoscimento sociale, il comportamento aggressivo viene progressivamente risolto dalla maggior parte delle persone (Anderson et al., 2017) mentre in altre permane ed evolve. Anche se non tutti i bambini aggressivi, in età prescolare, continueranno a esserlo nelle fasi successive di sviluppo, un nutrito corpo di studi longitudinali ha mostrato che alti livelli di comportamento aggressivo nell’infanzia sono predittivi di successivi comportamenti antisociali, di gravita sempre crescente e sempre più impegnativi dal punto di vista educativo (Ebrahimi, 2019). D’altra parte, i fatti e le notizie legate al bullismo scolastico, in aumento in tutti gli ordini di scuola, e al crescente problema delle baby-gang in molte citta italiane, anche quelle da sempre considerate oasi di tranquillità e pace sociale, sono un grido di allarme su questa problematica che chiede una risposta dal mondo educativo, ivi compresa la famiglia. Diversi fattori possono incidere sul prolungarsi degli atteggiamenti aggressivi dall’infanzia all’adolescenza ed età adulta: ambiente socioculturale, relazioni interpersonali, tratti della personalità, esperienze dolorose o traumatiche. L’aggressività che ne deriva può esprimersi in modo diretto o indiretto attraverso molti comportamenti, quali minacce fisiche o verbali, lancio o distruzione di oggetti, grida e invettive, umiliazioni e derisioni e, grazie alle nuove tecnologie, il cyber-bullismo. I metodi educativi possono oggi attingere indicazioni sia dagli approcci cognitivo- comportamentali (Dobson et al., 2010) sia dagli approcci psicodinamici (Vecchiato, 2007), che propongono una modalità di intervento precoce, influente nell’infanzia, che utilizza il gioco come componente centrale del processo terapeutico. Facendo riferimento all’ambito educativo di nostra competenza, come cornice altra rispetto a quella clinica, possiamo dedurre che le terapie basate sul gioco, con i dovuti adattamenti pedagogici, rappresentano una modalità di intervento precoce che può assumere il ruolo di azione preventiva prima ancora che terapeutica. Tali strategie preventive, il più delle volte inconsapevolmente, sono attuate già in famiglia nel gioco figlia/o – madre/padre. Il gioco, in altre parole, può aiutare i bambini a risolvere la spinta aggressiva che li caratterizza nei primi anni di vita e mediarla fino alla sua scomparsa nella fase adolescenziale e, infine, adulta. Nel presente contributo verrà inquadrata una cornice educativa, incentrata sui giochi di lotta, riferita ai normali contesti di vita del bambino: famiglia, scuola, ambiente ricreativo e sportivo. Se consideriamo l’aggressività un comportamento presente nello sviluppo umano, come per esempio l’età infantile, possiamo considerare i giochi di lotta una sua espressione ludica accettabile e utile a educarne il controllo.
andrea ceciliani (2023). Educazione e aggressività: i giochi di lotta. Parma : Junior Spaggiari.
Educazione e aggressività: i giochi di lotta
andrea ceciliani
Writing – Original Draft Preparation
2023
Abstract
I comportamenti aggressivi dei bambini, in età prescolare e scolare, sono tra i più comuni problemi affrontati da educatori, insegnanti, psicoterapeuti e ludoterapeuti. Dall’infanzia alla preadolescenza, con l’avanzare delle competenze comunicative-sociali e l’uso di strategie cooperative, utili per accedere a risorse materiali o al riconoscimento sociale, il comportamento aggressivo viene progressivamente risolto dalla maggior parte delle persone (Anderson et al., 2017) mentre in altre permane ed evolve. Anche se non tutti i bambini aggressivi, in età prescolare, continueranno a esserlo nelle fasi successive di sviluppo, un nutrito corpo di studi longitudinali ha mostrato che alti livelli di comportamento aggressivo nell’infanzia sono predittivi di successivi comportamenti antisociali, di gravita sempre crescente e sempre più impegnativi dal punto di vista educativo (Ebrahimi, 2019). D’altra parte, i fatti e le notizie legate al bullismo scolastico, in aumento in tutti gli ordini di scuola, e al crescente problema delle baby-gang in molte citta italiane, anche quelle da sempre considerate oasi di tranquillità e pace sociale, sono un grido di allarme su questa problematica che chiede una risposta dal mondo educativo, ivi compresa la famiglia. Diversi fattori possono incidere sul prolungarsi degli atteggiamenti aggressivi dall’infanzia all’adolescenza ed età adulta: ambiente socioculturale, relazioni interpersonali, tratti della personalità, esperienze dolorose o traumatiche. L’aggressività che ne deriva può esprimersi in modo diretto o indiretto attraverso molti comportamenti, quali minacce fisiche o verbali, lancio o distruzione di oggetti, grida e invettive, umiliazioni e derisioni e, grazie alle nuove tecnologie, il cyber-bullismo. I metodi educativi possono oggi attingere indicazioni sia dagli approcci cognitivo- comportamentali (Dobson et al., 2010) sia dagli approcci psicodinamici (Vecchiato, 2007), che propongono una modalità di intervento precoce, influente nell’infanzia, che utilizza il gioco come componente centrale del processo terapeutico. Facendo riferimento all’ambito educativo di nostra competenza, come cornice altra rispetto a quella clinica, possiamo dedurre che le terapie basate sul gioco, con i dovuti adattamenti pedagogici, rappresentano una modalità di intervento precoce che può assumere il ruolo di azione preventiva prima ancora che terapeutica. Tali strategie preventive, il più delle volte inconsapevolmente, sono attuate già in famiglia nel gioco figlia/o – madre/padre. Il gioco, in altre parole, può aiutare i bambini a risolvere la spinta aggressiva che li caratterizza nei primi anni di vita e mediarla fino alla sua scomparsa nella fase adolescenziale e, infine, adulta. Nel presente contributo verrà inquadrata una cornice educativa, incentrata sui giochi di lotta, riferita ai normali contesti di vita del bambino: famiglia, scuola, ambiente ricreativo e sportivo. Se consideriamo l’aggressività un comportamento presente nello sviluppo umano, come per esempio l’età infantile, possiamo considerare i giochi di lotta una sua espressione ludica accettabile e utile a educarne il controllo.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.