Il punto di partenza dell’indagine è quello di conoscere come il diritto, ma soprattutto la scienza medica ed infine anche la società, si confrontino con la salute delle donne e con il loro corpo. Ma per fare ciò appare necessario preliminarmente verificare se il concetto di salute e il connesso diritto alla salute possano considerarsi quali “nozioni asessuate”, per cui quando si ragiona di salute ci si trova dinanzi un bene complesso concernente la gestione del proprio corpo, della propria mente e di tutte le scelte ad essi attinenti, ma comunque un bene da considerare in maniera identica per donne e uomini. La salute è certamente un bene complesso, perché il raggiungimento di un buono stato di salute non si realizza solo con la mera assenza di malattie ed infermità, ma è salute l’effettiva capacità di adattarsi ed autogestirsi. Il soggetto appare l’attore protagonista per il conseguimento di un buono stato di salute ma va considerato non solo quale singolo individuo, bensì anche quale elemento del rapporto sinergico continuo con la collettività, perché la salute quale bene complesso abbraccia il singolo ma anche la collettività, divenendo strumento di empowerment personale e sociale grazie alla capacità di autodeterminazione ed ai doveri inderogabili di solidarietà di ogni singola persona e di tutte le persone. L’indagine sulla salute femminile si svolge nell’ambito del generale concetto di salute e sin da subito si evidenza come la scienza medica abbia cercato di appiattire le differenze esistenti tra donne e uomini nel tentativo di costruire un modello neutro da indagare, tranne nella singola fattispecie legata alla sessualità e agli organi riproduttivi. Per secoli quindi il corpo delle donne e quello degli uomini sono stati considerati interscambiabili tranne che nella sfera della salute connessa alla sessualità-riproduzione, settore in cui la capacità di autodeterminazione delle donne è stata tenacemente negata. La scienza medica ha elaborato un paradigma pseudo-asessuato nell’attuazione del diritto alla salute, eleggendo ad unico parametro di indagine il maschio quale neutro, paradigma di normalità, insomma un maschile che contiene in sé il tutto anatomico. La soluzione di eleggere il maschile quale unico modello anatomico di riferimento, seppure effettuata senza una precisa volontà discriminante, costruisce inevitabilmente un sistema di diseguaglianza che pregiudica decisamente la salute di oltre la metà della popolazione mondiale: le donne. Le donne infatti non sono “uomini mancati” o “in miniatura”, hanno una propria specificità biologica definita dal sesso ed anche dalle differenze socio-economico- culturali legate al genere, differenze che non dovrebbero essere ignorate da una ricerca e da una scienza intenzionate realmente a realizzare il diritto alla salute di tutte e tutti. La risposta a questa discriminazione di salute si trova nella c.d. “medicina di sesso e genere” che non va considerata, come spesso erroneamente affermato, quale medicina delle donne, poiché questo approccio non si limita in alcun modo all’indagine delle patologie che incidono più frequentemente nella donna, oppure a quelle legate al sistema riproduttivo, o in generale alla salute delle sole donne, ma è indirizzata a conoscere in che modo le malattie di tutti gli organi e sistemi si manifestino nei due sessi, valutando non solo le differenze legate al fattore biologico del sesso, ma anche quelle connesse al genere rispetto ai sintomi delle malattie, alla necessità di percorsi diagnostici diversificati così come rispetto alle interpretazioni dei risultati, valutando le eterogenee risposte ai farmaci e ai trattamenti medici e la conseguente necessità di utilizzare medicinali diversi, così come approcci differenziati nella prevenzione delle malattie.

Per un habeas corpus "di genere". Salute, autodeterminazione femminile, sex and gender medicine / Francesca Rescigno. - STAMPA. - (2022), pp. 7-843.

Per un habeas corpus "di genere". Salute, autodeterminazione femminile, sex and gender medicine.

Francesca Rescigno
2022

Abstract

Il punto di partenza dell’indagine è quello di conoscere come il diritto, ma soprattutto la scienza medica ed infine anche la società, si confrontino con la salute delle donne e con il loro corpo. Ma per fare ciò appare necessario preliminarmente verificare se il concetto di salute e il connesso diritto alla salute possano considerarsi quali “nozioni asessuate”, per cui quando si ragiona di salute ci si trova dinanzi un bene complesso concernente la gestione del proprio corpo, della propria mente e di tutte le scelte ad essi attinenti, ma comunque un bene da considerare in maniera identica per donne e uomini. La salute è certamente un bene complesso, perché il raggiungimento di un buono stato di salute non si realizza solo con la mera assenza di malattie ed infermità, ma è salute l’effettiva capacità di adattarsi ed autogestirsi. Il soggetto appare l’attore protagonista per il conseguimento di un buono stato di salute ma va considerato non solo quale singolo individuo, bensì anche quale elemento del rapporto sinergico continuo con la collettività, perché la salute quale bene complesso abbraccia il singolo ma anche la collettività, divenendo strumento di empowerment personale e sociale grazie alla capacità di autodeterminazione ed ai doveri inderogabili di solidarietà di ogni singola persona e di tutte le persone. L’indagine sulla salute femminile si svolge nell’ambito del generale concetto di salute e sin da subito si evidenza come la scienza medica abbia cercato di appiattire le differenze esistenti tra donne e uomini nel tentativo di costruire un modello neutro da indagare, tranne nella singola fattispecie legata alla sessualità e agli organi riproduttivi. Per secoli quindi il corpo delle donne e quello degli uomini sono stati considerati interscambiabili tranne che nella sfera della salute connessa alla sessualità-riproduzione, settore in cui la capacità di autodeterminazione delle donne è stata tenacemente negata. La scienza medica ha elaborato un paradigma pseudo-asessuato nell’attuazione del diritto alla salute, eleggendo ad unico parametro di indagine il maschio quale neutro, paradigma di normalità, insomma un maschile che contiene in sé il tutto anatomico. La soluzione di eleggere il maschile quale unico modello anatomico di riferimento, seppure effettuata senza una precisa volontà discriminante, costruisce inevitabilmente un sistema di diseguaglianza che pregiudica decisamente la salute di oltre la metà della popolazione mondiale: le donne. Le donne infatti non sono “uomini mancati” o “in miniatura”, hanno una propria specificità biologica definita dal sesso ed anche dalle differenze socio-economico- culturali legate al genere, differenze che non dovrebbero essere ignorate da una ricerca e da una scienza intenzionate realmente a realizzare il diritto alla salute di tutte e tutti. La risposta a questa discriminazione di salute si trova nella c.d. “medicina di sesso e genere” che non va considerata, come spesso erroneamente affermato, quale medicina delle donne, poiché questo approccio non si limita in alcun modo all’indagine delle patologie che incidono più frequentemente nella donna, oppure a quelle legate al sistema riproduttivo, o in generale alla salute delle sole donne, ma è indirizzata a conoscere in che modo le malattie di tutti gli organi e sistemi si manifestino nei due sessi, valutando non solo le differenze legate al fattore biologico del sesso, ma anche quelle connesse al genere rispetto ai sintomi delle malattie, alla necessità di percorsi diagnostici diversificati così come rispetto alle interpretazioni dei risultati, valutando le eterogenee risposte ai farmaci e ai trattamenti medici e la conseguente necessità di utilizzare medicinali diversi, così come approcci differenziati nella prevenzione delle malattie.
2022
837
Per un habeas corpus "di genere". Salute, autodeterminazione femminile, sex and gender medicine / Francesca Rescigno. - STAMPA. - (2022), pp. 7-843.
Francesca Rescigno
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11585/904118
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