L’orizzonte meramente tecnicistico su cui ogni tipo di riflessione sembra oggi rischiare di appiattirsi non solo non cancella quegli interrogativi fondamentali che si confermano ineludibili per ciascuna disciplina in cui si ramifica il pensiero giuridico: ma li rivela, anzi, in tutta la loro impellenza. È dunque a tale necessità che facciamo riferimento nel cogliere e sottolineare il bisogno che si avverte di ‘un’anima per il diritto’, ispirandoci in modo particolare a quegli ammonimenti che Aleksandr Solženicyn rivolgeva a studiosi e accademici dell’Università di Harvard nel 1978 e che, a distanza di decenni, mantengono intatta la loro validità. Muovendo dalla domanda «se mi chiedessero: vorrebbe proporre al suo paese, quale modello, l’Occidente così com’è oggi?, dovrei rispondere con franchezza: no, non potrei raccomandare la vostra società come ideale per la trasformazione della nostra. Data la ricchezza di crescita spirituale che in questo secolo il nostro paese ha acquistato nella sofferenza, il sistema occidentale, nel suo attuale stato di esaurimento spirituale, non presenta per noi alcuna attrattiva» – dichiarazione che si riempie di significato alla luce della vicenda personale, tanto dolorosa quanto nota, di colui che l’ha pronunciata –, l’intellettuale russo individuava infatti con profetica lucidità i sintomi e le cause di tale declino. In questo senso, ad interpellarci in modo precipuo in quanto giuristi è soprattutto l’osservazione secondo cui «in conformità ai propri obiettivi la società occidentale ha scelto la forma d’esistenza che le era più comoda e che io definirei giuridica»: una ‘forma d’esistenza’ che tuttavia è stata assunta come fondamento esclusivo e per ciò stesso privata dell’anelito a una dimensione superiore capace di giustificarla. Con l’inevitabile, correlata conseguenza che «l’autolimitazione liberamente accettata è una cosa che non si vede quasi mai: tutti praticano per contro l’autoespansione, condotta fino all’estrema capienza delle leggi, fino a che le cornici giuridiche cominciano a scricchiolare». Sono queste le premesse da cui scaturisce quel complesso di valutazioni che trova la sua sintesi più efficace nella seguente affermazione, dalla quale intendiamo a nostra volta prendere idealmente le mosse: «No, la società non può restare in un abisso senza leggi come da noi, ma è anche derisoria la proposta di collocarsi, come qui da voi, sulla superficie tirata a specchio di un giuridismo senz’anima». Se è tale monito a costituire il principio ispiratore della presente collana di studi, quest’ultima trova nella stessa fonte anche la stella polare da seguire per cercare risposte. Essa, rinvenibile in tutti i passaggi più pregnanti del discorso, si scolpisce icasticamente nell’esortazione – che facciamo nostra – con cui si chiude: «E nessuno, sulla Terra, ha altra via d’uscita che questa: andare più in alto».
Boni, G. (In stampa/Attività in corso). Un'anima per il diritto: andare più in alto.
Un'anima per il diritto: andare più in alto
Boni, Geraldina
In corso di stampa
Abstract
L’orizzonte meramente tecnicistico su cui ogni tipo di riflessione sembra oggi rischiare di appiattirsi non solo non cancella quegli interrogativi fondamentali che si confermano ineludibili per ciascuna disciplina in cui si ramifica il pensiero giuridico: ma li rivela, anzi, in tutta la loro impellenza. È dunque a tale necessità che facciamo riferimento nel cogliere e sottolineare il bisogno che si avverte di ‘un’anima per il diritto’, ispirandoci in modo particolare a quegli ammonimenti che Aleksandr Solženicyn rivolgeva a studiosi e accademici dell’Università di Harvard nel 1978 e che, a distanza di decenni, mantengono intatta la loro validità. Muovendo dalla domanda «se mi chiedessero: vorrebbe proporre al suo paese, quale modello, l’Occidente così com’è oggi?, dovrei rispondere con franchezza: no, non potrei raccomandare la vostra società come ideale per la trasformazione della nostra. Data la ricchezza di crescita spirituale che in questo secolo il nostro paese ha acquistato nella sofferenza, il sistema occidentale, nel suo attuale stato di esaurimento spirituale, non presenta per noi alcuna attrattiva» – dichiarazione che si riempie di significato alla luce della vicenda personale, tanto dolorosa quanto nota, di colui che l’ha pronunciata –, l’intellettuale russo individuava infatti con profetica lucidità i sintomi e le cause di tale declino. In questo senso, ad interpellarci in modo precipuo in quanto giuristi è soprattutto l’osservazione secondo cui «in conformità ai propri obiettivi la società occidentale ha scelto la forma d’esistenza che le era più comoda e che io definirei giuridica»: una ‘forma d’esistenza’ che tuttavia è stata assunta come fondamento esclusivo e per ciò stesso privata dell’anelito a una dimensione superiore capace di giustificarla. Con l’inevitabile, correlata conseguenza che «l’autolimitazione liberamente accettata è una cosa che non si vede quasi mai: tutti praticano per contro l’autoespansione, condotta fino all’estrema capienza delle leggi, fino a che le cornici giuridiche cominciano a scricchiolare». Sono queste le premesse da cui scaturisce quel complesso di valutazioni che trova la sua sintesi più efficace nella seguente affermazione, dalla quale intendiamo a nostra volta prendere idealmente le mosse: «No, la società non può restare in un abisso senza leggi come da noi, ma è anche derisoria la proposta di collocarsi, come qui da voi, sulla superficie tirata a specchio di un giuridismo senz’anima». Se è tale monito a costituire il principio ispiratore della presente collana di studi, quest’ultima trova nella stessa fonte anche la stella polare da seguire per cercare risposte. Essa, rinvenibile in tutti i passaggi più pregnanti del discorso, si scolpisce icasticamente nell’esortazione – che facciamo nostra – con cui si chiude: «E nessuno, sulla Terra, ha altra via d’uscita che questa: andare più in alto».I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.