Nell’ambito dei Beni Culturali e dei musei, lo storytelling, capace di raccontare sollecitando sensibilità e ragione, consente di coinvolgere più facilmente il pubblico proponendo esperienze che possono trasformarsi in patrimonio di memoria personale o collettivo. Le “storie che persuadono” perseguono numerosi obiettivi – politici, commerciali, di comunicazione e di marketing ma, quando lo storytelling si applica al museo o ai beni culturali, il narratore – museologo, architetto, curatore, mediatore, scrittore che sia – si assume un delicato compito di interpretazione della realtà secondo un punto di vista etico oltre che pragmatico. Questa particolare dimensione narrativa ha assunto nel tempo sempre più spiccate caratteristiche internazionali: basti ricordare il fondamentale passaggio che ha portato da una concezione del Patrimonio come fondamentale espressione dell’identità di un popolo alla consapevolezza del suo valore universale secondo le già modernissime intuizioni di Quatremère de Quincy. Nel Novecento poi la Convenzione UNESCO per la protezione del patrimonio mondiale culturale e naturale, di cui proprio nel 2022 si celebra il cinquantenario, ha costituito una svolta ancora oggi imprescindibile per l’impulso istituzionale dato ad un diverso modo di concepire, e quindi di raccontare e di valorizzare, il Cultural Heritage. Lo storytelling può adottare forme e strumenti complessi e talvolta complementari tra loro e il racconto - espositivo, verbale, visivo, digitale – indirizzato ad un singolo o a una intera comunità si può comporre grazie a molteplici elementi ed a tecniche che hanno avuto una loro evoluzione nel tempo. Un sistema narrativo che suscita empatia, eventualmente pace di coinvolgere spazi e corpi in una esperienza immersiva, permette di raggiungere risultati che integrano la tradizionale visita a musei e monumenti creando condivisione o coinvolgimento e talvolta rafforzando il senso di appartenenza ad una collettività. In questo modo lo storytelling partecipa alle sfide più attuali del Cultural Heritage riguardo all’inclusione, all’equità e alla sostenibilità, ma anche – secondo una dimensione più specifica – alla conservazione preventiva della cultura materiale o del paesaggio. Anche la ricerca tecnologica ha contribuito a dare un nuovo impulso allo storytelling i cui scenari e orizzonti di intervento si sono largamente ampliati grazie agli audiovisivi e al digitale: sempre più spesso musei, siti archeologici o città d’arte raccontano se stessi, le proprie collezioni, il loro contesto urbano e antropologico anche grazie alla realtà virtuale e alla realtà aumentata, o a soluzioni tecniche ibride. Coinvolgere il pubblico nelle sue molteplici e discordanti caratteristiche, invitando a condividere conoscenze, emozioni ed esperienze significa sottolineare il valore e l’autenticità delle cose e del loro allestimento, ma anche della Storia. La cultura, materiale o immateriale che sia, diventa così “elemento semioforo” che accompagna le persone verso l’intelligenza e l’interpretazione del dell’arte, o del passato archeologico, o storico e, grazie a queste, alla comprensione di sé e degli altri. Il testo individua la dimensione metodologica alla base dell’intero volume e indica come tra continuità e rottura e storiche, metodologiche, tecnologiche la ricerca abbia cercato di ritrovare elementi di una trama che dal XIX secolo ad oggi ha collegato la creazione dell’artista, dell’artigiano e del designer al pubblico anche grazie a processi di identificazione e di racconto oppure di afasia e di cancellazione che hanno avuto conseguenze rilevanti non solo sulla fruizione delle collezioni ma anche sulla loro tutela o sul loro restauro, in fondo sulla composizione stessa dell’immagine del patrimonio. Si è operato una sorta di circolo smetto di cose che ha evidenziato relazioni perlopiù complesse, non solo tra esperienze individuali e collettive, tra celebrazione dell’identità nazionale e riconoscimento di un valore universale, ma anche tra memoria e oblio. Il testo sottolinea come la dimensione narrativa possa assumere a seconda di tempi e luoghi caratteri diversi: espositiva, verbale, digitale ed anche come si sviluppi secondo piani complementari.
Sandra Costa, P.C. (2022). Storytelling? Una narrazione a più voci. Bologna : BUP.
Storytelling? Una narrazione a più voci
Sandra Costa;Paola Cordera;Dominique Poulot
2022
Abstract
Nell’ambito dei Beni Culturali e dei musei, lo storytelling, capace di raccontare sollecitando sensibilità e ragione, consente di coinvolgere più facilmente il pubblico proponendo esperienze che possono trasformarsi in patrimonio di memoria personale o collettivo. Le “storie che persuadono” perseguono numerosi obiettivi – politici, commerciali, di comunicazione e di marketing ma, quando lo storytelling si applica al museo o ai beni culturali, il narratore – museologo, architetto, curatore, mediatore, scrittore che sia – si assume un delicato compito di interpretazione della realtà secondo un punto di vista etico oltre che pragmatico. Questa particolare dimensione narrativa ha assunto nel tempo sempre più spiccate caratteristiche internazionali: basti ricordare il fondamentale passaggio che ha portato da una concezione del Patrimonio come fondamentale espressione dell’identità di un popolo alla consapevolezza del suo valore universale secondo le già modernissime intuizioni di Quatremère de Quincy. Nel Novecento poi la Convenzione UNESCO per la protezione del patrimonio mondiale culturale e naturale, di cui proprio nel 2022 si celebra il cinquantenario, ha costituito una svolta ancora oggi imprescindibile per l’impulso istituzionale dato ad un diverso modo di concepire, e quindi di raccontare e di valorizzare, il Cultural Heritage. Lo storytelling può adottare forme e strumenti complessi e talvolta complementari tra loro e il racconto - espositivo, verbale, visivo, digitale – indirizzato ad un singolo o a una intera comunità si può comporre grazie a molteplici elementi ed a tecniche che hanno avuto una loro evoluzione nel tempo. Un sistema narrativo che suscita empatia, eventualmente pace di coinvolgere spazi e corpi in una esperienza immersiva, permette di raggiungere risultati che integrano la tradizionale visita a musei e monumenti creando condivisione o coinvolgimento e talvolta rafforzando il senso di appartenenza ad una collettività. In questo modo lo storytelling partecipa alle sfide più attuali del Cultural Heritage riguardo all’inclusione, all’equità e alla sostenibilità, ma anche – secondo una dimensione più specifica – alla conservazione preventiva della cultura materiale o del paesaggio. Anche la ricerca tecnologica ha contribuito a dare un nuovo impulso allo storytelling i cui scenari e orizzonti di intervento si sono largamente ampliati grazie agli audiovisivi e al digitale: sempre più spesso musei, siti archeologici o città d’arte raccontano se stessi, le proprie collezioni, il loro contesto urbano e antropologico anche grazie alla realtà virtuale e alla realtà aumentata, o a soluzioni tecniche ibride. Coinvolgere il pubblico nelle sue molteplici e discordanti caratteristiche, invitando a condividere conoscenze, emozioni ed esperienze significa sottolineare il valore e l’autenticità delle cose e del loro allestimento, ma anche della Storia. La cultura, materiale o immateriale che sia, diventa così “elemento semioforo” che accompagna le persone verso l’intelligenza e l’interpretazione del dell’arte, o del passato archeologico, o storico e, grazie a queste, alla comprensione di sé e degli altri. Il testo individua la dimensione metodologica alla base dell’intero volume e indica come tra continuità e rottura e storiche, metodologiche, tecnologiche la ricerca abbia cercato di ritrovare elementi di una trama che dal XIX secolo ad oggi ha collegato la creazione dell’artista, dell’artigiano e del designer al pubblico anche grazie a processi di identificazione e di racconto oppure di afasia e di cancellazione che hanno avuto conseguenze rilevanti non solo sulla fruizione delle collezioni ma anche sulla loro tutela o sul loro restauro, in fondo sulla composizione stessa dell’immagine del patrimonio. Si è operato una sorta di circolo smetto di cose che ha evidenziato relazioni perlopiù complesse, non solo tra esperienze individuali e collettive, tra celebrazione dell’identità nazionale e riconoscimento di un valore universale, ma anche tra memoria e oblio. Il testo sottolinea come la dimensione narrativa possa assumere a seconda di tempi e luoghi caratteri diversi: espositiva, verbale, digitale ed anche come si sviluppi secondo piani complementari.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.