«La storia non deve stancarsi di ripetere che in essa vige un criterio di misura del tutto diverso dalla moralità e dalla virtù privata», scriveva Droysen (1808-1884) nel 1838. Incomincia così la sua riconsiderazione radicale del giudizio ostile dei contemporanei e dei posteri sull’ateniese Cleone, leader della democrazia ateniese dopo la scomparsa di Pericle. Già noto al grande pubblico per il suo straordinario Alessandro, Droysen ripensava l’Atene del tardo V secolo attraverso la più importante fonte contemporanea: le undici commedie di Aristofane, da lui amorevolmente tradotte. A ciascuna premise una mirabile introduzione: undici saggi storico-letterari, scritti dal più grande «ellenista» del primo Ottocento, che qui vengono raccolti e presentati nella loro prima stesura. Aristofane divide, come ogni grande fazioso. Non vuole piacere a tutti. Egli ebbe per anni, agli inizi della sua carriera, un gigantesco nemico, anche personalmente tale: Cleone; e lo ha odiato con tutte le sue forze. E se ne è vendicato, nella sua commedia più politica, i Cavalieri, che è alla base dell’immagine tradizionale del demagogo, durata secoli. Droysen non intende affatto rivalutare l’antica democrazia e il suo capo più esecrato. Ma, da grande storico, aborre i «libri neri». «Nessuno» scrive «si presterà a tessere le lodi del sanguinario Robespierre o del selvaggio Mario; ma nella loro opera essi hanno incarnato i sentimenti e hanno ricevuto l’approvazione di migliaia di uomini, dai quali li separava solo quell’infausta grandezza, o violenza di carattere, che è capace di non inorridire dinanzi all’azione». E soggiunge, tornando a Cleone, che ci sono momenti in cui quegli uomini sono necessari: «si tratta di offendere diritti, di abbattere antiche istituzioni venerabili; eppur si loda la mano audace e salda che ha aperto la via dell’età nuova e si dimentica la colpa, che è inseparabile dall’azione umana». Anche l’Alessandro aveva ribaltato un giudizio moralistico tradizionale sul grande macedone e sull’età cui quel terribile e meteorico sovrano aveva dato avvio. In questo senso l’Aristofane, di pochi anni successivo ma che ha finora goduto presso i lettori, a torto, di minor fortuna si muove nella stessa scìa.
BONACINA, G. (1998). Aristofane. Introduzione alle commedie, di J.G. Droysen. Palermo : Sellerio editore Palermo.
Aristofane. Introduzione alle commedie, di J.G. Droysen
BONACINA, GIOVANNI
1998
Abstract
«La storia non deve stancarsi di ripetere che in essa vige un criterio di misura del tutto diverso dalla moralità e dalla virtù privata», scriveva Droysen (1808-1884) nel 1838. Incomincia così la sua riconsiderazione radicale del giudizio ostile dei contemporanei e dei posteri sull’ateniese Cleone, leader della democrazia ateniese dopo la scomparsa di Pericle. Già noto al grande pubblico per il suo straordinario Alessandro, Droysen ripensava l’Atene del tardo V secolo attraverso la più importante fonte contemporanea: le undici commedie di Aristofane, da lui amorevolmente tradotte. A ciascuna premise una mirabile introduzione: undici saggi storico-letterari, scritti dal più grande «ellenista» del primo Ottocento, che qui vengono raccolti e presentati nella loro prima stesura. Aristofane divide, come ogni grande fazioso. Non vuole piacere a tutti. Egli ebbe per anni, agli inizi della sua carriera, un gigantesco nemico, anche personalmente tale: Cleone; e lo ha odiato con tutte le sue forze. E se ne è vendicato, nella sua commedia più politica, i Cavalieri, che è alla base dell’immagine tradizionale del demagogo, durata secoli. Droysen non intende affatto rivalutare l’antica democrazia e il suo capo più esecrato. Ma, da grande storico, aborre i «libri neri». «Nessuno» scrive «si presterà a tessere le lodi del sanguinario Robespierre o del selvaggio Mario; ma nella loro opera essi hanno incarnato i sentimenti e hanno ricevuto l’approvazione di migliaia di uomini, dai quali li separava solo quell’infausta grandezza, o violenza di carattere, che è capace di non inorridire dinanzi all’azione». E soggiunge, tornando a Cleone, che ci sono momenti in cui quegli uomini sono necessari: «si tratta di offendere diritti, di abbattere antiche istituzioni venerabili; eppur si loda la mano audace e salda che ha aperto la via dell’età nuova e si dimentica la colpa, che è inseparabile dall’azione umana». Anche l’Alessandro aveva ribaltato un giudizio moralistico tradizionale sul grande macedone e sull’età cui quel terribile e meteorico sovrano aveva dato avvio. In questo senso l’Aristofane, di pochi anni successivo ma che ha finora goduto presso i lettori, a torto, di minor fortuna si muove nella stessa scìa.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.