A partire da Husserl, per cogliere di colpo la centralità inaggirabile del problema della soggettività possiamo tracciare un ipotetico piano cartesiano che va dispiegandosi in campi concettualmente eterogenei, in grammatiche di pensiero tra loro opposte, se non a volte inconciliabili. Lungo l’asse delle ascisse collochiamo l’evoluzione interna del movimento fenomenologico a seguito della ricezione di Heidegger, che ha determinato il senso di una lettura tendenzialmente incentrata sull’esigenza di un superamento della metafisica. Ne sono notoriamente conseguite le figure di una “fenomenologia rovesciata” che, spingendo la riflessione husserliana al limite, ha ripensato la soggettività in funzione di altre istanze, presumibilmente più fondamentali: il dono, l’appello, il corpo, la carne. Un insieme sfaccettato d’orientamenti cui si è si accompagnato l’affinarsi dell’esegesi, la quale ha saputo ricollocare la fenomenologia in una storia di longue durée, abbinando all’impresa di una “decostruzione” il gesto di un’“archeologia filosofica”. All’estremo opposto ritroviamo, invece, la filosofia della mente d’ispirazione analitica, dove per tutt’altri motivi si è consumato un “ritorno alla soggettività”, imputabile al cambiamento di paradigma in vigore nel più ampio dominio delle scienze cognitive, alla ricerca di un’analisi in grado di render conto della nostra esperienza “in prima persona” – un’analisi, di conseguenza, sempre più attenta ai risultati del lascito fenomenologico. Lungo l’asse delle coordinate rinveniamo, infine, un’altra opposizione che va abbracciando gli estremi delle forme individuali e collettive della soggettività: dall’incontro della fenomenologia con la psicologia, la psicoanalisi e la psicopatologia a una riflessione sulla normatività, sul mondo sociale e sulle “pratiche”, per come le intenderà Foucault, che hanno gettato nuova luce sull’incontro della fenomenologia con l’antropologia filosofica. Tali, in sintesi, sono gli estremi della questione che abbiamo voluto porre a tema in questo fascicolo di Discipline Filosofiche: dalla storia della metafisica alla positività delle scienze, dall’ethos al pathos, dalla filosofia continentale all’analitica. E la questione va assumendo una portata universale, ancor più vertiginosa se ne consideriamo la relativa geografia: tra Lovanio e Copenhagen, tra Canberra e Tucson in Arizona, la soggettività oggi non è più solo il nome di un problema, bensì il titolo di un programma di ricerca a vocazione multidisciplinare, che conosce un’ormai diffusa istituzionalizzazione. Il compito di una ricognizione generale si pone in tal senso con tanta più urgenza, fissando in Husserl un ideale punto di partenza, e non di ritorno, che sappia affrontare il rischio della dispersione cui il concetto va incontro. A riguardo valga d’altronde l’indicazione di Jean-Luc Nancy, editore invitato ormai trent’anni fa da un’altra rivista per un numero suggestivamente intitolato “Après le sujet qui vient”: un’indicazione che vedeva nella soggettività la possibilità stessa in cui si racchiudono tutte le possibilità dell’essere nel mondo. Più che un concetto, sarà dunque una famiglia di concetti a doversi intendere, la cui affinità emergerà alla luce delle variabili interne ed esterne che ne determinano il campo tematico e i relativi problemi quali, ad esempio, l’intenzionalità, la coscienza, l’auto-coscienza, la riflessione o la descrizione in prima persona – problemi concretamente posti attraverso cui affiorano di volta in volta i differenti volti della soggettività. Non si tratta né di una condanna a morte allora, né più modestamente di un ritorno. “Dopo il soggetto”, a seguito dell’indicazione di Nancy non invocheremo altro che lo spazio per interrogarne nuovamente le figure, per analizzarne le funzioni e riattivare così, per dirlo con le nostre parole, una critica della soggettività.
Emanuele Mariani (2016). A partire da Husserl. Figure, funzioni e critica della soggettività. Macerata : Quodlibet.
A partire da Husserl. Figure, funzioni e critica della soggettività
Emanuele Mariani
2016
Abstract
A partire da Husserl, per cogliere di colpo la centralità inaggirabile del problema della soggettività possiamo tracciare un ipotetico piano cartesiano che va dispiegandosi in campi concettualmente eterogenei, in grammatiche di pensiero tra loro opposte, se non a volte inconciliabili. Lungo l’asse delle ascisse collochiamo l’evoluzione interna del movimento fenomenologico a seguito della ricezione di Heidegger, che ha determinato il senso di una lettura tendenzialmente incentrata sull’esigenza di un superamento della metafisica. Ne sono notoriamente conseguite le figure di una “fenomenologia rovesciata” che, spingendo la riflessione husserliana al limite, ha ripensato la soggettività in funzione di altre istanze, presumibilmente più fondamentali: il dono, l’appello, il corpo, la carne. Un insieme sfaccettato d’orientamenti cui si è si accompagnato l’affinarsi dell’esegesi, la quale ha saputo ricollocare la fenomenologia in una storia di longue durée, abbinando all’impresa di una “decostruzione” il gesto di un’“archeologia filosofica”. All’estremo opposto ritroviamo, invece, la filosofia della mente d’ispirazione analitica, dove per tutt’altri motivi si è consumato un “ritorno alla soggettività”, imputabile al cambiamento di paradigma in vigore nel più ampio dominio delle scienze cognitive, alla ricerca di un’analisi in grado di render conto della nostra esperienza “in prima persona” – un’analisi, di conseguenza, sempre più attenta ai risultati del lascito fenomenologico. Lungo l’asse delle coordinate rinveniamo, infine, un’altra opposizione che va abbracciando gli estremi delle forme individuali e collettive della soggettività: dall’incontro della fenomenologia con la psicologia, la psicoanalisi e la psicopatologia a una riflessione sulla normatività, sul mondo sociale e sulle “pratiche”, per come le intenderà Foucault, che hanno gettato nuova luce sull’incontro della fenomenologia con l’antropologia filosofica. Tali, in sintesi, sono gli estremi della questione che abbiamo voluto porre a tema in questo fascicolo di Discipline Filosofiche: dalla storia della metafisica alla positività delle scienze, dall’ethos al pathos, dalla filosofia continentale all’analitica. E la questione va assumendo una portata universale, ancor più vertiginosa se ne consideriamo la relativa geografia: tra Lovanio e Copenhagen, tra Canberra e Tucson in Arizona, la soggettività oggi non è più solo il nome di un problema, bensì il titolo di un programma di ricerca a vocazione multidisciplinare, che conosce un’ormai diffusa istituzionalizzazione. Il compito di una ricognizione generale si pone in tal senso con tanta più urgenza, fissando in Husserl un ideale punto di partenza, e non di ritorno, che sappia affrontare il rischio della dispersione cui il concetto va incontro. A riguardo valga d’altronde l’indicazione di Jean-Luc Nancy, editore invitato ormai trent’anni fa da un’altra rivista per un numero suggestivamente intitolato “Après le sujet qui vient”: un’indicazione che vedeva nella soggettività la possibilità stessa in cui si racchiudono tutte le possibilità dell’essere nel mondo. Più che un concetto, sarà dunque una famiglia di concetti a doversi intendere, la cui affinità emergerà alla luce delle variabili interne ed esterne che ne determinano il campo tematico e i relativi problemi quali, ad esempio, l’intenzionalità, la coscienza, l’auto-coscienza, la riflessione o la descrizione in prima persona – problemi concretamente posti attraverso cui affiorano di volta in volta i differenti volti della soggettività. Non si tratta né di una condanna a morte allora, né più modestamente di un ritorno. “Dopo il soggetto”, a seguito dell’indicazione di Nancy non invocheremo altro che lo spazio per interrogarne nuovamente le figure, per analizzarne le funzioni e riattivare così, per dirlo con le nostre parole, una critica della soggettività.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.