Con l’acquisto del Teatro da S. Agostino agli inizi degli anni ’70 del Settecento il nobile Marcello Durazzo, ex doge e fratello maggiore di Giacomo già ambasciatore cesareo a Venezia, raggiunse il monopolio assoluto sui teatri e sugli spettacoli genovesi. La sala era, dopo il Teatro del Falcone già di proprietà Durazzo, e il piccolo Teatro delle Vigne, il principale palcoscenico cittadino. L’impresa era affidata a Francesco Bardella, procuratore di Durazzo e conduttore dei teatri genovesi da almeno un trentennio. Il caso è pressoché unico nel panorama italiano: i teatri di consuetudine venivano affidati di stagione in stagione a svariate compagnie e impresari. Il governo genovese cercò sempre di limitare al più i suoi interventi nella gestione degli spettacoli, salvo qualche provvedimento sulla moralità del pubblico e delle troupe di cantanti e ballerini. I teatri infatti rientravano pur sempre tra gli interessi commerciali di uno dei più ricchi e influenti uomini della Serenissima Repubblica. Ciò nonostante nel 1772, dopo una disastrosa stagione di carnevale, il governo varò un nuovo regolamento sulla gestione degli spettacoli – l’ultimo prima della fine del governo oligarchico nel 1797 –, stabilì dei prezzi fissi per i biglietti e favorì la nascita di una “Società di magnifici cittadini” che avrebbe preso in affitto e condotto i tre teatri per un decennio. L’intervento cercava così di placare il malcontento del pubblico verso quella che era stata una conduzione spregiudicata delle tre sale il cui unico obiettivo, si diceva, era il puro guadagno tralasciando la qualità degli spettacoli. Anche tali provvedimenti furono però una speculazione macchinata da Durazzo che riuscì a porre in testa alla società come “Incombenzato” il nipote Gian Luca. La Società a sua volta affidò nuovamente la gestione effettiva dei teatri al Bardella. L’intervento propone una sintesi delle vicende che portarono alla costituzione della “Società di magnifici cittadini” e sono presentati e analizzati i regolamenti dei teatri genovesi in relazione anche al panorama impresariale dell’Italia tardo Settecentesca. Infine è messo a sistema il malcontento del pubblico nel carnevale 1772 espresso in svariate lettere anonime giunte al governo.

"Non sarà lecito a chiunque di aprire teatri in città": l'impresa dei teatri a Genova (1772-1773) / Davide Mingozzi. - STAMPA. - (2022), pp. 191-215.

"Non sarà lecito a chiunque di aprire teatri in città": l'impresa dei teatri a Genova (1772-1773)

Davide Mingozzi
2022

Abstract

Con l’acquisto del Teatro da S. Agostino agli inizi degli anni ’70 del Settecento il nobile Marcello Durazzo, ex doge e fratello maggiore di Giacomo già ambasciatore cesareo a Venezia, raggiunse il monopolio assoluto sui teatri e sugli spettacoli genovesi. La sala era, dopo il Teatro del Falcone già di proprietà Durazzo, e il piccolo Teatro delle Vigne, il principale palcoscenico cittadino. L’impresa era affidata a Francesco Bardella, procuratore di Durazzo e conduttore dei teatri genovesi da almeno un trentennio. Il caso è pressoché unico nel panorama italiano: i teatri di consuetudine venivano affidati di stagione in stagione a svariate compagnie e impresari. Il governo genovese cercò sempre di limitare al più i suoi interventi nella gestione degli spettacoli, salvo qualche provvedimento sulla moralità del pubblico e delle troupe di cantanti e ballerini. I teatri infatti rientravano pur sempre tra gli interessi commerciali di uno dei più ricchi e influenti uomini della Serenissima Repubblica. Ciò nonostante nel 1772, dopo una disastrosa stagione di carnevale, il governo varò un nuovo regolamento sulla gestione degli spettacoli – l’ultimo prima della fine del governo oligarchico nel 1797 –, stabilì dei prezzi fissi per i biglietti e favorì la nascita di una “Società di magnifici cittadini” che avrebbe preso in affitto e condotto i tre teatri per un decennio. L’intervento cercava così di placare il malcontento del pubblico verso quella che era stata una conduzione spregiudicata delle tre sale il cui unico obiettivo, si diceva, era il puro guadagno tralasciando la qualità degli spettacoli. Anche tali provvedimenti furono però una speculazione macchinata da Durazzo che riuscì a porre in testa alla società come “Incombenzato” il nipote Gian Luca. La Società a sua volta affidò nuovamente la gestione effettiva dei teatri al Bardella. L’intervento propone una sintesi delle vicende che portarono alla costituzione della “Società di magnifici cittadini” e sono presentati e analizzati i regolamenti dei teatri genovesi in relazione anche al panorama impresariale dell’Italia tardo Settecentesca. Infine è messo a sistema il malcontento del pubblico nel carnevale 1772 espresso in svariate lettere anonime giunte al governo.
2022
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191
215
"Non sarà lecito a chiunque di aprire teatri in città": l'impresa dei teatri a Genova (1772-1773) / Davide Mingozzi. - STAMPA. - (2022), pp. 191-215.
Davide Mingozzi
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11585/912486
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