Adamo di Brema fu geografo e storico, colto rappresentante di una Chiesa che considerava l’Europa del Nord - l’avamposto più settentrionale della cristianità - come terra di evangelizzazione. Arrivato a Brema come chierico (c. 1066-1067), fu accolto dall’arcivescovo Adalberto con stima e benevolenza; ne divenne canonico e forse magister scholarum e, alla sua morte (1072), intraprese a scrivere i Gesta. Li terminò verso il 1075-1076, dopo aver unito al racconto delle vicende dell’arcivescovado di Amburgo-Brema le notizie geografiche ed etnografiche che riusciva a raccogliere insieme alle sue conoscenze di letteratura classica e cristiana. In questo contributo si mette in evidenza, in particolare, la presenza (nei suoi «Gesta») di un «topos» giunto al Medioevo da tradizioni più antiche, quello degli ‘occhi’, con l’intento di trovare non qualche eventuale novità rispetto alla tradizione iconologica e simbolica del tempo, ma proprio il “suo” tempo. D’altronde, innovare non era il fine di Adamo, né lo era penetrare troppo profondamente dentro questioni filosofiche, religiose o simboliche; evangelizzare significava infatti, per lui, legarsi ad una tradizione religiosa consolidata (la Bibbia è la sua fonte principale); anche essere storiografo significava allora restare legato alla tradizione, che era fatta di passato più antico e di passato più recente fusi insieme. Come uomo, infine, egli vedeva nel Nord una terra transitata dallo spirito pagano a quello cristiano in modo non ancora completo.
A. Maranini (2010). Occhio di Uomo, occhio di Dio. PISA : ETS.
Occhio di Uomo, occhio di Dio
MARANINI, ANNA
2010
Abstract
Adamo di Brema fu geografo e storico, colto rappresentante di una Chiesa che considerava l’Europa del Nord - l’avamposto più settentrionale della cristianità - come terra di evangelizzazione. Arrivato a Brema come chierico (c. 1066-1067), fu accolto dall’arcivescovo Adalberto con stima e benevolenza; ne divenne canonico e forse magister scholarum e, alla sua morte (1072), intraprese a scrivere i Gesta. Li terminò verso il 1075-1076, dopo aver unito al racconto delle vicende dell’arcivescovado di Amburgo-Brema le notizie geografiche ed etnografiche che riusciva a raccogliere insieme alle sue conoscenze di letteratura classica e cristiana. In questo contributo si mette in evidenza, in particolare, la presenza (nei suoi «Gesta») di un «topos» giunto al Medioevo da tradizioni più antiche, quello degli ‘occhi’, con l’intento di trovare non qualche eventuale novità rispetto alla tradizione iconologica e simbolica del tempo, ma proprio il “suo” tempo. D’altronde, innovare non era il fine di Adamo, né lo era penetrare troppo profondamente dentro questioni filosofiche, religiose o simboliche; evangelizzare significava infatti, per lui, legarsi ad una tradizione religiosa consolidata (la Bibbia è la sua fonte principale); anche essere storiografo significava allora restare legato alla tradizione, che era fatta di passato più antico e di passato più recente fusi insieme. Come uomo, infine, egli vedeva nel Nord una terra transitata dallo spirito pagano a quello cristiano in modo non ancora completo.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.