Ha scritto Adolf Loos: «Dio creò l’artista, l’artista crea l’epoca, l’epoca crea l’artigiano, l’artigiano crea il bottone». La domanda che questa divertente storiella pone alla nostra attenzione mi sembra possa essere riassunta in questi termini: in che modo e con quali aspettative, nel nostro presente, si posiziona, all’interno di questa catena di fatti, il fare dell’architetto? Oppure: in che modo, all’interno di questa catena di invenzioni e trasformazioni, si dispiega il destino del suo fare? Certo l’architetto, colui al quale secondo Loos «appartengono i muri della casa – e solo qui – egli può fare ciò che vuole», non compare esplicitamente in questa catena di eventi. Ma concediamoci, come suggerisce Loos, concediamoci per il momento che anche «l’architettura è pur sempre un’arte». In questa catena, come si può intuire, è in gioco il rapporto tra tecnica, forma e tempo. E su questo rapporto il fare dell’architetto fonda il proprio potere. Tecnica, forma, tempo e potere esprimono, per un altro verso, un nesso di reciproca implicazione rispetto al sapere e al saper-fare. Questo nesso, lo sanno tutti, è “ereditario”. Nel suo aspetto essenziale questo è ciò che ribadisce anche la catena degli eventi elencati da Loos. Su questa eredità, sul come comprenderla e trasformarla, Loos ha scritto pagine importanti. Ha costruito opere fondamentali, architetture straordinarie. Ha inventato un modo nuovo di percepire la materia e lo spazio. E ha mostrato soprattutto come, in questa catena di azioni che ci precede, affiori cruciale la domanda sulla forma. Perché la forma rappresenta, in qualche modo, la potenza del fare-pensare e del fare-realizzare che caratterizza la poiesis propria dell’architetto. Questa poiesis consiste, per Loos, nell’assumere il problema del tempo, della catena delle forme nel tempo, e cercare di catturarlo, fissarlo in una forma. Non si tratta però di produrre idoli e formalismi con l’auspicio di difendersi dall’ignoto, che è costitutivo del divenire del tempo. Al contrario, come dimostrano le riflessioni e le opere di Loos, si tratta di rimuovere, di eliminare ogni fissità che blocca la capacità di avvertire il movimento della catena che ha condotto fin qui e a cui, volenti o nolenti, anche noi apparteniamo. Riappropriarsi della catena dei gesti e delle forme che definiscono il nostro destino significa, infatti, essere capaci di fluire in essa con la consapevolezza di continuarla. Di agire in essa liberi e con la coscienza di continuarla contribuendo a trasformarla e migliorarla nel presente. Migliorando anche un solo attimo, un solo istante qui e ora, di questa indefinita catena. Il saggio propone una lettura di questi temi.

ildebrando clemente (2022). La favola di Dio e del bottone. Firenze : Aion.

La favola di Dio e del bottone

ildebrando clemente
2022

Abstract

Ha scritto Adolf Loos: «Dio creò l’artista, l’artista crea l’epoca, l’epoca crea l’artigiano, l’artigiano crea il bottone». La domanda che questa divertente storiella pone alla nostra attenzione mi sembra possa essere riassunta in questi termini: in che modo e con quali aspettative, nel nostro presente, si posiziona, all’interno di questa catena di fatti, il fare dell’architetto? Oppure: in che modo, all’interno di questa catena di invenzioni e trasformazioni, si dispiega il destino del suo fare? Certo l’architetto, colui al quale secondo Loos «appartengono i muri della casa – e solo qui – egli può fare ciò che vuole», non compare esplicitamente in questa catena di eventi. Ma concediamoci, come suggerisce Loos, concediamoci per il momento che anche «l’architettura è pur sempre un’arte». In questa catena, come si può intuire, è in gioco il rapporto tra tecnica, forma e tempo. E su questo rapporto il fare dell’architetto fonda il proprio potere. Tecnica, forma, tempo e potere esprimono, per un altro verso, un nesso di reciproca implicazione rispetto al sapere e al saper-fare. Questo nesso, lo sanno tutti, è “ereditario”. Nel suo aspetto essenziale questo è ciò che ribadisce anche la catena degli eventi elencati da Loos. Su questa eredità, sul come comprenderla e trasformarla, Loos ha scritto pagine importanti. Ha costruito opere fondamentali, architetture straordinarie. Ha inventato un modo nuovo di percepire la materia e lo spazio. E ha mostrato soprattutto come, in questa catena di azioni che ci precede, affiori cruciale la domanda sulla forma. Perché la forma rappresenta, in qualche modo, la potenza del fare-pensare e del fare-realizzare che caratterizza la poiesis propria dell’architetto. Questa poiesis consiste, per Loos, nell’assumere il problema del tempo, della catena delle forme nel tempo, e cercare di catturarlo, fissarlo in una forma. Non si tratta però di produrre idoli e formalismi con l’auspicio di difendersi dall’ignoto, che è costitutivo del divenire del tempo. Al contrario, come dimostrano le riflessioni e le opere di Loos, si tratta di rimuovere, di eliminare ogni fissità che blocca la capacità di avvertire il movimento della catena che ha condotto fin qui e a cui, volenti o nolenti, anche noi apparteniamo. Riappropriarsi della catena dei gesti e delle forme che definiscono il nostro destino significa, infatti, essere capaci di fluire in essa con la consapevolezza di continuarla. Di agire in essa liberi e con la coscienza di continuarla contribuendo a trasformarla e migliorarla nel presente. Migliorando anche un solo attimo, un solo istante qui e ora, di questa indefinita catena. Il saggio propone una lettura di questi temi.
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Adolf Loos
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ildebrando clemente (2022). La favola di Dio e del bottone. Firenze : Aion.
ildebrando clemente
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11585/919877
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