Mentre alcuni esponenti della tradizione filosofica pragmatista rifiutano la teoria della corrispondenza ma non il progetto di fornire una “delucidazione” della verità che renda conto di come tale proprietà possa fungere da guida per le nostre ricerche, altri ripudiano qualunque tentativo di distinguere la verità dalla giustificazione epistemica, giungendo a considerare sostanzialmente superflua la stessa nozione di verità. Ciò che spinge a conclusioni così radicali gli autori pragmatisti di questa seconda categoria è la convinzione che qualunque tentativo di distinguere la verità dalla giustificazione epistemica sia destinato a risolversi in una violazione della “massima pragmatica”, cioè nella postulazione di una differenza che non fa alcuna differenza reale per il corso della nostra esperienza. Secondo Richard Rorty, ad esempio, «se una cosa non fa nessuna differenza nella pratica non dovrebbe farne nemmeno in filosofia, e questa convinzione [...] induce a guardare con sospetto la distinzione fra giustificazione e verità, appunto perché è una differenza che non fa nessuna differenza quando si tratta di decidere che cosa fare. Se ho dei dubbi concreti e specifici sulla verità di una delle mie credenze li posso risolvere solo chiedendomi se tale credenza ha una giustificazione adeguata, trovando e valutando nuovi pro e contro. Non posso mettere da parte la giustificazione e limitare la mia attenzione alla sola verità: quando il problema è che cosa devo credere adesso, valutare se una credenza è vera e valutare se è giustificata sono la stessa cosa». Obiettivo dell'articolo è ricostruire dettagliatamente i passaggi di questo “Argomento della superfluità pragmatica” e mostrare che esso non riesce a stabilire la conclusione che si prefigge. Il risultato viene raggiunto individuando un tipo di contesto in cui la distinzione fra verità e giustificazione epistemica comporta una differenza reale per il corso della nostra esperienza, e poi mostrando come l’esistenza di tale differenza abbia ripercussioni importanti su ciò che dobbiamo credere qui e ora. La conclusione è che, se anche la prescrizione “Credi che P soltanto se la credenza che P è vera” non aggiungesse nulla alla prescrizione “Credi che P soltanto se la credenza che P è giustificata”, far posto alla verità nella nostra “ideologia” continuerebbe a fare una differenza reale quando si tratta di decidere, nei termini di Rorty, «che cosa devo credere adesso».
Volpe G. (2010). Verità e giustificazione: una distinzione pragmaticamente superflua?. MILANO : Mimesis.
Verità e giustificazione: una distinzione pragmaticamente superflua?
VOLPE, GIORGIO
2010
Abstract
Mentre alcuni esponenti della tradizione filosofica pragmatista rifiutano la teoria della corrispondenza ma non il progetto di fornire una “delucidazione” della verità che renda conto di come tale proprietà possa fungere da guida per le nostre ricerche, altri ripudiano qualunque tentativo di distinguere la verità dalla giustificazione epistemica, giungendo a considerare sostanzialmente superflua la stessa nozione di verità. Ciò che spinge a conclusioni così radicali gli autori pragmatisti di questa seconda categoria è la convinzione che qualunque tentativo di distinguere la verità dalla giustificazione epistemica sia destinato a risolversi in una violazione della “massima pragmatica”, cioè nella postulazione di una differenza che non fa alcuna differenza reale per il corso della nostra esperienza. Secondo Richard Rorty, ad esempio, «se una cosa non fa nessuna differenza nella pratica non dovrebbe farne nemmeno in filosofia, e questa convinzione [...] induce a guardare con sospetto la distinzione fra giustificazione e verità, appunto perché è una differenza che non fa nessuna differenza quando si tratta di decidere che cosa fare. Se ho dei dubbi concreti e specifici sulla verità di una delle mie credenze li posso risolvere solo chiedendomi se tale credenza ha una giustificazione adeguata, trovando e valutando nuovi pro e contro. Non posso mettere da parte la giustificazione e limitare la mia attenzione alla sola verità: quando il problema è che cosa devo credere adesso, valutare se una credenza è vera e valutare se è giustificata sono la stessa cosa». Obiettivo dell'articolo è ricostruire dettagliatamente i passaggi di questo “Argomento della superfluità pragmatica” e mostrare che esso non riesce a stabilire la conclusione che si prefigge. Il risultato viene raggiunto individuando un tipo di contesto in cui la distinzione fra verità e giustificazione epistemica comporta una differenza reale per il corso della nostra esperienza, e poi mostrando come l’esistenza di tale differenza abbia ripercussioni importanti su ciò che dobbiamo credere qui e ora. La conclusione è che, se anche la prescrizione “Credi che P soltanto se la credenza che P è vera” non aggiungesse nulla alla prescrizione “Credi che P soltanto se la credenza che P è giustificata”, far posto alla verità nella nostra “ideologia” continuerebbe a fare una differenza reale quando si tratta di decidere, nei termini di Rorty, «che cosa devo credere adesso».I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.