Diversi sono i fattori causali che negli ultimi anni hanno contribuito a mutare l’assetto finanziario e produttivo nel quale banche ed imprese operano. L’ultima decade è stata caratterizzata da tre diversi fenomeni di crisi: i) la crisi finanziaria del 2008; ii) la crisi del debito sovrano del 2010-2011; iii) la crisi pandemica del 2020. Aspetti strategici e regolamentari hanno modificato l’assetto del sistema bancario. Dapprima l’innovazione tecnologica, poi le crisi bancarie e i continui e rinnovati processi regolamentari hanno spinto gli operatori del settore bancario ad aggregarsi alla ricerca di economie di scala e di scopo attraverso un rinnovato processo di consolidamento del sistema bancario. L’avvento del Fintech e la concorrenza delle shadow banks, l’aggiornamento degli accordi di Basilea al fine di rafforzare il grado di patrimonializzazione delle banche e sostenere la copertura dei crediti deteriorati, gli Orientamenti dell’Autorità Bancaria Europea in materia di concessione e monitoraggio dei prestiti (Loan Origination and Monitoring Guidelines - LOM) e le linee guida della Banca Centrale Europea sui rischi climatici e ambientali, sono solo alcuni fattori che stanno modificando l’assetto strategico ed operativo del sistema bancario. A fronte della crisi pandemica il sistema bancario è stato parte attiva nell’attuazione degli impegni legislativi - il decreto moratorie (DL 18/2020) e il decreto liquidità (DL 23/2020) – emessi con l’obiettivo di sostenere l’economia reale in un periodo di rallentamento della crescita economica. Obiettivo del volume è capire, in un contesto di cambiamento come quello che ha caratterizzato le ultime due decadi, quali siano da un lato le sfide competitive delle imprese verso un nuovo modello imprenditoriale che necessita di una gestione finanziaria più innovativa, e dall’altro come le banche possono rispondere a tali rinnovate esigenze. Si tratta in altri termini di analizzare l’evoluzione del rapporto banca-impresa focalizzando l’attenzione sia sui fattori di offerta dei servizi finanziari, sia sulle determinanti delle fonti di finanziamento delle imprese. Data l’importanza delle PMI nel nostro sistema economico l’intero lavoro sarà sviluppato enfatizzando le problematiche di tipo finanziario e gestionale di questa categoria di imprese. Nella prima parte del lavoro (capitoli 1-2) ci concentreremo sull’analisi della domanda e dell’offerta delle fonti di finanziamento, con particolare attenzione ai fattori che stanno contribuendo a mutare da un lato i bisogni finanziari delle imprese e dall’altro la funzione creditizia della banca. Nella seconda parte del volume (capitoli 3-4) si studiano le ragioni delle recenti trasformazioni del sistema bancario guidate sia da processi endogeni – come quello delle aggregazioni e fusioni avviate nel tentativo di raggiungere un maggiore efficientamento delle strutture – sia da cause esogene come quelle regolamentari. Sul fronte della regolamentazione l’obiettivo è innanzitutto, approfondire la logica forward looking che è alla base degli Orientamenti in materia di concessione e monitoraggio dei prestiti; inoltre, valutare il rafforzamento degli Accordi di Basilea in un’ottica di maggiore garanzia di stabilità del sistema bancario; infine, comprendere le implicazioni che aspettative del regolatore in tema di sostenibilità ambientale, sociale e di governance (politiche ESG). Concentrandoci sul lato della domanda delle fonti di finanziamento nel primo capitolo del volume analizziamo, innanzitutto, i presupposti teorici che sono alla base della moderna teoria della capital structure (Trade-off Theory e Pecking Order Theory), per poi indagare da un punto di vista empirico le determinanti delle fonti di finanziamento delle PMI in Italia. La Pecking Order Theory (Myers, 1984 e Myers-Majluf, 1984) suggerisce che le imprese preferiscono il finanziamento interno a quello esterno e tra le fonti di finanziamento esterne esiste una preferenza del debito rispetto all’equity. Inoltre, vedremo come argomentazioni teoriche legate alla teoria dell’agenzia (Jensen e Meckling, 1976), alla teoria della segnalazione (Ross, 1977) e alla teoria dell’intermediazione finanziaria (Greenbaum et al., 2019) contribuiscono ad investigare ulteriormente le motivazioni che determinano la struttura finanziaria delle PMI. L’indagine delle ragioni che sono alla base della decisione sul mix delle fonti di finanziamento resta, da un punto di vista sia teorico sia empirico, una questione ancora ampiamente dibattuta e non conclusiva (Frank e Goyal, 2008 e 2009). L’utilizzo di debito come fonte di finanziamento implica infatti un aumento dei costi dell’impresa e può portare ad un aumento del rischio di bancarotta. La letteratura finanziaria si è dunque generalmente focalizzata sul contratto di debito che è stato spesso ipotizzato quale metodo ottimale di finanziamento (Leland e Pyle, 1977; Diamond, 1984). In letteratura esistono, tuttavia, risultati contradditori. Da un lato, alcuni autori sostengono che imprese ad alto rischio preferiscono il contratto di debito a quello di equity (Hellmann e Stiglitz, 2000; Lemmon e Zender, 2010). Dall’altro lato, altri autori sostengono che le imprese scelgono tanto più equity quanto maggiore è il rischio associato al progetto che vogliono finanziare. Se, tuttavia, questo è il risultato di una scelta volontaria effettuata dall’imprenditore ex-ante (Ueda, 2004; Hirukawa e Ueda, 2011; Ueda et al., 2019) o la conseguenza del razionamento del credito da parte della banca (Bolton e Freixas, 2000; Lemmon e Roberts, 2010; Angori et al., 2020) resta una questione meritevole di ulteriori approfondimenti. I modelli teorici presentati in questo capitolo – dalla teoria dei saldi finanziari alla teoria della struttura delle fonti di finanziamento – sono aggiornati tenendo conto dei dati del sistema imprenditoriale e finanziario nazionale ed internazionale. L’ultima parte del capitolo è dedicata alla struttura delle fonti di finanziamento in funzione del ciclo di vita dell’impresa, con particolare enfasi al ruolo delle asimmetrie informative. La prevalenza di un modello che indica la scelta delle fonti di finanziamento in funzione delle asimmetrie informative suggerisce una gerarchia che vorrebbe al primo posto il ricorso alle fonti interne di finanziamento e successivamente a quelle esterne di natura bancaria e solo in una fase finale a quelle di mercato (Berger e Udell, 1998). Tale framework teorico potrebbe, tuttavia, mutare per effetto di variabili esogene come l’orientamento della struttura del sistema finanziario, di tipo relationship-based oppure di tipo arm’s lenght based. Il diverso contesto istituzionale in cui operano le imprese impatta sulle modalità di finanziamento delle stesse. Gli studi suggeriscono che, in un paese orientato alle banche come l’Italia, le imprese tendono ad adottare strategie di finanziamento specifiche e una diversa gerarchia del processo di finanziamento in funzione del loro ciclo di vita aziendale. In particolare, il debito si dimostra fondamentale per le attività imprenditoriali nelle fasi di avvio dell’attività imprenditoriale soprattutto se le imprese sono di piccola e media dimensione. Al contrario, nella fase di maturità, le imprese riequilibrano la loro struttura del capitale, sostituendo gradualmente il debito con fonti di finanziamento interne secondo una logica di gerarchia delle fonti di finanziamento. Al fine di capire eventuali limiti alle scelte di investimento delle PMI dovuti alla presenza di vincoli finanziari, nel secondo capitolo, indaghiamo da un punto di vista teorico ed empirico come un rapporto ripetuto e continuativo (relationship lending) tra banca e impresa possa allentare eventuali vincoli finanziari e limitare l’impatto del razionamento del credito sulle scelte di finanziamento dell’impresa. Il relationship lending o credito di relazione si configura come un rapporto tra banca e impresa fondato prevalentemente su informazioni confidenziali e non codificate (la cosiddetta soft information), indispensabili per valutare il merito creditizio di una clientela caratterizzata da opacità informativa. Le verifiche empiriche, fino ad ora condotte, hanno in generale evidenziato come un rapporto tra banca e impresa sviluppato su una logica relazionale sia associato a migliori condizioni di affidamento: maggiore quantità di credito, tassi di interesse più bassi e minori richieste di garanzie. Tale modello non esclude, tuttavia, il ricorso a forme di relazione di clientela più standardizzate ed impersonali come il transaction lending basato più propriamente su informazioni di tipo quantitativo-oggettivo (hard information). L’analisi teorica e l’evidenza empirica suggeriscono che i due modelli non si escludono ma si completano in quello che in letteratura è conosciuto come il modello di corporate banking. Il relationship lending non scompare ma si evolve in un modello di relazione più completo ed articolato: il corporate banking. Più propriamente i recenti lavori sul tema parlano di tecnologie di lending caratterizzate da diverse sfumature di combinazioni di hard e soft information (Udell, 2018; Brighi et al., 2019). Il razionamento del credito si verifica quando la domanda di credito eccede l’offerta, ovvero ogni volta che il prezzo del credito è inferiore a quello di equilibrio. L’obiettivo è cercare di capire, anche da un punto di vista empirico, perché la banca anziché decidere di aumentare il tasso di interesse sui prestiti al fine di riportare in equilibrio il mercato, come suggerito dalla teoria neoclassica dei prezzi, preferisce razionare parte della clientela. Da un punto di vista empirico il razionamento del credito rimane, tuttavia, un fenomeno di difficile quantificazione. Tradizionalmente per le imprese il razionamento del credito rappresenta sia un problema di quantità di credito ottenuto sia di costo sopportato. Si tratta, dunque, di misurare da un lato l’andamento dei tassi di interesse sui prestiti e dall’altro quello della quantità di credito accordata ed utilizzata. In presenza di razionamento ci si aspetta una certa rigidità sia nelle quantità sia nei prezzi del credito. In particolare, il premio per il rischio sui prestiti – definito come differenza tra il tasso di interesse sui presiti e quello di un titolo pubblico privo di rischio di pari durata – è negativamente correlato con i tassi di mercato. Prevale, in altri termini, una certa rigidità dei tassi di interesse; la banca preferisce non aumentare il tasso di interesse oltre un certo valore soglia al fine di limitare eventuali rischi di adverse selection e moral hazard. I problemi di asimmetria informativa tra banca e impresa ed eventuali conseguenti forme di razionamento del credito possono essere attenuate attraverso forme di signalling quali il cofinanziamento mediante capitale proprio (Leland e Pyle, 1977) e l’offerta di garanzie (Bester, 1985), oppure mediante la creazione di un rapporto esclusivo con una banca di riferimento – relationship lending. Diversi studi empirici suggeriscono che il razionamento del credito appare un fenomeno particolarmente diffuso tra le aziende giovani, piccole e che investono in Ricerca e Sviluppo (R&S). I vincoli finanziari appaiono vieppiù evidenti in periodi di crisi economica come quelli che hanno caratterizzato l’ultima decade (Brighi e Venturelli, 2017; Barbieri et al., 2020). Un modo per superare il problema del razionamento soprattutto in periodi di crisi è attraverso la garanzia pubblica che con riferimento alla recente crisi pandemica sembra essere stato uno strumento che ha allentato almeno nell’immediato i problemi di liquidità delle piccole e medie imprese (PMI) causati dal lock-down. I decreti legislativi in tema di moratorie e di nuova liquidità oltre al Fondo di garanzia del Ministero dello Sviluppo Economico (Ciani et al., 2020) si sono rilevati strumenti utili per prevenire il rischio di razionamento in un momento particolarmente critico della congiuntura economica. I mutamenti dei fattori di domanda e di offerta dei servizi finanziari-bancari discussi nella prima parte del lavoro non possono, peraltro, prescindere da una serie di fattori strutturali e regolamentari che stanno continuando a mutare il contesto competitivo di operatività delle banche attraverso un processo di consolidamento divenuto vieppiù necessario anche sotto la spinta del regolatore (Guide on the supervisory approach to consolidation in the banking sector - ECB, 2021). Il tema trattato nel capitolo terzo parte dall’ondata di fusioni che ha progressivamente ridotto il numero degli intermediari ha aumentato la concentrazione del mercato con inevitabili effetti sulla struttura dell’offerta dei servizi finanziari. Le crisi bancarie che hanno caratterizzato gli anni successivi alle due crisi – quella finanziaria del 2008 e quella del debito sovrano – hanno spinto le banche dapprima ad un forte ridimensionamento della rete di filiali e successivamente ad un intenso processo di aggregazioni e acquisizioni nel tentativo di ritrovare una maggiore efficienza di costo e di profitto (Bernini e Brighi, 2018; Beccalli e Rossi, 2020; Bonaccorsi di Patti e Ciocchetta, 2020). La spinta al consolidamento nel sistema bancario si è ulteriormente rafforzata con la riforma del credito cooperativo (D.L. 14 febbraio 2016, n. 18) che ha portato alla costituzione dei due gruppi bancari Cassa Centrale Banca e ICCREA nonché dell’Institutional Protection Scheme delle Raifassen altoatesine a partire dal 2019. Numerosi studi hanno indagato gli effetti del processo di consolidamento del sistema bancario sul rapporto banca-impresa. Il cambiamento endogeno della struttura del sistema bancario produce inevitabili effetti sulle condizioni di credito praticate alle imprese soprattutto se di piccola dimensione. Sapienza (2002) con riferimento ai primi anni ’90 conferma questa tesi mostrando che i processi di aggregazione riducono la propensione della banca a concedere prestiti alle imprese di minori dimensioni e ne aumentano la probabilità di razionamento. Questo tema viene ulteriormente approfondito con riferimento ai processi di concentrazione di fine anni Novanta relativamente ai quali Panetta et al. (2004) trovano che, grazie ad un più efficiente utilizzo del set informativo disponibile alle banche, hanno comportato un aumento dei tassi per i clienti di bassa qualità e un calo per i debitori di alta qualità (effetto fly to quality). Nell’ambito di questa letteratura alcuni studi (Forestieri e Tirri, 2004 e Tirri, 2007) dimostrano che la maggiore concentrazione del sistema bancario non sembra penalizzare le imprese in termini di credito concesso qualora esista una relazione continua, ripetuta e duratura tra banca e impresa (relationship lending). Da questo punto di vista la letteratura sul relationship lending sembra suggerire che sia definitivamente superato il modello tradizionale in base al quale esisteva una dicotomia piccola banca-piccola impresa versus grande banca-grande impresa (Berger e Udell, 1996, DeYoung et al., 2004 e DeYoung e Rice, 2004). Le innovazioni tecnologiche alla base del fintech creano peraltro nuovi competitors per il sistema bancario per cui le banche che devono rafforzarsi attraverso forme aggregative che consentano non solo di ottenere economie di scala e di scopo ma anche di innovarsi tecnologicamente per meglio gestire la concorrenza del fintech. Tuttavia, prima di avanzare valutazioni di tipo normativo sui possibili vantaggi/svantaggi associati al recente processo di consolidamento bancario nuove indagini empiriche si rendono non solo necessarie ma indispensabili dal momento che per gli effetti dei processi aggregativi necessitano dai tre ai cinque anni per produrre le attese economie di scala. Come anticipato nei capitoli precedenti i diversi processi che hanno caratterizzato i cambiamenti strutturali del sistema bancario sono spesso spinti dalla regolamentazione bancaria e qualsiasi valutazione in termini di efficacia del rapporto banca-impresa non ne può prescindere. Nel capitolo quarto si approfondisce la funzione creditizia della banca e del rischio di credito ad esso collegato. Gli Orientamenti EBA in materia di concessione e monitoraggio dei prestiti (EBA/GL/2020/06) identificano i processi e i meccanismi di concessione del credito nel rispetto di standard creditizi robusti e prudenti nel rispetto da un lato di una prudente politica dei crediti da parte della banca e dall’altro di una giusta protezione dei clienti della banca garantendo da un punto di vista macroeconomico la stabilità e la resilienza del sistema bancario europeo. La banca nella sua operatività è soggetta oltre al rischio di credito a numerosi altri rischi finanziari di cui nella parte successiva del capitolo viene fornita una mappatura tassonomica. I rischi sono classificati in due grandi categorie: rischi tradizionali e rischi nuovi. Tra i rischi nuovi ampio spazio è dedicato ai rischi ambientali, sociali e di governo (rischi ESG) che vengono discussi sia da un punto di vista più propriamente regolamentare sia teorico. Gli obiettivi ONU 2030, l’impegno a livello europeo in tema di Green Deal, la normativa DNF (Direttiva Europea 95/2014 e successivo recepimento D. Lgs. 254/2016) aprono il dibattito in ambito finanziario sui rischi non finanziari tra cui i rischi ESG. La consapevolezza di una Governance informata e attenta alla sostenibilità e all’ambiente rappresenta l’obiettivo trasversale all’interno delle Organizzazioni Finanziarie e non solo. Se da un punto di vista definitorio i rischi ESG potrebbero essere trattati in modo a sé stante, da un punto di vista operativo spesso diventa difficile scorporarli dai rischi tradizionali – credito, mercato, liquidità e operativo. Alla luce anche delle Aspettative BCE sui rischi climatici e ambientali (cit. Guida sui rischi climatici e ambientali - Aspettative di vigilanza in materia di gestione dei rischi e informativa – Novembre 2020) e monitorando le best practices di alcuni operatori del sistema appare dunque più coerente considerare tali rischi come un di cui dei rischi più tradizionali senza, perciò, togliere l’importanza che gli stessi possono comportare da un punto di vista strategico e di policy. Anche il discussion paper dell’EBA del 30/10/2020 sembra andare in questa direzione. I rischi ESG sono trasversali a qualsiasi processo aziendale, tanto più a quello di governo dei rischi e rientrano quindi come driver dei rischi rilevanti a partire dalla loro definizione e dalla loro collocazione all’interno del processo di mappatura dei rischi. La loro significatività dipende dagli impatti finanziari del passaggio ad un’economia circolare e più sostenibile e quindi possono avere diverse ‘’collocazioni’’ e un diverso grado di significatività nel breve, medio e lungo termine. Infine, approfondiamo gli aggiornamenti degli Accordi di Basilea in tema di patrimonializzazione delle banche a tutela della stabilità del sistema bancario. La gestione dei rischi rientra a tutti gli effetti nella più ampia regolamentazione di Basilea i cui accordi definiscono le regole prudenziali delle banche che vi hanno aderito. I tre pilasti degli Accordi di Basilea stabiliscono: i) il requisito patrimoniale delle banche; ii) il controllo prudenziale e iii) la disciplina di mercato. Nell’ambito del secondo pilastro approfondiamo il processo di Supervisory Review and Evaluation Process utilizzando: i) il business model; ii) l’Internal Capital Adequacy Assessment Process (ICAAP); iii) l’Internal Liquidity Adequacy Assessment Process (ILAAP) e iv) la governance.

Gestione e regole del rapporto banca e impresa Aspetti teorici ed evidenze empiriche

paola brighi
2024

Abstract

Diversi sono i fattori causali che negli ultimi anni hanno contribuito a mutare l’assetto finanziario e produttivo nel quale banche ed imprese operano. L’ultima decade è stata caratterizzata da tre diversi fenomeni di crisi: i) la crisi finanziaria del 2008; ii) la crisi del debito sovrano del 2010-2011; iii) la crisi pandemica del 2020. Aspetti strategici e regolamentari hanno modificato l’assetto del sistema bancario. Dapprima l’innovazione tecnologica, poi le crisi bancarie e i continui e rinnovati processi regolamentari hanno spinto gli operatori del settore bancario ad aggregarsi alla ricerca di economie di scala e di scopo attraverso un rinnovato processo di consolidamento del sistema bancario. L’avvento del Fintech e la concorrenza delle shadow banks, l’aggiornamento degli accordi di Basilea al fine di rafforzare il grado di patrimonializzazione delle banche e sostenere la copertura dei crediti deteriorati, gli Orientamenti dell’Autorità Bancaria Europea in materia di concessione e monitoraggio dei prestiti (Loan Origination and Monitoring Guidelines - LOM) e le linee guida della Banca Centrale Europea sui rischi climatici e ambientali, sono solo alcuni fattori che stanno modificando l’assetto strategico ed operativo del sistema bancario. A fronte della crisi pandemica il sistema bancario è stato parte attiva nell’attuazione degli impegni legislativi - il decreto moratorie (DL 18/2020) e il decreto liquidità (DL 23/2020) – emessi con l’obiettivo di sostenere l’economia reale in un periodo di rallentamento della crescita economica. Obiettivo del volume è capire, in un contesto di cambiamento come quello che ha caratterizzato le ultime due decadi, quali siano da un lato le sfide competitive delle imprese verso un nuovo modello imprenditoriale che necessita di una gestione finanziaria più innovativa, e dall’altro come le banche possono rispondere a tali rinnovate esigenze. Si tratta in altri termini di analizzare l’evoluzione del rapporto banca-impresa focalizzando l’attenzione sia sui fattori di offerta dei servizi finanziari, sia sulle determinanti delle fonti di finanziamento delle imprese. Data l’importanza delle PMI nel nostro sistema economico l’intero lavoro sarà sviluppato enfatizzando le problematiche di tipo finanziario e gestionale di questa categoria di imprese. Nella prima parte del lavoro (capitoli 1-2) ci concentreremo sull’analisi della domanda e dell’offerta delle fonti di finanziamento, con particolare attenzione ai fattori che stanno contribuendo a mutare da un lato i bisogni finanziari delle imprese e dall’altro la funzione creditizia della banca. Nella seconda parte del volume (capitoli 3-4) si studiano le ragioni delle recenti trasformazioni del sistema bancario guidate sia da processi endogeni – come quello delle aggregazioni e fusioni avviate nel tentativo di raggiungere un maggiore efficientamento delle strutture – sia da cause esogene come quelle regolamentari. Sul fronte della regolamentazione l’obiettivo è innanzitutto, approfondire la logica forward looking che è alla base degli Orientamenti in materia di concessione e monitoraggio dei prestiti; inoltre, valutare il rafforzamento degli Accordi di Basilea in un’ottica di maggiore garanzia di stabilità del sistema bancario; infine, comprendere le implicazioni che aspettative del regolatore in tema di sostenibilità ambientale, sociale e di governance (politiche ESG). Concentrandoci sul lato della domanda delle fonti di finanziamento nel primo capitolo del volume analizziamo, innanzitutto, i presupposti teorici che sono alla base della moderna teoria della capital structure (Trade-off Theory e Pecking Order Theory), per poi indagare da un punto di vista empirico le determinanti delle fonti di finanziamento delle PMI in Italia. La Pecking Order Theory (Myers, 1984 e Myers-Majluf, 1984) suggerisce che le imprese preferiscono il finanziamento interno a quello esterno e tra le fonti di finanziamento esterne esiste una preferenza del debito rispetto all’equity. Inoltre, vedremo come argomentazioni teoriche legate alla teoria dell’agenzia (Jensen e Meckling, 1976), alla teoria della segnalazione (Ross, 1977) e alla teoria dell’intermediazione finanziaria (Greenbaum et al., 2019) contribuiscono ad investigare ulteriormente le motivazioni che determinano la struttura finanziaria delle PMI. L’indagine delle ragioni che sono alla base della decisione sul mix delle fonti di finanziamento resta, da un punto di vista sia teorico sia empirico, una questione ancora ampiamente dibattuta e non conclusiva (Frank e Goyal, 2008 e 2009). L’utilizzo di debito come fonte di finanziamento implica infatti un aumento dei costi dell’impresa e può portare ad un aumento del rischio di bancarotta. La letteratura finanziaria si è dunque generalmente focalizzata sul contratto di debito che è stato spesso ipotizzato quale metodo ottimale di finanziamento (Leland e Pyle, 1977; Diamond, 1984). In letteratura esistono, tuttavia, risultati contradditori. Da un lato, alcuni autori sostengono che imprese ad alto rischio preferiscono il contratto di debito a quello di equity (Hellmann e Stiglitz, 2000; Lemmon e Zender, 2010). Dall’altro lato, altri autori sostengono che le imprese scelgono tanto più equity quanto maggiore è il rischio associato al progetto che vogliono finanziare. Se, tuttavia, questo è il risultato di una scelta volontaria effettuata dall’imprenditore ex-ante (Ueda, 2004; Hirukawa e Ueda, 2011; Ueda et al., 2019) o la conseguenza del razionamento del credito da parte della banca (Bolton e Freixas, 2000; Lemmon e Roberts, 2010; Angori et al., 2020) resta una questione meritevole di ulteriori approfondimenti. I modelli teorici presentati in questo capitolo – dalla teoria dei saldi finanziari alla teoria della struttura delle fonti di finanziamento – sono aggiornati tenendo conto dei dati del sistema imprenditoriale e finanziario nazionale ed internazionale. L’ultima parte del capitolo è dedicata alla struttura delle fonti di finanziamento in funzione del ciclo di vita dell’impresa, con particolare enfasi al ruolo delle asimmetrie informative. La prevalenza di un modello che indica la scelta delle fonti di finanziamento in funzione delle asimmetrie informative suggerisce una gerarchia che vorrebbe al primo posto il ricorso alle fonti interne di finanziamento e successivamente a quelle esterne di natura bancaria e solo in una fase finale a quelle di mercato (Berger e Udell, 1998). Tale framework teorico potrebbe, tuttavia, mutare per effetto di variabili esogene come l’orientamento della struttura del sistema finanziario, di tipo relationship-based oppure di tipo arm’s lenght based. Il diverso contesto istituzionale in cui operano le imprese impatta sulle modalità di finanziamento delle stesse. Gli studi suggeriscono che, in un paese orientato alle banche come l’Italia, le imprese tendono ad adottare strategie di finanziamento specifiche e una diversa gerarchia del processo di finanziamento in funzione del loro ciclo di vita aziendale. In particolare, il debito si dimostra fondamentale per le attività imprenditoriali nelle fasi di avvio dell’attività imprenditoriale soprattutto se le imprese sono di piccola e media dimensione. Al contrario, nella fase di maturità, le imprese riequilibrano la loro struttura del capitale, sostituendo gradualmente il debito con fonti di finanziamento interne secondo una logica di gerarchia delle fonti di finanziamento. Al fine di capire eventuali limiti alle scelte di investimento delle PMI dovuti alla presenza di vincoli finanziari, nel secondo capitolo, indaghiamo da un punto di vista teorico ed empirico come un rapporto ripetuto e continuativo (relationship lending) tra banca e impresa possa allentare eventuali vincoli finanziari e limitare l’impatto del razionamento del credito sulle scelte di finanziamento dell’impresa. Il relationship lending o credito di relazione si configura come un rapporto tra banca e impresa fondato prevalentemente su informazioni confidenziali e non codificate (la cosiddetta soft information), indispensabili per valutare il merito creditizio di una clientela caratterizzata da opacità informativa. Le verifiche empiriche, fino ad ora condotte, hanno in generale evidenziato come un rapporto tra banca e impresa sviluppato su una logica relazionale sia associato a migliori condizioni di affidamento: maggiore quantità di credito, tassi di interesse più bassi e minori richieste di garanzie. Tale modello non esclude, tuttavia, il ricorso a forme di relazione di clientela più standardizzate ed impersonali come il transaction lending basato più propriamente su informazioni di tipo quantitativo-oggettivo (hard information). L’analisi teorica e l’evidenza empirica suggeriscono che i due modelli non si escludono ma si completano in quello che in letteratura è conosciuto come il modello di corporate banking. Il relationship lending non scompare ma si evolve in un modello di relazione più completo ed articolato: il corporate banking. Più propriamente i recenti lavori sul tema parlano di tecnologie di lending caratterizzate da diverse sfumature di combinazioni di hard e soft information (Udell, 2018; Brighi et al., 2019). Il razionamento del credito si verifica quando la domanda di credito eccede l’offerta, ovvero ogni volta che il prezzo del credito è inferiore a quello di equilibrio. L’obiettivo è cercare di capire, anche da un punto di vista empirico, perché la banca anziché decidere di aumentare il tasso di interesse sui prestiti al fine di riportare in equilibrio il mercato, come suggerito dalla teoria neoclassica dei prezzi, preferisce razionare parte della clientela. Da un punto di vista empirico il razionamento del credito rimane, tuttavia, un fenomeno di difficile quantificazione. Tradizionalmente per le imprese il razionamento del credito rappresenta sia un problema di quantità di credito ottenuto sia di costo sopportato. Si tratta, dunque, di misurare da un lato l’andamento dei tassi di interesse sui prestiti e dall’altro quello della quantità di credito accordata ed utilizzata. In presenza di razionamento ci si aspetta una certa rigidità sia nelle quantità sia nei prezzi del credito. In particolare, il premio per il rischio sui prestiti – definito come differenza tra il tasso di interesse sui presiti e quello di un titolo pubblico privo di rischio di pari durata – è negativamente correlato con i tassi di mercato. Prevale, in altri termini, una certa rigidità dei tassi di interesse; la banca preferisce non aumentare il tasso di interesse oltre un certo valore soglia al fine di limitare eventuali rischi di adverse selection e moral hazard. I problemi di asimmetria informativa tra banca e impresa ed eventuali conseguenti forme di razionamento del credito possono essere attenuate attraverso forme di signalling quali il cofinanziamento mediante capitale proprio (Leland e Pyle, 1977) e l’offerta di garanzie (Bester, 1985), oppure mediante la creazione di un rapporto esclusivo con una banca di riferimento – relationship lending. Diversi studi empirici suggeriscono che il razionamento del credito appare un fenomeno particolarmente diffuso tra le aziende giovani, piccole e che investono in Ricerca e Sviluppo (R&S). I vincoli finanziari appaiono vieppiù evidenti in periodi di crisi economica come quelli che hanno caratterizzato l’ultima decade (Brighi e Venturelli, 2017; Barbieri et al., 2020). Un modo per superare il problema del razionamento soprattutto in periodi di crisi è attraverso la garanzia pubblica che con riferimento alla recente crisi pandemica sembra essere stato uno strumento che ha allentato almeno nell’immediato i problemi di liquidità delle piccole e medie imprese (PMI) causati dal lock-down. I decreti legislativi in tema di moratorie e di nuova liquidità oltre al Fondo di garanzia del Ministero dello Sviluppo Economico (Ciani et al., 2020) si sono rilevati strumenti utili per prevenire il rischio di razionamento in un momento particolarmente critico della congiuntura economica. I mutamenti dei fattori di domanda e di offerta dei servizi finanziari-bancari discussi nella prima parte del lavoro non possono, peraltro, prescindere da una serie di fattori strutturali e regolamentari che stanno continuando a mutare il contesto competitivo di operatività delle banche attraverso un processo di consolidamento divenuto vieppiù necessario anche sotto la spinta del regolatore (Guide on the supervisory approach to consolidation in the banking sector - ECB, 2021). Il tema trattato nel capitolo terzo parte dall’ondata di fusioni che ha progressivamente ridotto il numero degli intermediari ha aumentato la concentrazione del mercato con inevitabili effetti sulla struttura dell’offerta dei servizi finanziari. Le crisi bancarie che hanno caratterizzato gli anni successivi alle due crisi – quella finanziaria del 2008 e quella del debito sovrano – hanno spinto le banche dapprima ad un forte ridimensionamento della rete di filiali e successivamente ad un intenso processo di aggregazioni e acquisizioni nel tentativo di ritrovare una maggiore efficienza di costo e di profitto (Bernini e Brighi, 2018; Beccalli e Rossi, 2020; Bonaccorsi di Patti e Ciocchetta, 2020). La spinta al consolidamento nel sistema bancario si è ulteriormente rafforzata con la riforma del credito cooperativo (D.L. 14 febbraio 2016, n. 18) che ha portato alla costituzione dei due gruppi bancari Cassa Centrale Banca e ICCREA nonché dell’Institutional Protection Scheme delle Raifassen altoatesine a partire dal 2019. Numerosi studi hanno indagato gli effetti del processo di consolidamento del sistema bancario sul rapporto banca-impresa. Il cambiamento endogeno della struttura del sistema bancario produce inevitabili effetti sulle condizioni di credito praticate alle imprese soprattutto se di piccola dimensione. Sapienza (2002) con riferimento ai primi anni ’90 conferma questa tesi mostrando che i processi di aggregazione riducono la propensione della banca a concedere prestiti alle imprese di minori dimensioni e ne aumentano la probabilità di razionamento. Questo tema viene ulteriormente approfondito con riferimento ai processi di concentrazione di fine anni Novanta relativamente ai quali Panetta et al. (2004) trovano che, grazie ad un più efficiente utilizzo del set informativo disponibile alle banche, hanno comportato un aumento dei tassi per i clienti di bassa qualità e un calo per i debitori di alta qualità (effetto fly to quality). Nell’ambito di questa letteratura alcuni studi (Forestieri e Tirri, 2004 e Tirri, 2007) dimostrano che la maggiore concentrazione del sistema bancario non sembra penalizzare le imprese in termini di credito concesso qualora esista una relazione continua, ripetuta e duratura tra banca e impresa (relationship lending). Da questo punto di vista la letteratura sul relationship lending sembra suggerire che sia definitivamente superato il modello tradizionale in base al quale esisteva una dicotomia piccola banca-piccola impresa versus grande banca-grande impresa (Berger e Udell, 1996, DeYoung et al., 2004 e DeYoung e Rice, 2004). Le innovazioni tecnologiche alla base del fintech creano peraltro nuovi competitors per il sistema bancario per cui le banche che devono rafforzarsi attraverso forme aggregative che consentano non solo di ottenere economie di scala e di scopo ma anche di innovarsi tecnologicamente per meglio gestire la concorrenza del fintech. Tuttavia, prima di avanzare valutazioni di tipo normativo sui possibili vantaggi/svantaggi associati al recente processo di consolidamento bancario nuove indagini empiriche si rendono non solo necessarie ma indispensabili dal momento che per gli effetti dei processi aggregativi necessitano dai tre ai cinque anni per produrre le attese economie di scala. Come anticipato nei capitoli precedenti i diversi processi che hanno caratterizzato i cambiamenti strutturali del sistema bancario sono spesso spinti dalla regolamentazione bancaria e qualsiasi valutazione in termini di efficacia del rapporto banca-impresa non ne può prescindere. Nel capitolo quarto si approfondisce la funzione creditizia della banca e del rischio di credito ad esso collegato. Gli Orientamenti EBA in materia di concessione e monitoraggio dei prestiti (EBA/GL/2020/06) identificano i processi e i meccanismi di concessione del credito nel rispetto di standard creditizi robusti e prudenti nel rispetto da un lato di una prudente politica dei crediti da parte della banca e dall’altro di una giusta protezione dei clienti della banca garantendo da un punto di vista macroeconomico la stabilità e la resilienza del sistema bancario europeo. La banca nella sua operatività è soggetta oltre al rischio di credito a numerosi altri rischi finanziari di cui nella parte successiva del capitolo viene fornita una mappatura tassonomica. I rischi sono classificati in due grandi categorie: rischi tradizionali e rischi nuovi. Tra i rischi nuovi ampio spazio è dedicato ai rischi ambientali, sociali e di governo (rischi ESG) che vengono discussi sia da un punto di vista più propriamente regolamentare sia teorico. Gli obiettivi ONU 2030, l’impegno a livello europeo in tema di Green Deal, la normativa DNF (Direttiva Europea 95/2014 e successivo recepimento D. Lgs. 254/2016) aprono il dibattito in ambito finanziario sui rischi non finanziari tra cui i rischi ESG. La consapevolezza di una Governance informata e attenta alla sostenibilità e all’ambiente rappresenta l’obiettivo trasversale all’interno delle Organizzazioni Finanziarie e non solo. Se da un punto di vista definitorio i rischi ESG potrebbero essere trattati in modo a sé stante, da un punto di vista operativo spesso diventa difficile scorporarli dai rischi tradizionali – credito, mercato, liquidità e operativo. Alla luce anche delle Aspettative BCE sui rischi climatici e ambientali (cit. Guida sui rischi climatici e ambientali - Aspettative di vigilanza in materia di gestione dei rischi e informativa – Novembre 2020) e monitorando le best practices di alcuni operatori del sistema appare dunque più coerente considerare tali rischi come un di cui dei rischi più tradizionali senza, perciò, togliere l’importanza che gli stessi possono comportare da un punto di vista strategico e di policy. Anche il discussion paper dell’EBA del 30/10/2020 sembra andare in questa direzione. I rischi ESG sono trasversali a qualsiasi processo aziendale, tanto più a quello di governo dei rischi e rientrano quindi come driver dei rischi rilevanti a partire dalla loro definizione e dalla loro collocazione all’interno del processo di mappatura dei rischi. La loro significatività dipende dagli impatti finanziari del passaggio ad un’economia circolare e più sostenibile e quindi possono avere diverse ‘’collocazioni’’ e un diverso grado di significatività nel breve, medio e lungo termine. Infine, approfondiamo gli aggiornamenti degli Accordi di Basilea in tema di patrimonializzazione delle banche a tutela della stabilità del sistema bancario. La gestione dei rischi rientra a tutti gli effetti nella più ampia regolamentazione di Basilea i cui accordi definiscono le regole prudenziali delle banche che vi hanno aderito. I tre pilasti degli Accordi di Basilea stabiliscono: i) il requisito patrimoniale delle banche; ii) il controllo prudenziale e iii) la disciplina di mercato. Nell’ambito del secondo pilastro approfondiamo il processo di Supervisory Review and Evaluation Process utilizzando: i) il business model; ii) l’Internal Capital Adequacy Assessment Process (ICAAP); iii) l’Internal Liquidity Adequacy Assessment Process (ILAAP) e iv) la governance.
2024
297
9788838612176
PAOLA BRIGHI
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11585/956905
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