Indubbiamente oggi la piccola e media impresa (Pmi) è un soggetto economico non più trascurato in ambito accademico e di cui molto si discute tra i responsabili delle politiche a livello locale, nazionale ed internazionale. Tale attenzione ha alimentato un intenso dibattito che si è caratterizzato per il proliferare di riflessioni sulla natura della piccola impresa, sui suoi punti di forza e di debolezza negli attuali meccanismi concorrenziali e sulle misure di politica esplicitamente rivolte a tale tipologia d’imprese. Come è noto, le ragioni di questo ormai più che consolidato interesse sono dovute a quanto è emerso dalle analisi relative ad alcune specifiche realtà storiche. L’esperienza italiana, più in generale quella europea e forse in misura maggiore i modelli stilizzati ex post riferendosi a tali esperienze, hanno aperto la strada ad un nuovo modo di considerare la piccola impresa e quindi ad un nuovo approccio di policy making. Tale cambiamento di atteggiamento ha significato abbandonare alcune delle certezze su cui gli economisti tradizionalmente basavano le proprie raccomandazioni di politica industriale, accettando la complessità del rapporto di causalità tra dimensione e performances d’impresa. Inoltre il nuovo approccio di policy riconosce il ruolo sociale delle Pmi: le Pmi infatti in molte circostanze facilitano il coinvolgimento di nuovi soggetti in attività produttive e, contribuendo alla creazione di lavoro e alla diffusione di nuovi skills imprenditoriali, costituiscono anche una fonte im-portante di stabilità sociale. Tuttavia, nonostante la sempre crescente popolarità delle Pmi tra scienziati sociali e policy makers, il dibattito continua ad evidenziare zone d’ombra; in particolare in questa sede si sostiene si sia ancora raggiunta una sufficiente chiarezza (terminologica e concettuale) nel definire la categoria stessa di “piccola e media impresa”. In quest’ottica, abbiamo ritenuto quindi che fosse importante sviluppare alcune riflessioni su una possibile griglia interpretativa, un framework analitico quanto più possibile capace di iniziare ad evidenziare le complessità e le diversità all’interno della troppo generica categoria Pmi. Si tratta infatti a nostro avviso, in particolare quando ci si muove in un’ottica comparata, di uno dei presupposti dell’intero dibattito su cui bisogna continuare ad insistere. Obiettivo di questo capitolo è quindi quello di offrire un possibile stru-mento di lettura, quanto più possibile vicino al mondo reale, che possa aiutare lo studioso e il policy maker in sede di analisi positiva e normativa, ad identificare le specificità della pluralità dei soggetti che vengono ricompresi nella categoria piccola e media impresa.
DI TOMMASO M.R., BIANCHI P. E RUBINI L., DI TOMMASO M.R., BIANCHI P. (2000). Piccole imprese e politiche industriali in un contesto aperto. ITA : Franco Angeli.
Piccole imprese e politiche industriali in un contesto aperto
DI TOMMASO M.R.;
2000
Abstract
Indubbiamente oggi la piccola e media impresa (Pmi) è un soggetto economico non più trascurato in ambito accademico e di cui molto si discute tra i responsabili delle politiche a livello locale, nazionale ed internazionale. Tale attenzione ha alimentato un intenso dibattito che si è caratterizzato per il proliferare di riflessioni sulla natura della piccola impresa, sui suoi punti di forza e di debolezza negli attuali meccanismi concorrenziali e sulle misure di politica esplicitamente rivolte a tale tipologia d’imprese. Come è noto, le ragioni di questo ormai più che consolidato interesse sono dovute a quanto è emerso dalle analisi relative ad alcune specifiche realtà storiche. L’esperienza italiana, più in generale quella europea e forse in misura maggiore i modelli stilizzati ex post riferendosi a tali esperienze, hanno aperto la strada ad un nuovo modo di considerare la piccola impresa e quindi ad un nuovo approccio di policy making. Tale cambiamento di atteggiamento ha significato abbandonare alcune delle certezze su cui gli economisti tradizionalmente basavano le proprie raccomandazioni di politica industriale, accettando la complessità del rapporto di causalità tra dimensione e performances d’impresa. Inoltre il nuovo approccio di policy riconosce il ruolo sociale delle Pmi: le Pmi infatti in molte circostanze facilitano il coinvolgimento di nuovi soggetti in attività produttive e, contribuendo alla creazione di lavoro e alla diffusione di nuovi skills imprenditoriali, costituiscono anche una fonte im-portante di stabilità sociale. Tuttavia, nonostante la sempre crescente popolarità delle Pmi tra scienziati sociali e policy makers, il dibattito continua ad evidenziare zone d’ombra; in particolare in questa sede si sostiene si sia ancora raggiunta una sufficiente chiarezza (terminologica e concettuale) nel definire la categoria stessa di “piccola e media impresa”. In quest’ottica, abbiamo ritenuto quindi che fosse importante sviluppare alcune riflessioni su una possibile griglia interpretativa, un framework analitico quanto più possibile capace di iniziare ad evidenziare le complessità e le diversità all’interno della troppo generica categoria Pmi. Si tratta infatti a nostro avviso, in particolare quando ci si muove in un’ottica comparata, di uno dei presupposti dell’intero dibattito su cui bisogna continuare ad insistere. Obiettivo di questo capitolo è quindi quello di offrire un possibile stru-mento di lettura, quanto più possibile vicino al mondo reale, che possa aiutare lo studioso e il policy maker in sede di analisi positiva e normativa, ad identificare le specificità della pluralità dei soggetti che vengono ricompresi nella categoria piccola e media impresa.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.