L’immagine del non attore si è affacciata ricorrentemente nelle visioni dei riformatori teatrali, e sempre nel segno dell’alternativa, a volte anche della fuga dai territori e dalle prassi esistenti. Un’utopica condizione nascente dell’attore che coniuga alcuni elementi anticipatori non solo della «cultura dell’uscita» come «gesto novecentesco» ma anche degli sconfinamenti post-novecenteschi del cosiddetto teatro sociale. A caratterizzare la svolta performativa di questi ultimi decenni è infatti l'irruzione sulla scena teatrale e sociale di presenze attoriali tanto più incisive quanto marginali ed estranee alle logiche del professionismo. L'autrice prende spunto dai teatri laboratorio di inizio secolo per delineare la storia recente di questi "stranieri del teatro". Il segreto del gesto autentico, dell'azione non simulata, colta nella dimensione quotidiana della vita, costituisce uno dei nodi della ricerca teatrale protonovecentesca: il mistero della credibilità di Stanislavskij, il miracolo dell'azione reale in Copeau, la precisione ritmica della danza nell'attore operaio di Mejerchol'd. Qualità che, a partire dagli anni Novanta, tornano a segnare una delle svolte estetiche più radicali del teatro contemporaneo (da Pippo Delbono a Romeo Castellucci, da Armando Punzo a AntonioViganò e Mimmo Sorrentino) prendendo forma, ancora una volta, nelle pieghe della marginalità e negli scenari dell'esclusione. In seguito, il nuovo millennio ha aperto nuove prospettive, legate alla profondità e solidità di esperienze che vantano in alcuni casi una continuità più che decennale. Nell’età adulta del teatro sociale la dimensione di ingenuità del non attore si coniuga sempre più con l’affinarsi di competenze professionali, senza che ciò corrisponda a un processo di “normalizzazione”. Non sono i non attori a raggiungere il teatro, ossia a colmare la distanza fra una condizione di inadeguatezza e una competenza tecnica da acquisire, ma è il teatro che raggiunge i nuovi attori, divenuti esperti nel traslare la realtà personale nell’esperienza della scena, unendo immediatezza espressiva e mediazione formale, attitudini personali e “addestramento” teatrale. Libertà creativa e sapienza artistica. Così il viaggio di fuoriuscita dal teatro, verso i territori dell’alterità, approda all’ultimo paradosso, svelando l’attore contenuto nel non attore, in attesa di ulteriori sconfinamenti, non più nella direzione della non-attorialità, ma delle diverse dimensioni di nuova attorialità che hanno appena cominciato a rivelarsi.

Fondamenti del non attore / Cristina Valenti. - STAMPA. - I:(2022), pp. 65-82.

Fondamenti del non attore

Cristina Valenti
2022

Abstract

L’immagine del non attore si è affacciata ricorrentemente nelle visioni dei riformatori teatrali, e sempre nel segno dell’alternativa, a volte anche della fuga dai territori e dalle prassi esistenti. Un’utopica condizione nascente dell’attore che coniuga alcuni elementi anticipatori non solo della «cultura dell’uscita» come «gesto novecentesco» ma anche degli sconfinamenti post-novecenteschi del cosiddetto teatro sociale. A caratterizzare la svolta performativa di questi ultimi decenni è infatti l'irruzione sulla scena teatrale e sociale di presenze attoriali tanto più incisive quanto marginali ed estranee alle logiche del professionismo. L'autrice prende spunto dai teatri laboratorio di inizio secolo per delineare la storia recente di questi "stranieri del teatro". Il segreto del gesto autentico, dell'azione non simulata, colta nella dimensione quotidiana della vita, costituisce uno dei nodi della ricerca teatrale protonovecentesca: il mistero della credibilità di Stanislavskij, il miracolo dell'azione reale in Copeau, la precisione ritmica della danza nell'attore operaio di Mejerchol'd. Qualità che, a partire dagli anni Novanta, tornano a segnare una delle svolte estetiche più radicali del teatro contemporaneo (da Pippo Delbono a Romeo Castellucci, da Armando Punzo a AntonioViganò e Mimmo Sorrentino) prendendo forma, ancora una volta, nelle pieghe della marginalità e negli scenari dell'esclusione. In seguito, il nuovo millennio ha aperto nuove prospettive, legate alla profondità e solidità di esperienze che vantano in alcuni casi una continuità più che decennale. Nell’età adulta del teatro sociale la dimensione di ingenuità del non attore si coniuga sempre più con l’affinarsi di competenze professionali, senza che ciò corrisponda a un processo di “normalizzazione”. Non sono i non attori a raggiungere il teatro, ossia a colmare la distanza fra una condizione di inadeguatezza e una competenza tecnica da acquisire, ma è il teatro che raggiunge i nuovi attori, divenuti esperti nel traslare la realtà personale nell’esperienza della scena, unendo immediatezza espressiva e mediazione formale, attitudini personali e “addestramento” teatrale. Libertà creativa e sapienza artistica. Così il viaggio di fuoriuscita dal teatro, verso i territori dell’alterità, approda all’ultimo paradosso, svelando l’attore contenuto nel non attore, in attesa di ulteriori sconfinamenti, non più nella direzione della non-attorialità, ma delle diverse dimensioni di nuova attorialità che hanno appena cominciato a rivelarsi.
2022
Per-formare il sociale. Tomo I: Controcampi. Estetiche e pratiche della performance negli spazi del sociale
65
82
Fondamenti del non attore / Cristina Valenti. - STAMPA. - I:(2022), pp. 65-82.
Cristina Valenti
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