Negli ultimi decenni si è assistito a una crescente interazione tra amministrazioni pubbliche e realtà organizzate del territorio che ha dato forma e consolidato modalità di progettazione e realizzazione di politiche pubbliche fortemente connotata da un approccio collaborativo e co-progettato. Dagli anni 2000 l’impostazione condivisa delle politiche pubbliche in vari ambiti del welfare ha incoraggiato il protagonismo di realtà del terzo settore per cui gli strumenti di attivazione e partecipazione sono stati sempre maggiori: si pensi ai Regolamento per l’amministrazione dei Beni Comuni che sono proliferati in tutto il Paese (Arena, Iaione 2012), al riconoscimento di forme di attivazione territoriale più o meno strutturate nei processi di innovazione sociale in ambito sociale e di inclusione che hanno costituito creazione di valore per le periferie urbane e per luoghi dismessi e sottoutilizzati (Ostanel 2017). Se questa struttura ha tenuto in tempi di normalità, favorendo processi di integrazione tra istituzioni e realtà del terzo settore - fino ad arrivare progressivamente ad un sempre maggiore impegno di queste ultime nella progettazione e realizzazione di servizi sociali, educativi, culturali e sanitari - l’emergenza Covid-19 e il conseguente regime di lockdown hanno accelerato dinamiche di inefficienza delle istituzioni pubbliche, incapaci di svolgere il ruolo di soggetti abilitanti la partecipazione, mettendo in luce la fallacia di strumenti e processi di attivazione civica. Sulla scorta di queste premesse, il presente contributo cerca di indagare le conseguenze prodotte dal Covid attraverso le seguenti domande di ricerca: 1) Quali sono stati gli impatti della pandemia su questi processi e strumenti di attivazione? 2) Qual è stata la risposta delle comunità che si sono trovate sguarnite della guida e del coordinamento delle istituzioni nella gestione dei nuovi bisogni delle comunità? 3) Possiamo considerare gli strumenti finora utilizzati sono ancora validi? Dal punto di vista metodologico, sono state condotte 15 interviste semi-strutturate di tipo esplorativo con testimoni privilegiati tra cui soggetti appartenenti a Cooperative, Onlus, Associazioni e gruppi informali della città di Bologna nelle fase conclusiva del lockdown e nella progressiva riapertura delle attività (fase 2 e fase 3). Attraverso i colloqui sono state esplorate le strategie e le modalità alternative di attivazione messe in campo per rispondere alle esigenze in costante mutazione espresse dalle comunità nonché la capacità responsiva delle amministrazioni. In aggiunta è stata approfondita la trasformazione della collaborazione e della reciproca legittimazione nei processi di governance e nella presa in carico dei bisogni sociali tra enti pubblici e realtà del terzo settore. I dati raccolti sono stati trascritti verbatim e analizzati mediante un’analisi del contenuto. L’analisi mostra come la sospensione di tutte le attività abbia generato attivazione di reti di solidarietà e di mutualismo dal basso che non sempre hanno visto proattivi e presenti enti dell’amministrazione nella comprensione dei bisogni impellenti che il lockdown ha accelerato. Questa problematicità si è altresì notata nella gestione delle risposte da garantire alla collettività e nel raccordo con le realtà del territorio. La pandemia ha evidenziato in modo molto netto la necessità di ripensare le modalità di costruire, agevolare e sostenere spazi di empowerment delle comunità e di presa in carico del bene pubblico, senza dover ridurre la complessità di esperienze innovative e atipiche di attivazione civica ai tradizionali canoni amministrativi e normativi, che non sempre si dimostrano efficaci e tempestivi.
Teresa Carlone (2021). Un-locking communities. Ripensare l'attivazione civica e la partecipazione nell'era post-pandemica. Milano : FrancoAngeli.
Un-locking communities. Ripensare l'attivazione civica e la partecipazione nell'era post-pandemica
Teresa Carlone
2021
Abstract
Negli ultimi decenni si è assistito a una crescente interazione tra amministrazioni pubbliche e realtà organizzate del territorio che ha dato forma e consolidato modalità di progettazione e realizzazione di politiche pubbliche fortemente connotata da un approccio collaborativo e co-progettato. Dagli anni 2000 l’impostazione condivisa delle politiche pubbliche in vari ambiti del welfare ha incoraggiato il protagonismo di realtà del terzo settore per cui gli strumenti di attivazione e partecipazione sono stati sempre maggiori: si pensi ai Regolamento per l’amministrazione dei Beni Comuni che sono proliferati in tutto il Paese (Arena, Iaione 2012), al riconoscimento di forme di attivazione territoriale più o meno strutturate nei processi di innovazione sociale in ambito sociale e di inclusione che hanno costituito creazione di valore per le periferie urbane e per luoghi dismessi e sottoutilizzati (Ostanel 2017). Se questa struttura ha tenuto in tempi di normalità, favorendo processi di integrazione tra istituzioni e realtà del terzo settore - fino ad arrivare progressivamente ad un sempre maggiore impegno di queste ultime nella progettazione e realizzazione di servizi sociali, educativi, culturali e sanitari - l’emergenza Covid-19 e il conseguente regime di lockdown hanno accelerato dinamiche di inefficienza delle istituzioni pubbliche, incapaci di svolgere il ruolo di soggetti abilitanti la partecipazione, mettendo in luce la fallacia di strumenti e processi di attivazione civica. Sulla scorta di queste premesse, il presente contributo cerca di indagare le conseguenze prodotte dal Covid attraverso le seguenti domande di ricerca: 1) Quali sono stati gli impatti della pandemia su questi processi e strumenti di attivazione? 2) Qual è stata la risposta delle comunità che si sono trovate sguarnite della guida e del coordinamento delle istituzioni nella gestione dei nuovi bisogni delle comunità? 3) Possiamo considerare gli strumenti finora utilizzati sono ancora validi? Dal punto di vista metodologico, sono state condotte 15 interviste semi-strutturate di tipo esplorativo con testimoni privilegiati tra cui soggetti appartenenti a Cooperative, Onlus, Associazioni e gruppi informali della città di Bologna nelle fase conclusiva del lockdown e nella progressiva riapertura delle attività (fase 2 e fase 3). Attraverso i colloqui sono state esplorate le strategie e le modalità alternative di attivazione messe in campo per rispondere alle esigenze in costante mutazione espresse dalle comunità nonché la capacità responsiva delle amministrazioni. In aggiunta è stata approfondita la trasformazione della collaborazione e della reciproca legittimazione nei processi di governance e nella presa in carico dei bisogni sociali tra enti pubblici e realtà del terzo settore. I dati raccolti sono stati trascritti verbatim e analizzati mediante un’analisi del contenuto. L’analisi mostra come la sospensione di tutte le attività abbia generato attivazione di reti di solidarietà e di mutualismo dal basso che non sempre hanno visto proattivi e presenti enti dell’amministrazione nella comprensione dei bisogni impellenti che il lockdown ha accelerato. Questa problematicità si è altresì notata nella gestione delle risposte da garantire alla collettività e nel raccordo con le realtà del territorio. La pandemia ha evidenziato in modo molto netto la necessità di ripensare le modalità di costruire, agevolare e sostenere spazi di empowerment delle comunità e di presa in carico del bene pubblico, senza dover ridurre la complessità di esperienze innovative e atipiche di attivazione civica ai tradizionali canoni amministrativi e normativi, che non sempre si dimostrano efficaci e tempestivi.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.