Negli ultimi anni ha assunto una rilevanza crescente in letteratura la nozione di “riserva cognitiva” (CR), costrutto teorico che descrive “l’insieme di abilità cognitive, capacità strategiche e conoscenze acquisite che, nell’arco della vita, le esperienze vissute hanno permesso di accumulare” [Mondini, 2013], e che determina una maggior resilienza del cervello al danno neuropatologico. Proposto nell’ambito delle patologie dementigene per rendere conto della discrepanza tra il grado di degenerazione corticale e la sua manifestazione clinica [Katzman et al. 1988; Stern, 2009], il costrutto postula che le differenze individuali nei processi cognitivi, e quindi nei sottostanti network neurali, conseguenti alle diverse esperienze a cui il soggetto è stato esposto (es. educazione, occupazione lavorativa e attività ricreative intellettualmente stimolanti), consentano ad alcuni pazienti di fronteggiare meglio modificazioni cerebrali strutturali e funzionali, costituendo dunque un fattore protettivo per il decadimento cognitivo. Meno chiara è però al momento la rilevanza della CR rispetto alle sequele di patologie del linguaggio di natura traumatica e vascolare: sebbene le “linee guida per la gestione del paziente afasico” della Federazione Logopedisti Italiani [2009] invitino a prendere in considerazione le caratteristiche personali del soggetto nella stesura degli obiettivi del programma riabilitativo, nella pratica clinica la nozione non è di norma tenuta in debito conto e, di fatto, i principali test psicometrici per la valutazione delle funzioni linguistiche e comunicative (ad es. AAT, BADA, ENPA, test dei gettoni) prevedono correzioni statistiche solo per il parametro della scolarità. Parimenti, estremamente scarse sono le attuali conoscenze sul ruolo giocato dalla sede della lesione e sulla suscettibilità delle diverse abilità cognitive, ed in particolare delle funzioni esecutive, all’effetto mitigante della CR [Nunnari et al., 2014]. Il paper si propone perciò di illustrare il costrutto teorico, presentando lo stato dell’arte sull’argomento: in particolare verranno descritti i risultati di un questionario somministrato ad un campione di logopedisti italiani con lo scopo di misurare la familiarità con la nozione e la sua effettiva applicazione nella pratica della professione, e discusse le maggiori criticità per un suo utilizzo nei deficit di natura afasica.

La riserva cognitiva in ambito afasiologico. Potenzialità e limiti

Gloria Gagliardi
2019

Abstract

Negli ultimi anni ha assunto una rilevanza crescente in letteratura la nozione di “riserva cognitiva” (CR), costrutto teorico che descrive “l’insieme di abilità cognitive, capacità strategiche e conoscenze acquisite che, nell’arco della vita, le esperienze vissute hanno permesso di accumulare” [Mondini, 2013], e che determina una maggior resilienza del cervello al danno neuropatologico. Proposto nell’ambito delle patologie dementigene per rendere conto della discrepanza tra il grado di degenerazione corticale e la sua manifestazione clinica [Katzman et al. 1988; Stern, 2009], il costrutto postula che le differenze individuali nei processi cognitivi, e quindi nei sottostanti network neurali, conseguenti alle diverse esperienze a cui il soggetto è stato esposto (es. educazione, occupazione lavorativa e attività ricreative intellettualmente stimolanti), consentano ad alcuni pazienti di fronteggiare meglio modificazioni cerebrali strutturali e funzionali, costituendo dunque un fattore protettivo per il decadimento cognitivo. Meno chiara è però al momento la rilevanza della CR rispetto alle sequele di patologie del linguaggio di natura traumatica e vascolare: sebbene le “linee guida per la gestione del paziente afasico” della Federazione Logopedisti Italiani [2009] invitino a prendere in considerazione le caratteristiche personali del soggetto nella stesura degli obiettivi del programma riabilitativo, nella pratica clinica la nozione non è di norma tenuta in debito conto e, di fatto, i principali test psicometrici per la valutazione delle funzioni linguistiche e comunicative (ad es. AAT, BADA, ENPA, test dei gettoni) prevedono correzioni statistiche solo per il parametro della scolarità. Parimenti, estremamente scarse sono le attuali conoscenze sul ruolo giocato dalla sede della lesione e sulla suscettibilità delle diverse abilità cognitive, ed in particolare delle funzioni esecutive, all’effetto mitigante della CR [Nunnari et al., 2014]. Il paper si propone perciò di illustrare il costrutto teorico, presentando lo stato dell’arte sull’argomento: in particolare verranno descritti i risultati di un questionario somministrato ad un campione di logopedisti italiani con lo scopo di misurare la familiarità con la nozione e la sua effettiva applicazione nella pratica della professione, e discusse le maggiori criticità per un suo utilizzo nei deficit di natura afasica.
2019
Medicina, Filosofia e Cognizione
163
203
Giulia Corsi; Gloria Gagliardi
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11585/826463
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