L'articolo propone l’analisi di alcuni racconti sul tema della Shoah di tre scrittrici ebreo-americane di diverse generazioni, Cynthia Ozick, Rebecca Goldstein e Lesléa Newman. Dopo un excursus sui dibattiti relativi alla letteratura della Shoah (se e come scriverne; genere e Shoah; memoria e Shoah), l'articolo prende in esame come, nella scrittura delle tre autrici oggetto qui di studio, un intervento sul passato che non è fonte di rimozione sia possibile anche attraverso l’immaginazione, il rinvio e l’assunzione di responsabilità. Invece di un oblio imposto, può essere utile vedere a cosa porta il rinvio, che non è né pieno oblio né pieno ricordo. Il racconto, da parte dei personaggi, così come la scrittura, da parte delle autrici, possono diventare un'opportunità per confrontarsi con il passato e, attraverso la memoria e la consapevolezza, aprirsi a un possibile cambiamento. Pur nel dolore e nella complessità di sentimenti che questi racconti sollevano, memoria e scrittura diventano strumenti di emancipazione per i personaggi e le loro autrici. Tutti e tre i racconti infatti mostrano i conflitti intorno alla memoria, raccontano di storie represse e finalmente dette, del peso del ricordo fatto di dolore, rimorso, ma anche di riconoscimento delle proprie responsabilità. I racconti, con il loro carico di dolore e colpa, vengono rimandati, rinviati, fino a un momento in cui è possibile o necessario parlare, fino a che non si trova, forse, il momento e l’ascoltatore giusti. Il rinvio, quindi, non può e non deve essere confuso con l’oblio, la mancanza di responsabilità e giustizia. La presenza di questi, infatti, possono solo compromettere qualsiasi tentativo serio di riconciliarsi con il passato. I tre racconti ci dicono che una riconciliazione non deve necessariamente dimenticare il passato né abolire la colpa. Richiede, tuttavia, l’ammissione delle proprie responsabilità, consapevolezza e conoscenza di ciò che è stato e una riflessione profonda sul passato. Ed è qui che i racconti con il loro carico di memoria e dolore possono fungere da emancipazione anche per i/le lettori/rici. È, forse, proprio questa una delle cose che questi racconti ci vogliono dire: darci tempo, trovare le parole e farci ascoltatori sono gli strumenti che abbiamo a disposizione affinché la memoria non rimanga una parola retorica o vuota, bensì ci permetta di costruire ponti e legami, apprendere e conoscere, per imparare a come fare affinché la Shoah non accada più in altre forme.
R. Baccolini (2009). Memoria, scrittura ed emancipazione nei racconti sulla Shoah di alcune scrittrici americane. ROMA : Mangrovie.
Memoria, scrittura ed emancipazione nei racconti sulla Shoah di alcune scrittrici americane
BACCOLINI, RAFFAELLA
2009
Abstract
L'articolo propone l’analisi di alcuni racconti sul tema della Shoah di tre scrittrici ebreo-americane di diverse generazioni, Cynthia Ozick, Rebecca Goldstein e Lesléa Newman. Dopo un excursus sui dibattiti relativi alla letteratura della Shoah (se e come scriverne; genere e Shoah; memoria e Shoah), l'articolo prende in esame come, nella scrittura delle tre autrici oggetto qui di studio, un intervento sul passato che non è fonte di rimozione sia possibile anche attraverso l’immaginazione, il rinvio e l’assunzione di responsabilità. Invece di un oblio imposto, può essere utile vedere a cosa porta il rinvio, che non è né pieno oblio né pieno ricordo. Il racconto, da parte dei personaggi, così come la scrittura, da parte delle autrici, possono diventare un'opportunità per confrontarsi con il passato e, attraverso la memoria e la consapevolezza, aprirsi a un possibile cambiamento. Pur nel dolore e nella complessità di sentimenti che questi racconti sollevano, memoria e scrittura diventano strumenti di emancipazione per i personaggi e le loro autrici. Tutti e tre i racconti infatti mostrano i conflitti intorno alla memoria, raccontano di storie represse e finalmente dette, del peso del ricordo fatto di dolore, rimorso, ma anche di riconoscimento delle proprie responsabilità. I racconti, con il loro carico di dolore e colpa, vengono rimandati, rinviati, fino a un momento in cui è possibile o necessario parlare, fino a che non si trova, forse, il momento e l’ascoltatore giusti. Il rinvio, quindi, non può e non deve essere confuso con l’oblio, la mancanza di responsabilità e giustizia. La presenza di questi, infatti, possono solo compromettere qualsiasi tentativo serio di riconciliarsi con il passato. I tre racconti ci dicono che una riconciliazione non deve necessariamente dimenticare il passato né abolire la colpa. Richiede, tuttavia, l’ammissione delle proprie responsabilità, consapevolezza e conoscenza di ciò che è stato e una riflessione profonda sul passato. Ed è qui che i racconti con il loro carico di memoria e dolore possono fungere da emancipazione anche per i/le lettori/rici. È, forse, proprio questa una delle cose che questi racconti ci vogliono dire: darci tempo, trovare le parole e farci ascoltatori sono gli strumenti che abbiamo a disposizione affinché la memoria non rimanga una parola retorica o vuota, bensì ci permetta di costruire ponti e legami, apprendere e conoscere, per imparare a come fare affinché la Shoah non accada più in altre forme.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.