In Blonde Roots (2009) di Bernardine Evaristo il device del fantastico che riveste gli eventi della tratta degli schiavi cela un romanzo il cui realismo storico viene narrato in modo estremamente concreto, e che, condividendo l’attenzione della distopia alle materialità dei contesti culturali, afferisce alla definizione della “social science fiction” (Pagetti, 2012, p. 216). Sono proprio le connotazioni materiali a costruire il contrasto culturale tra mondo colonizzato e colonizzatore (Newman, 2012): sin dalle prime pagine il mondo schiavizzatore (the United Kingdom of Great Ambossa) viene caratterizzato nella sua alterità dai suoi pervasivi odori, colori e sapori. Tale concretezza non traspare solo nelle descrizioni del cibo e delle bevande che vengono costantemente consumate dai colonizzatori neri, ma anche nella corporeità estrema che caratterizza l’esistenza degli schiavi bianchi, desoggettivizzati dalla loro identificazione con merce da consumare (Pasolini; Vallorani, 2020). In questo senso diventa particolarmente interessante vedere come il cibo possa venire riconfigurato da Doris e dagli altri schiavi come strumento di creazione e consolidamento identitario, sia nella sua forma materica che nella forma immateriale del ricordo: in conflitto con il mondo iperconcreto attraversato da Doris in fuga, la narrazione è costellata dei ricordi della sua nativa Cabbage Coast, che Doris non raggiungerà mai e che viene presentata al lettore solo sotto forma delle memorie sensoriali della protagonista. Il tema del cibo sarà dunque analizzato a partire dai vari contesti narrativi (la fuga, gli episodi ricordati, e la sezione finale nella piantagione) e si vedrà come la riappropriazione delle facoltà positive del cibo da parte di Doris attraverso il ricordo è fondamentale anche per la riappropriazione del proprio corpo, che da bene da consumare diventa “premessa per la messa in atto di una politica di resistenza culturale” (Gendusa, 2014, p. 63).

Un corpo sradicato: cibo come simbolo e strumento di identità e appartenenza in Blonde Roots di Bernardine Evaristo

Marta Olivi
2023

Abstract

In Blonde Roots (2009) di Bernardine Evaristo il device del fantastico che riveste gli eventi della tratta degli schiavi cela un romanzo il cui realismo storico viene narrato in modo estremamente concreto, e che, condividendo l’attenzione della distopia alle materialità dei contesti culturali, afferisce alla definizione della “social science fiction” (Pagetti, 2012, p. 216). Sono proprio le connotazioni materiali a costruire il contrasto culturale tra mondo colonizzato e colonizzatore (Newman, 2012): sin dalle prime pagine il mondo schiavizzatore (the United Kingdom of Great Ambossa) viene caratterizzato nella sua alterità dai suoi pervasivi odori, colori e sapori. Tale concretezza non traspare solo nelle descrizioni del cibo e delle bevande che vengono costantemente consumate dai colonizzatori neri, ma anche nella corporeità estrema che caratterizza l’esistenza degli schiavi bianchi, desoggettivizzati dalla loro identificazione con merce da consumare (Pasolini; Vallorani, 2020). In questo senso diventa particolarmente interessante vedere come il cibo possa venire riconfigurato da Doris e dagli altri schiavi come strumento di creazione e consolidamento identitario, sia nella sua forma materica che nella forma immateriale del ricordo: in conflitto con il mondo iperconcreto attraversato da Doris in fuga, la narrazione è costellata dei ricordi della sua nativa Cabbage Coast, che Doris non raggiungerà mai e che viene presentata al lettore solo sotto forma delle memorie sensoriali della protagonista. Il tema del cibo sarà dunque analizzato a partire dai vari contesti narrativi (la fuga, gli episodi ricordati, e la sezione finale nella piantagione) e si vedrà come la riappropriazione delle facoltà positive del cibo da parte di Doris attraverso il ricordo è fondamentale anche per la riappropriazione del proprio corpo, che da bene da consumare diventa “premessa per la messa in atto di una politica di resistenza culturale” (Gendusa, 2014, p. 63).
2023
Dialoghi sull’identità
265
279
Marta Olivi
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11585/954976
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