Nessun gioco è neutro e neutrale, nemmeno un videogioco. Videogiocare è posizionarsi rispetto ad un racconto, è “abitare” scenari differenti, mettersi nei panni dell’altro, simulare situazioni anche e spesso lontane da sé. Ad ogni schema ludico sottende un’ideologia, che rispecchia il pensiero di chi lo progetta. Guardare, dunque, all’industria videoludica attraverso la prospettiva di genere significa guardare attraverso un caleidoscopio ricco di complessità, contraddizioni e opportunità, quanto mai attuali, rispetto alle dinamiche delle forme di potere veicolate sia dalle rappresentazioni che dalle possibilità di accesso alle professioni ad esso collegate. I videogiochi sono sempre più considerati media di informazione e formazione, strumenti per comunicare, per promuovere contenuti culturali, memorie di storie, territori, cittadinanze. Prevedono un’interazione sempre più stretta tra settori apparentemente differenti sia a livello tecnico (videogame, cinema, televisione, animazione, arte) che sociale (educazione, intrattenimento, politica, divulgazione pubblica e culturale, quali musei, enti turistici) e imprenditoriale (mondo pubblicitario, editoria tradizionale, piattaforme online, strumenti digitali ecc.). E sono un vero e proprio esempio di re-mediation (rimediazione) (Bolter e Grusin, 1998), ovvero di come ogni nuovo strumento di comunicazione assorbe in se stesso gli altri media che l’hanno anticipato, arrivando alla definizione di un medium che combina in sé trasparenza e opacità, tra tradizione e innovazione, tra narrazione e produzione. E, dunque, essere maschio o femmina, come identità socialmente e culturalmente costruite, deve fare i conti con le stratificazioni di queste vecchie e nuove narrazioni, nonché silenzi, impregnati spesso di stereotipi che sfociano in pregiudizi e sessismi, per proporre nuove contro narrazioni, nuove visioni. Assumendo la prospettiva dei gender studies e dell’approccio intersezionale femminista, si ritiene necessario riflettere come ogni narrazione e rappresentazione mediatica - e quindi anche videoludica - ha implicazioni sociali e politiche (dimensione valoriale e ideologica), esprimendo punti di vista in cui si possono riscontrare categorie quali potere, autorità, valori culturali: chi o cosa è assente può essere più rilevante di chi o cosa viene incluso. Ciò può essere il risultato di scelte consapevoli o di inconsapevoli bias che possono influire sull’autorappresentazione, sui modelli sociali e di attese legati al genere, ai gruppi etnici. Cosa significa, dunque, femminilità e mascolinità nell’universo videoludico? Come si sta trasformando questo media che nasce storicamente come prodotto fatto da uomini e destinato principalmente a giovani uomini (eteronormati e bianchi), in una visione monoprospettica, sia nell’ambito dei contenuti che in quello lavorativo?

Genere e industria videoludica : complessità e possibilità di ruoli in gioco

R. Nardone
2023

Abstract

Nessun gioco è neutro e neutrale, nemmeno un videogioco. Videogiocare è posizionarsi rispetto ad un racconto, è “abitare” scenari differenti, mettersi nei panni dell’altro, simulare situazioni anche e spesso lontane da sé. Ad ogni schema ludico sottende un’ideologia, che rispecchia il pensiero di chi lo progetta. Guardare, dunque, all’industria videoludica attraverso la prospettiva di genere significa guardare attraverso un caleidoscopio ricco di complessità, contraddizioni e opportunità, quanto mai attuali, rispetto alle dinamiche delle forme di potere veicolate sia dalle rappresentazioni che dalle possibilità di accesso alle professioni ad esso collegate. I videogiochi sono sempre più considerati media di informazione e formazione, strumenti per comunicare, per promuovere contenuti culturali, memorie di storie, territori, cittadinanze. Prevedono un’interazione sempre più stretta tra settori apparentemente differenti sia a livello tecnico (videogame, cinema, televisione, animazione, arte) che sociale (educazione, intrattenimento, politica, divulgazione pubblica e culturale, quali musei, enti turistici) e imprenditoriale (mondo pubblicitario, editoria tradizionale, piattaforme online, strumenti digitali ecc.). E sono un vero e proprio esempio di re-mediation (rimediazione) (Bolter e Grusin, 1998), ovvero di come ogni nuovo strumento di comunicazione assorbe in se stesso gli altri media che l’hanno anticipato, arrivando alla definizione di un medium che combina in sé trasparenza e opacità, tra tradizione e innovazione, tra narrazione e produzione. E, dunque, essere maschio o femmina, come identità socialmente e culturalmente costruite, deve fare i conti con le stratificazioni di queste vecchie e nuove narrazioni, nonché silenzi, impregnati spesso di stereotipi che sfociano in pregiudizi e sessismi, per proporre nuove contro narrazioni, nuove visioni. Assumendo la prospettiva dei gender studies e dell’approccio intersezionale femminista, si ritiene necessario riflettere come ogni narrazione e rappresentazione mediatica - e quindi anche videoludica - ha implicazioni sociali e politiche (dimensione valoriale e ideologica), esprimendo punti di vista in cui si possono riscontrare categorie quali potere, autorità, valori culturali: chi o cosa è assente può essere più rilevante di chi o cosa viene incluso. Ciò può essere il risultato di scelte consapevoli o di inconsapevoli bias che possono influire sull’autorappresentazione, sui modelli sociali e di attese legati al genere, ai gruppi etnici. Cosa significa, dunque, femminilità e mascolinità nell’universo videoludico? Come si sta trasformando questo media che nasce storicamente come prodotto fatto da uomini e destinato principalmente a giovani uomini (eteronormati e bianchi), in una visione monoprospettica, sia nell’ambito dei contenuti che in quello lavorativo?
2023
POCHE. La questione di genere nell’industria culturale italiana
231
249
R. Nardone
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