Nella vita delle città fra tardo medioevo e prima età moderna, le forme dell’esercizio pubblico della misericordia rappresentarono un dinamico cantiere di riflessione e mutevole attuazione, tra crisi di un sistema assistenziale e nuove, coraggiose, a volte spregiudicate, iniziative e istituzioni. Codificate sulla base del racconto del giudizio universale, così come annunciato nel Vangelo secondo Matteo (25,31-46), e presenti nel tessuto della società attraverso una pluralità di testi e immagini, le sette opere di misericordia corporale fornirono a confraternite, istituzioni e città un fondamentale quadro di riferimento, una sorta di bussola, per individuare i bisogni primari e gli interventi necessari della carità pubblica. Davanti alla complessità crescente della società urbana e a nuovi orientamenti ed esigenze di governo, il campo delle ‘politiche’ di misericordia fu oggetto di riflessione, revisione e sperimentazione. Questo portò – in tempi e modi diversi, e non senza tensioni e conflitti – tanto a ridisegnare le forme dell’erogazione del soccorso quanto a introdurre precise distinzioni o gerarchie fra i destinatari. La nascita di nuove istituzioni – sovente con richiami fin dal loro nome ai concetti di ‘carità, misericordia, pietà’ – da un lato declinava un intervento specializzato e sempre più mirato a specifiche categorie di bisognosi, dall’altro – in nome sempre della carità – operava una progressiva separazione tra chi veniva giudicato meritevole di soccorso e chi, invece, non ne aveva diritto e andava escluso. La retorica della carità – con il ricco campo semantico e simbolico ad essa connesso – servì ad attivare iniziative, a catalizzare risorse economiche, a elaborare progetti sociali, a rendere riconoscibili e credibili nuove o rinnovate istituzioni, a sostenere politiche di soccorso e, anche, di controllo, disciplinamento e dominio . In nome della medesima carità si poteva infatti sia elargire un soccorso generalizzato, sia attuare pratiche di attenta e selettiva inclusione ed esclusione, basate sull’idea che la carità era un diritto riservato ad alcuni e precluso a molti altri, classificati dalle tassonomie morali e sociali come indesiderati, sospetti, pericolosi, viziosi, «visibilmente crudeli». Il presente volume si interroga sulla trasformazione delle politiche di misericordia tra tardo medioevo e prima età moderna, investigando i linguaggi – verbali e visivi – della carità e le istituzioni che fecero della pietà e della misericordia il proprio oggetto, risemantizzando in alcuni casi il significato di questi termini.
P. Delcorno (2018). Introduzione: Politiche di misericordia tra teoria e prassi (secoli XIII-XVI). Bologna : Il Mulino.
Introduzione: Politiche di misericordia tra teoria e prassi (secoli XIII-XVI)
P. Delcorno
2018
Abstract
Nella vita delle città fra tardo medioevo e prima età moderna, le forme dell’esercizio pubblico della misericordia rappresentarono un dinamico cantiere di riflessione e mutevole attuazione, tra crisi di un sistema assistenziale e nuove, coraggiose, a volte spregiudicate, iniziative e istituzioni. Codificate sulla base del racconto del giudizio universale, così come annunciato nel Vangelo secondo Matteo (25,31-46), e presenti nel tessuto della società attraverso una pluralità di testi e immagini, le sette opere di misericordia corporale fornirono a confraternite, istituzioni e città un fondamentale quadro di riferimento, una sorta di bussola, per individuare i bisogni primari e gli interventi necessari della carità pubblica. Davanti alla complessità crescente della società urbana e a nuovi orientamenti ed esigenze di governo, il campo delle ‘politiche’ di misericordia fu oggetto di riflessione, revisione e sperimentazione. Questo portò – in tempi e modi diversi, e non senza tensioni e conflitti – tanto a ridisegnare le forme dell’erogazione del soccorso quanto a introdurre precise distinzioni o gerarchie fra i destinatari. La nascita di nuove istituzioni – sovente con richiami fin dal loro nome ai concetti di ‘carità, misericordia, pietà’ – da un lato declinava un intervento specializzato e sempre più mirato a specifiche categorie di bisognosi, dall’altro – in nome sempre della carità – operava una progressiva separazione tra chi veniva giudicato meritevole di soccorso e chi, invece, non ne aveva diritto e andava escluso. La retorica della carità – con il ricco campo semantico e simbolico ad essa connesso – servì ad attivare iniziative, a catalizzare risorse economiche, a elaborare progetti sociali, a rendere riconoscibili e credibili nuove o rinnovate istituzioni, a sostenere politiche di soccorso e, anche, di controllo, disciplinamento e dominio . In nome della medesima carità si poteva infatti sia elargire un soccorso generalizzato, sia attuare pratiche di attenta e selettiva inclusione ed esclusione, basate sull’idea che la carità era un diritto riservato ad alcuni e precluso a molti altri, classificati dalle tassonomie morali e sociali come indesiderati, sospetti, pericolosi, viziosi, «visibilmente crudeli». Il presente volume si interroga sulla trasformazione delle politiche di misericordia tra tardo medioevo e prima età moderna, investigando i linguaggi – verbali e visivi – della carità e le istituzioni che fecero della pietà e della misericordia il proprio oggetto, risemantizzando in alcuni casi il significato di questi termini.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.