Dalla cultura del libro alla cultura digitale?

L’immagine delle due culture – quella del libro e quella digitale – è frequente. Se da una parte essa facilita il compito di chi prova a leggere il nuovo cogliendone la discontinuità con il passato, dall’altra accredita subito l’idea di una dialettica tra le due suggerendo quasi automaticamente le iscrizioni e le appartenenze all’una o all’altra. L’Emergency Remote Teaching correlato alla pandemia e alle sue conseguenze sulla possibilità della frequenza scolastica ha portato sotto i riflettori la Didattica a distanza (Dad) e la Didattica digitale integrata (Ddi) con due risultati: ridurre il dibattito sull’innovazione a un problema di presenza o distanza e produrre un arroccamento pregiudiziale in favore della presenza. Contemporaneità e multimodalità sono per ora le due parole-chiave che ci possono aiutare a meglio caratterizzare la prospettiva dell’innovazione in scuola. In questo paragrafo ne aggiungiamo una terza che riguarda il ruolo dell’insegnante: credibilità. Marianne Wolf [2018], in un libro pensato in forma epistolare in cui si rivolge direttamente al suo lettore, fa una proposta che interpreta alla perfezione l’idea di innovazione. L’ipotesi della psicologa americana è di educare un cervello bilingue: sostituire alla logica dell’aut-aut quella dell’et-et. Un cervello bilingue è in grado di servirsi della logica sequenziale, tipica della cultura alfabetica, e di quella topologica, propria della cultura digitale. È una prospettiva che convince e che suggerisce piste di lavoro per la didattica di scuola.