Il saggio si sofferma sulle implicazioni significative che i cambiamenti in atto nella società civile e le nuove e mutevoli esigenze che la stessa esprime, hanno sulla natura e sulle finalità dello strumento di pianificazione. In questa prospettiva si chiarisce il fine dell’urbanistica che è quello di impostare piani e progetti che consentano una felice sintesi fra razionalità tecnica e fascino generato delle forme sensibili, che possono essere riconosciute nei loro contesti e nelle loro specificità attraverso il riferimento a storia, morfologia e strutture compositive (da quelle fisiche a quelle sociali ed economiche). Ci si interroga quindi sul ruolo dell’urbanista e su come lo stesso possa esercitare una sobria ma efficace influenza per canalizzare, attraverso l’attività di pianificazione, la trasformazione urbana verso una struttura ed una dimensione figurativa che rispondano alle esigenze della comunità che vi è insediata e che realizzino, in ultima analisi, una città in cui forma e funzionamento siano finalizzati al conseguimento del pubblico interesse che, come è ben noto, costituisce questione centrale della pianificazione. Su queste premesse si motiva la necessità di passare da un modello centralistico ad un modello “societario” di pianificazione urbanistica, attraverso il quale la costruzione di nuove parti di città e/o la trasformazione di quella consolidata (magari in situazioni critiche), si conformi, in primo luogo, al soddisfacimento del pubblico interesse con la partecipazione di tutti i soggetti che, come si è detto, sono coinvolti nella trasformazione urbana. E’ in questo senso che si può continuare a parlare di città “pubblica” e cioè di una città in cui non spetti esclusivamente alla PA ma alla società civile nelle sue articolazioni (dalle istituzioni, ai raggruppamenti volontari di cittadini, fino al singolo cittadino), la identificazione del pubblico interesse, la cui impegnativa concettualizzazione può essere traslata operativamente – con una riduzione forse un po’ rozza -, attraverso la definizione del sistema delle priorità che la società civile pone al proprio piano urbanistico. Si danno i motivi per cui il piano della città è, infatti, qualcosa da scoprire, piuttosto che da decretare. Si segnala anche che questo processo di scoperta, di esplorazione sarà più facile se alleggerito da una pletora di incombenze che gravano sulla pianificazione territoriale ed urbanistica (in particolar modo sulla pianificazione urbanistica). Si discutono infine le relazioni fra piano urbanistico e progetto urbano evidenziando come quest’ultimo consenta di dare una soddisfacente risposta alle esigenze della dimensione estetica e di qualificare la dimensione civile dello spazio urbano.
Secondini P. (2009). L’urbanistica ed il futuro della città. BOLOGNA : Clueb.
L’urbanistica ed il futuro della città
SECONDINI, PIERO
2009
Abstract
Il saggio si sofferma sulle implicazioni significative che i cambiamenti in atto nella società civile e le nuove e mutevoli esigenze che la stessa esprime, hanno sulla natura e sulle finalità dello strumento di pianificazione. In questa prospettiva si chiarisce il fine dell’urbanistica che è quello di impostare piani e progetti che consentano una felice sintesi fra razionalità tecnica e fascino generato delle forme sensibili, che possono essere riconosciute nei loro contesti e nelle loro specificità attraverso il riferimento a storia, morfologia e strutture compositive (da quelle fisiche a quelle sociali ed economiche). Ci si interroga quindi sul ruolo dell’urbanista e su come lo stesso possa esercitare una sobria ma efficace influenza per canalizzare, attraverso l’attività di pianificazione, la trasformazione urbana verso una struttura ed una dimensione figurativa che rispondano alle esigenze della comunità che vi è insediata e che realizzino, in ultima analisi, una città in cui forma e funzionamento siano finalizzati al conseguimento del pubblico interesse che, come è ben noto, costituisce questione centrale della pianificazione. Su queste premesse si motiva la necessità di passare da un modello centralistico ad un modello “societario” di pianificazione urbanistica, attraverso il quale la costruzione di nuove parti di città e/o la trasformazione di quella consolidata (magari in situazioni critiche), si conformi, in primo luogo, al soddisfacimento del pubblico interesse con la partecipazione di tutti i soggetti che, come si è detto, sono coinvolti nella trasformazione urbana. E’ in questo senso che si può continuare a parlare di città “pubblica” e cioè di una città in cui non spetti esclusivamente alla PA ma alla società civile nelle sue articolazioni (dalle istituzioni, ai raggruppamenti volontari di cittadini, fino al singolo cittadino), la identificazione del pubblico interesse, la cui impegnativa concettualizzazione può essere traslata operativamente – con una riduzione forse un po’ rozza -, attraverso la definizione del sistema delle priorità che la società civile pone al proprio piano urbanistico. Si danno i motivi per cui il piano della città è, infatti, qualcosa da scoprire, piuttosto che da decretare. Si segnala anche che questo processo di scoperta, di esplorazione sarà più facile se alleggerito da una pletora di incombenze che gravano sulla pianificazione territoriale ed urbanistica (in particolar modo sulla pianificazione urbanistica). Si discutono infine le relazioni fra piano urbanistico e progetto urbano evidenziando come quest’ultimo consenta di dare una soddisfacente risposta alle esigenze della dimensione estetica e di qualificare la dimensione civile dello spazio urbano.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.