Tra i principi che hanno trovato dimora nel nostro diritto pubblico, pur affondando le loro radici e la loro ragion d’essere nella logica garantista propugnata con forza dalle istituzioni e dalla giurisprudenza europee, senz’altro merita menzione quello del legittimo affidamento; in relazione ad esso molti sono stati i tentativi degli interpreti di ricostruirne il contenuto, privilegiandone ora il collegamento con il principio di certezza del diritto, ora la sussumibilità da norme costituzionali (in particolare dai principi di eguaglianza, solidarietà sociale, imparzialità e buon andamento della PA), ora infine la derivazione dalla clausola generale di buona fede. Quest'ultima appare indubbiamente, fra le teorie considerate, quella in grado di fornire più ampi spunti di riflessione, allo stesso tempo sollevando numerose problematiche e criticità: la buona fede, infatti, appare configurarsi come fondamento unitario delle molteplici manifestazioni dell’affidamento possibili in concreto, poiché l’esigenza di tutela delle aspettative legittime poggia sul dovere di correttezza (buona fede oggettiva) che impone di tener conto della fiducia altrui ingenerata dal proprio comportamento; dalla buona fede discende altresì l’obbligo di lealtà della condotta, al fine di non suscitare false aspettative nella controparte. In quanto declinazione della buona fede, il principio di affidamento avrebbe altresì rilievo generale, poiché il rispetto del canone di correttezza è doverosamente richiesto a tutti i consociati; ciò discenderebbe anche dal principio di autoresponsabilità, secondo cui ogni soggetto dell’ordinamento è chiamato a rispondere delle proprie azioni. L’intimo e profondo legame che appare esistere fra i concetti di affidamento e buona fede, come espressione di una comune esigenza di giustizia sostanziale, non ha tuttavia consentito di superare compiutamente una serie di problematicità legate a questa ricostruzione, prima fra tutte quella secondo cui si tratta inequivocabilmente di principi a lungo considerati di pertinenza esclusiva dei rapporti privatistici, dei quali solo di recente si è tentato di affermare l’applicabilità anche ai rapporti di diritto pubblico.
Olivia Pini (2013). Legittimo affidamento e buona fede nell'etica della responsabilità: alcune riflessioni. Napoli : Jovene.
Legittimo affidamento e buona fede nell'etica della responsabilità: alcune riflessioni
Olivia PiniPrimo
2013
Abstract
Tra i principi che hanno trovato dimora nel nostro diritto pubblico, pur affondando le loro radici e la loro ragion d’essere nella logica garantista propugnata con forza dalle istituzioni e dalla giurisprudenza europee, senz’altro merita menzione quello del legittimo affidamento; in relazione ad esso molti sono stati i tentativi degli interpreti di ricostruirne il contenuto, privilegiandone ora il collegamento con il principio di certezza del diritto, ora la sussumibilità da norme costituzionali (in particolare dai principi di eguaglianza, solidarietà sociale, imparzialità e buon andamento della PA), ora infine la derivazione dalla clausola generale di buona fede. Quest'ultima appare indubbiamente, fra le teorie considerate, quella in grado di fornire più ampi spunti di riflessione, allo stesso tempo sollevando numerose problematiche e criticità: la buona fede, infatti, appare configurarsi come fondamento unitario delle molteplici manifestazioni dell’affidamento possibili in concreto, poiché l’esigenza di tutela delle aspettative legittime poggia sul dovere di correttezza (buona fede oggettiva) che impone di tener conto della fiducia altrui ingenerata dal proprio comportamento; dalla buona fede discende altresì l’obbligo di lealtà della condotta, al fine di non suscitare false aspettative nella controparte. In quanto declinazione della buona fede, il principio di affidamento avrebbe altresì rilievo generale, poiché il rispetto del canone di correttezza è doverosamente richiesto a tutti i consociati; ciò discenderebbe anche dal principio di autoresponsabilità, secondo cui ogni soggetto dell’ordinamento è chiamato a rispondere delle proprie azioni. L’intimo e profondo legame che appare esistere fra i concetti di affidamento e buona fede, come espressione di una comune esigenza di giustizia sostanziale, non ha tuttavia consentito di superare compiutamente una serie di problematicità legate a questa ricostruzione, prima fra tutte quella secondo cui si tratta inequivocabilmente di principi a lungo considerati di pertinenza esclusiva dei rapporti privatistici, dei quali solo di recente si è tentato di affermare l’applicabilità anche ai rapporti di diritto pubblico.File | Dimensione | Formato | |
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