Durante il regime fascista, le nuove tecniche e i dispostivi tecnologici disponibili per la diffusione su larga scala di parole, suoni e immagini – i mezzi di comunicazioni di massa – furono largamente impiegati per la propaganda politica. Al tempo stesso, vennero utilizzati, in maniera non meno pervasiva, per l’intrattenimento e lo svago: in altre parole, per rendere piacevole il tempo libero degli italiani e delle italiane, soprattutto distraendoli dai problemi connessi alla vita pubblica. Gli anni della dittatura furono, infatti, anche quelli dell’iniziale espansione della cultura popolare commerciale: il cinema, i rotocalchi, i fumetti, i fotoromanzi, la radio, i dischi di musica leggera entrarono a far parte delle abitudini di consumo culturale di ampi strati della società italiana, che in questo modo poterono fruire di contenuti e linguaggi non direttamente espressione del potere politico, e quindi non pienamente organici alle sue forme e ai suoi temi e privi di una diretta funzione di persuasione a fini politici. Nel giro di pochi anni, settori rilevanti della società italiana (a partire dalle classi medie urbane) si trovarono investiti – come segnalano anche numerose testimonianze coeve – da un fiume di parole, testi, suoni e immagini veicolate da innumerevoli strumenti, provenienti da fonti diverse e concepiti secondo finalità non sempre compatibili, almeno all’apparenza. La comunicazione politica promossa dal fascismo ebbe nella cultura di massa un concorrente, con cui dovette contendersi nell’arena pubblica l’attenzione e i favori del pubblico, indirizzati prevalentemente verso i generi “leggeri” e i prodotti d’intrattenimento: il cinema dei «telefoni bianchi», la musica da ballo, il varietà radiofonico (preferito ai programmi a contenuto informativo e propagandistico, come attestò anche il «grande referendum sulla radio» promosso dall’Eiar e dal «Radiocorriere» nel 1939). Non solo, ma l’ideologia fascista e la cultura commerciale di massa, vagheggiando ed evocando entrambe abitudini, valori e stili di vita, delinearono due diverse idee di società e differenti modelli antropologici: improntati, nel primo caso, alla «ripugnanza per la vita comoda e molle», al saper «vivere pericolosamente», all’assoluta disponibilità a lavorare con disciplina, al rispetto integrale dell’autorità, al costante «orgoglio di essere italiani», all’anteporre gli interessi della collettività a quelli individuali (come recitavano alcuni testi pubblicati dal Pnf); e fondati invece, nel secondo caso, sul primato della sfera privata, sull’enfatizzazione del desiderio e del piacere, sulla famiglia come pilastro del benessere materiale, su una vita «comoda e confortevole». Indagando la compresenza di questi due universi di significato, la storiografia ha messo in evidenza soprattutto la contrapposizione tra il modello culturale fascista e quello commerciale. La cultura commerciale avrebbe avuto nel periodo considerato un ruolo cruciale di emancipazione e modernizzazione, diffondendo valori e modelli, ad esempio nelle relazioni fra i sessi e fra le generazioni, che hanno inciso a fondo nella società italiana e che spesso sono entrati in conflitto con i progetti educativi dello Stato autoritario e del Partito nazionale fascista, così come della Chiesa e dell’associazionismo cattolico. È una chiave di lettura preziosa, ma parziale. Da un lato, infatti, rimane ancora in larga parte da indagare quanto la presenza di valori, modelli culturali e rappresentazioni di stili di vita diversi e non conciliabili con quelli promossi dalla propaganda e dall’ideologia fascista abbiano condizionato il rapporto della società italiana con il regime. Dall’altro, un esame più ravvicinato e comparato della produzione culturale «politica» e di quella «commerciale» induce a rilevare, oltre alla competizione e alla contrapposizione valoriale, la circolazione di strutture linguistiche e di nuclei di significato da cui la politica del consenso del regime trasse vantaggio. Si pensi, per esempio, al valore positivo dell’italianità dei prodotti celebrata da molta pubblicità; o al ruolo del divismo, e del culto del divo, nel radicare nella mentalità diffusa una predisposizione positiva e un orizzonte di attesa da cui trasse alimento il culto del duce; oppure, al modo in cui l’enfasi sull’immagine (a discapito soprattutto del testo verbale) e l’illusione di un accesso diretto al reale, promesso dal cinema e dalla radio, ampliarono le distanze – culturali ed emotive – con una vita pubblica segnata da complesse mediazioni, vasti apparati burocratici e conflitti, e resero familiare un modello di rapporto con il potere politico basato sulla delega integrale, sulla semplificazione e sulla personalizzazione del potere, cioè sull’identificazione dell’autorità con un individuo, con una figura quindi visibile e capace di agire al di fuori di quelle modalità standardizzate e impersonali proprie degli organismi collettivi e di rappresentanza.

“Educare” o intrattenere? Propaganda, mass media e cultura di massa / Gagliardi. - STAMPA. - (2021), pp. 255-279.

“Educare” o intrattenere? Propaganda, mass media e cultura di massa

Gagliardi
2021

Abstract

Durante il regime fascista, le nuove tecniche e i dispostivi tecnologici disponibili per la diffusione su larga scala di parole, suoni e immagini – i mezzi di comunicazioni di massa – furono largamente impiegati per la propaganda politica. Al tempo stesso, vennero utilizzati, in maniera non meno pervasiva, per l’intrattenimento e lo svago: in altre parole, per rendere piacevole il tempo libero degli italiani e delle italiane, soprattutto distraendoli dai problemi connessi alla vita pubblica. Gli anni della dittatura furono, infatti, anche quelli dell’iniziale espansione della cultura popolare commerciale: il cinema, i rotocalchi, i fumetti, i fotoromanzi, la radio, i dischi di musica leggera entrarono a far parte delle abitudini di consumo culturale di ampi strati della società italiana, che in questo modo poterono fruire di contenuti e linguaggi non direttamente espressione del potere politico, e quindi non pienamente organici alle sue forme e ai suoi temi e privi di una diretta funzione di persuasione a fini politici. Nel giro di pochi anni, settori rilevanti della società italiana (a partire dalle classi medie urbane) si trovarono investiti – come segnalano anche numerose testimonianze coeve – da un fiume di parole, testi, suoni e immagini veicolate da innumerevoli strumenti, provenienti da fonti diverse e concepiti secondo finalità non sempre compatibili, almeno all’apparenza. La comunicazione politica promossa dal fascismo ebbe nella cultura di massa un concorrente, con cui dovette contendersi nell’arena pubblica l’attenzione e i favori del pubblico, indirizzati prevalentemente verso i generi “leggeri” e i prodotti d’intrattenimento: il cinema dei «telefoni bianchi», la musica da ballo, il varietà radiofonico (preferito ai programmi a contenuto informativo e propagandistico, come attestò anche il «grande referendum sulla radio» promosso dall’Eiar e dal «Radiocorriere» nel 1939). Non solo, ma l’ideologia fascista e la cultura commerciale di massa, vagheggiando ed evocando entrambe abitudini, valori e stili di vita, delinearono due diverse idee di società e differenti modelli antropologici: improntati, nel primo caso, alla «ripugnanza per la vita comoda e molle», al saper «vivere pericolosamente», all’assoluta disponibilità a lavorare con disciplina, al rispetto integrale dell’autorità, al costante «orgoglio di essere italiani», all’anteporre gli interessi della collettività a quelli individuali (come recitavano alcuni testi pubblicati dal Pnf); e fondati invece, nel secondo caso, sul primato della sfera privata, sull’enfatizzazione del desiderio e del piacere, sulla famiglia come pilastro del benessere materiale, su una vita «comoda e confortevole». Indagando la compresenza di questi due universi di significato, la storiografia ha messo in evidenza soprattutto la contrapposizione tra il modello culturale fascista e quello commerciale. La cultura commerciale avrebbe avuto nel periodo considerato un ruolo cruciale di emancipazione e modernizzazione, diffondendo valori e modelli, ad esempio nelle relazioni fra i sessi e fra le generazioni, che hanno inciso a fondo nella società italiana e che spesso sono entrati in conflitto con i progetti educativi dello Stato autoritario e del Partito nazionale fascista, così come della Chiesa e dell’associazionismo cattolico. È una chiave di lettura preziosa, ma parziale. Da un lato, infatti, rimane ancora in larga parte da indagare quanto la presenza di valori, modelli culturali e rappresentazioni di stili di vita diversi e non conciliabili con quelli promossi dalla propaganda e dall’ideologia fascista abbiano condizionato il rapporto della società italiana con il regime. Dall’altro, un esame più ravvicinato e comparato della produzione culturale «politica» e di quella «commerciale» induce a rilevare, oltre alla competizione e alla contrapposizione valoriale, la circolazione di strutture linguistiche e di nuclei di significato da cui la politica del consenso del regime trasse vantaggio. Si pensi, per esempio, al valore positivo dell’italianità dei prodotti celebrata da molta pubblicità; o al ruolo del divismo, e del culto del divo, nel radicare nella mentalità diffusa una predisposizione positiva e un orizzonte di attesa da cui trasse alimento il culto del duce; oppure, al modo in cui l’enfasi sull’immagine (a discapito soprattutto del testo verbale) e l’illusione di un accesso diretto al reale, promesso dal cinema e dalla radio, ampliarono le distanze – culturali ed emotive – con una vita pubblica segnata da complesse mediazioni, vasti apparati burocratici e conflitti, e resero familiare un modello di rapporto con il potere politico basato sulla delega integrale, sulla semplificazione e sulla personalizzazione del potere, cioè sull’identificazione dell’autorità con un individuo, con una figura quindi visibile e capace di agire al di fuori di quelle modalità standardizzate e impersonali proprie degli organismi collettivi e di rappresentanza.
2021
Il fascismo italiano. Storia e interpretazioni
255
279
“Educare” o intrattenere? Propaganda, mass media e cultura di massa / Gagliardi. - STAMPA. - (2021), pp. 255-279.
Gagliardi
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