Discutere di processi di demolizione di edifici popolari fatiscenti è un tema ricco di controversie. Il più delle volte questo dibattito è animato da figure professionali “esperte” e dotate di competenze tecniche specifiche, mentre viene data minor rilevanza alle condizioni sociali che sottendono a questo tema. Detto altrimenti, quando si parla di demolizione si pensa all’atto demolitivo in sé, alla sua convenienza o meno in termini di spesa e alla gestione del ricollocamento, ovvero al governo delle conseguenze della demolizione. Mentre non si discute abbastanza del processo sociale che ha generato la necessità di discutere della demolizione stessa. In effetti, non si tratta sempre di una decisione nata all’interno di uffici tecnici o nell’ambito politico locale. La demolizione può configurarsi anche come esito di discorsi ed iniziative che si sviluppano all’interno dei gruppi che abitano quegli spazi. Discorsi ed iniziative i cui effetti possono andare ben oltre gli obiettivi che si pongono, innescando dinamiche e problematiche inattese, non necessariamente volute, che, a differenza degli edifici, non possono essere semplicemente demolite e che non cessano con la cancellazione di alcuni spazi. Dall’altro lato i processi di demolizione che riguardano alcuni quartieri popolari non sempre tengono conto delle dinamiche socio-economiche preesistenti all’abbattimento, in alcuni casi informali e su cui tali processi possono impattare negativamente. Il presente contributo, dunque, intende prestare attenzione a questi due momenti che precedono e succedono all’atto demolitivo. In particolar modo, a partire dal caso della periferia nord di Napoli, cercheremo di mostrare da un lato come si sia creata socialmente la necessità di demolire alcuni noti edifici del quartiere Scampia e gli effetti inattesi generati da questa necessità; dall’altro, invece, presteremo attenzione a dei problemi particolarmente significativi che sono scaturiti a seguito della decisione di demolire questi edifici e dell’abbattimento vero e proprio. Come vedremo nel dettaglio, i comitati di quartiere che hanno sostenuto con forza la demolizione degli edifici in cui risiedevano, hanno alimentato involontariamente un processo di stigmatizzazione territoriale, facendo divenire il quartiere stesso il più importante emblema del degrado urbano contemporaneo. D’altro canto, a seguito della decisione di demolire queste unità abitative, sono stati interrotti bruscamente i processi di compravendita e di affitto delle case popolari su cui una parte del quartiere fondava la propria sussistenza e progettualità, creando inoltre situazioni amministrativamente complesse e irregolari.

Carolina Mudan Marelli (2023). La demolizione come fatto sociale. Problemi e controversie a partire dal caso della periferia nord di Napoli. Genova : Sagep editori.

La demolizione come fatto sociale. Problemi e controversie a partire dal caso della periferia nord di Napoli

Carolina Mudan Marelli
Primo
2023

Abstract

Discutere di processi di demolizione di edifici popolari fatiscenti è un tema ricco di controversie. Il più delle volte questo dibattito è animato da figure professionali “esperte” e dotate di competenze tecniche specifiche, mentre viene data minor rilevanza alle condizioni sociali che sottendono a questo tema. Detto altrimenti, quando si parla di demolizione si pensa all’atto demolitivo in sé, alla sua convenienza o meno in termini di spesa e alla gestione del ricollocamento, ovvero al governo delle conseguenze della demolizione. Mentre non si discute abbastanza del processo sociale che ha generato la necessità di discutere della demolizione stessa. In effetti, non si tratta sempre di una decisione nata all’interno di uffici tecnici o nell’ambito politico locale. La demolizione può configurarsi anche come esito di discorsi ed iniziative che si sviluppano all’interno dei gruppi che abitano quegli spazi. Discorsi ed iniziative i cui effetti possono andare ben oltre gli obiettivi che si pongono, innescando dinamiche e problematiche inattese, non necessariamente volute, che, a differenza degli edifici, non possono essere semplicemente demolite e che non cessano con la cancellazione di alcuni spazi. Dall’altro lato i processi di demolizione che riguardano alcuni quartieri popolari non sempre tengono conto delle dinamiche socio-economiche preesistenti all’abbattimento, in alcuni casi informali e su cui tali processi possono impattare negativamente. Il presente contributo, dunque, intende prestare attenzione a questi due momenti che precedono e succedono all’atto demolitivo. In particolar modo, a partire dal caso della periferia nord di Napoli, cercheremo di mostrare da un lato come si sia creata socialmente la necessità di demolire alcuni noti edifici del quartiere Scampia e gli effetti inattesi generati da questa necessità; dall’altro, invece, presteremo attenzione a dei problemi particolarmente significativi che sono scaturiti a seguito della decisione di demolire questi edifici e dell’abbattimento vero e proprio. Come vedremo nel dettaglio, i comitati di quartiere che hanno sostenuto con forza la demolizione degli edifici in cui risiedevano, hanno alimentato involontariamente un processo di stigmatizzazione territoriale, facendo divenire il quartiere stesso il più importante emblema del degrado urbano contemporaneo. D’altro canto, a seguito della decisione di demolire queste unità abitative, sono stati interrotti bruscamente i processi di compravendita e di affitto delle case popolari su cui una parte del quartiere fondava la propria sussistenza e progettualità, creando inoltre situazioni amministrativamente complesse e irregolari.
2023
I demoni della demolizione Tecniche, estetiche, esodi e intervalli temporali
56
67
Carolina Mudan Marelli (2023). La demolizione come fatto sociale. Problemi e controversie a partire dal caso della periferia nord di Napoli. Genova : Sagep editori.
Carolina Mudan Marelli
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