Questo contributo parte dall’analisi di alcune opere del gruppo di artiste femministe Guerrilla Girls per approfondire l’apporto fondamentale che le teorie di genere hanno dato e stanno dando alla costituzione di nuove idee di soggettività, da cui i dibattiti geografici odierni non possono prescindere. Inizierò con l'analisi di alcune opere-manifesto delle Guerrilla Girls, anzitutto “Do Women Have To Be Naked To Get Into the Met. Museum?” (1989), per mettere in evidenza come esse visualizzino la frantumazione progressiva che le teorie femministe e di genere hanno operato sull’idea di soggettività universale e maschilista dell’età moderna. Alcune tra le opere delle Guerrilla Girls stravolgono quadri famosi della storia dell’arte – ad esempio i quadri di Ingres, legati all’immaginario orientalista – nei quali l’oggettivazione del corpo femminile è anche processo di creazione di alterità, secondo quel “modo dualistico di pensare”, proprio del pensiero cosiddetto occidentale dell’età moderna, che “crea delle differenze binarie con il solo scopo di disporle in un ordine gerarchico di relazioni di potere” (Braidotti 1995, p. 74). Il che vale sia per l’oggettivazione del (corpo) femminile, l’altro rispetto al punto di vista del soggetto maschile universalizzato, sia per l’alterità dell’oriente in quanto costruzione/invenzione dell’occidente (cfr. Said, Orientalismo). Ma l’opera delle Guerrilla Girls dimostra come le immagini artistiche siano anche in grado di stravolgere tutto questo. L’arte di questo gruppo femminista è capace, a mio avviso, di visualizzare corpi femminili che parlano e che, come tali, non solo si affrancano dall’oggettività rivendicando la propria soggettività, ma mettono anche a fuoco quelle nuove idee di soggettività che le teorie di genere hanno contribuito fortemente ad affermare nei dibattiti contemporanei: soggettività incarnate, identità fluide, ovvero quella molteplicità di “soggetti nomadi” attraverso cui, come vuole Braidotti (1995), si può leggere la “crisi della modernità” in quanto crisi dei fondamenti della soggettività classica. Ancora, l’arte delle Guerrilla Girls racconta la decostruzione delle narrazioni egemoniche dell’età moderna a favore della pluralità dei punti di vista, di un’idea di conoscenza sempre parziale e situata. Non vi è nessuna immaginazione geografica che possa prescindere da un pensiero su soggettività e identità. Di conseguenza, le concezioni su identità e soggettività che le teorie femministe e di genere, fino ai loro odierni sviluppi e anche nelle loro forme artistiche, continuano a proporre, sono tra gli strumenti teorici più fini che le geografie di oggi hanno a disposizione per fondare sul divenire – su movimento, transizioni, ecc. – le loro reinterpretazioni e reimmaginazioni degli spazi.
BONFIGLIOLI STEFANIA (2023). Corpi che parlano: arte femminista e dibattiti geografici odierni. Padova : CLEUP.
Corpi che parlano: arte femminista e dibattiti geografici odierni
BONFIGLIOLI STEFANIA
2023
Abstract
Questo contributo parte dall’analisi di alcune opere del gruppo di artiste femministe Guerrilla Girls per approfondire l’apporto fondamentale che le teorie di genere hanno dato e stanno dando alla costituzione di nuove idee di soggettività, da cui i dibattiti geografici odierni non possono prescindere. Inizierò con l'analisi di alcune opere-manifesto delle Guerrilla Girls, anzitutto “Do Women Have To Be Naked To Get Into the Met. Museum?” (1989), per mettere in evidenza come esse visualizzino la frantumazione progressiva che le teorie femministe e di genere hanno operato sull’idea di soggettività universale e maschilista dell’età moderna. Alcune tra le opere delle Guerrilla Girls stravolgono quadri famosi della storia dell’arte – ad esempio i quadri di Ingres, legati all’immaginario orientalista – nei quali l’oggettivazione del corpo femminile è anche processo di creazione di alterità, secondo quel “modo dualistico di pensare”, proprio del pensiero cosiddetto occidentale dell’età moderna, che “crea delle differenze binarie con il solo scopo di disporle in un ordine gerarchico di relazioni di potere” (Braidotti 1995, p. 74). Il che vale sia per l’oggettivazione del (corpo) femminile, l’altro rispetto al punto di vista del soggetto maschile universalizzato, sia per l’alterità dell’oriente in quanto costruzione/invenzione dell’occidente (cfr. Said, Orientalismo). Ma l’opera delle Guerrilla Girls dimostra come le immagini artistiche siano anche in grado di stravolgere tutto questo. L’arte di questo gruppo femminista è capace, a mio avviso, di visualizzare corpi femminili che parlano e che, come tali, non solo si affrancano dall’oggettività rivendicando la propria soggettività, ma mettono anche a fuoco quelle nuove idee di soggettività che le teorie di genere hanno contribuito fortemente ad affermare nei dibattiti contemporanei: soggettività incarnate, identità fluide, ovvero quella molteplicità di “soggetti nomadi” attraverso cui, come vuole Braidotti (1995), si può leggere la “crisi della modernità” in quanto crisi dei fondamenti della soggettività classica. Ancora, l’arte delle Guerrilla Girls racconta la decostruzione delle narrazioni egemoniche dell’età moderna a favore della pluralità dei punti di vista, di un’idea di conoscenza sempre parziale e situata. Non vi è nessuna immaginazione geografica che possa prescindere da un pensiero su soggettività e identità. Di conseguenza, le concezioni su identità e soggettività che le teorie femministe e di genere, fino ai loro odierni sviluppi e anche nelle loro forme artistiche, continuano a proporre, sono tra gli strumenti teorici più fini che le geografie di oggi hanno a disposizione per fondare sul divenire – su movimento, transizioni, ecc. – le loro reinterpretazioni e reimmaginazioni degli spazi.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.