Come Cronos, che divorava i figli temendo che l’avrebbero scalzato, i populisti imputano al trascorrere del tempo l’erosione dell’armonia originaria, accusano il divenire della storia di offuscare la felicità dell’inizio. Si credono “progressisti”, ma sono “reazionari”: dalle tecnologie che “distruggono lavoro” al commercio che sfida “i produttori locali”, dalle nuove idee che causano “colonizzazione ideologica” alle industrie che devastano la “civiltà rurale”, dal mercato che “omogeneizza le culture” alle migrazioni che attentano alle “culture tradizionali”, ogni innovazione è per essi pericolo più che opportunità, ogni trasformazione è minaccia prima che possibilità. Alle innovazioni e alle trasformazioni oppongono perciò la statica “saggezza” del popolo, le sue “eterne” radici, la sua “anima” candida e la sua immota “cultura”: al dinamismo del mutamento preferiscono la staticità delle consuetudini, al pluralismo della società l’omogeneità della tribù, all’apertura al mondo la rassicurante autarchia. Madre di tutte le piaghe del “popolo”, origine d’ogni suo male, è dunque per i populismi “la modernità”. Modernità “liberale” se si parla di politica, modernità “razionalista” se si parla di idee, modernità “secolare” se si parla di fede, modernità “capitalista” se si parla d’economia, modernità “Occidentale” se si parla in generale. Tale è, gratta gratta, il brodo di coltura di tutte le “élite corrotte”, il detonatore della corruzione di tutti i “popoli puri” per ogni populismo: antico o moderno, di “destra” o di “sinistra”, cristiano o musulmano, slavo, bantù o latino. Sarà che nulla come il peculiare groviglio di rivoluzioni scientifiche e religiose, politiche e filosofiche che tra il XVI e il XIX secolo maturarono in Occidente ebbe sull’intero mondo l’effetto che per le origini dell’universo ebbe, se davvero vi fu, il celebre big bang: una vertiginosa accelerazione, un portentoso urto, una raffica di vento che scompigliò tutto e obbligò tutti a farvi conti. Il “populismo” lo fa a suon di luoghi comuni, luoghi comuni che ripetuti come verità indiscusse, recitati come preghiere, s’ergono a ideologie, le ideologie a miti, i miti a dogmi, i dogmi a fede. Questa è la catena che li rende così forti e popolari, così pericolosi e irrazionali.

Loris Zanatta (2023). Il populismo latinoamericano, un'ideologia di luoghi comuni. Milano : FrancoAngeli.

Il populismo latinoamericano, un'ideologia di luoghi comuni

Loris Zanatta
2023

Abstract

Come Cronos, che divorava i figli temendo che l’avrebbero scalzato, i populisti imputano al trascorrere del tempo l’erosione dell’armonia originaria, accusano il divenire della storia di offuscare la felicità dell’inizio. Si credono “progressisti”, ma sono “reazionari”: dalle tecnologie che “distruggono lavoro” al commercio che sfida “i produttori locali”, dalle nuove idee che causano “colonizzazione ideologica” alle industrie che devastano la “civiltà rurale”, dal mercato che “omogeneizza le culture” alle migrazioni che attentano alle “culture tradizionali”, ogni innovazione è per essi pericolo più che opportunità, ogni trasformazione è minaccia prima che possibilità. Alle innovazioni e alle trasformazioni oppongono perciò la statica “saggezza” del popolo, le sue “eterne” radici, la sua “anima” candida e la sua immota “cultura”: al dinamismo del mutamento preferiscono la staticità delle consuetudini, al pluralismo della società l’omogeneità della tribù, all’apertura al mondo la rassicurante autarchia. Madre di tutte le piaghe del “popolo”, origine d’ogni suo male, è dunque per i populismi “la modernità”. Modernità “liberale” se si parla di politica, modernità “razionalista” se si parla di idee, modernità “secolare” se si parla di fede, modernità “capitalista” se si parla d’economia, modernità “Occidentale” se si parla in generale. Tale è, gratta gratta, il brodo di coltura di tutte le “élite corrotte”, il detonatore della corruzione di tutti i “popoli puri” per ogni populismo: antico o moderno, di “destra” o di “sinistra”, cristiano o musulmano, slavo, bantù o latino. Sarà che nulla come il peculiare groviglio di rivoluzioni scientifiche e religiose, politiche e filosofiche che tra il XVI e il XIX secolo maturarono in Occidente ebbe sull’intero mondo l’effetto che per le origini dell’universo ebbe, se davvero vi fu, il celebre big bang: una vertiginosa accelerazione, un portentoso urto, una raffica di vento che scompigliò tutto e obbligò tutti a farvi conti. Il “populismo” lo fa a suon di luoghi comuni, luoghi comuni che ripetuti come verità indiscusse, recitati come preghiere, s’ergono a ideologie, le ideologie a miti, i miti a dogmi, i dogmi a fede. Questa è la catena che li rende così forti e popolari, così pericolosi e irrazionali.
2023
Democrazia, populismo e autoritarismo
146
161
Loris Zanatta (2023). Il populismo latinoamericano, un'ideologia di luoghi comuni. Milano : FrancoAngeli.
Loris Zanatta
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11585/936174
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