L’intervento si colloca nel quadro di un percorso triennale di ricerca-azione nato da un partenariato tra l’Università di Bologna e l’Istituto “Spallanzani”, comprendente una scuola primaria e due secondarie di primo grado, collocate tra le province di Modena e Reggio Emilia. L’istituto ha aperto le proprie porte con l’obiettivo di una valutazione pedagogica del proprio progetto educativo e didattico nonché delle singole pratiche scolastiche, assunte come “casi osservativi”. A un primo anno di osservazione partecipante ha fatto seguito un secondo anno dedicato a un’osservazione di secondo livello (il terzo anno ha invece visto l'estensione della ricerca ad altre scuole statali e paritarie del territorio emiliano). Contestualmente sono stati attivati processi metacognitivi negli attori della comunità scolastica, relativamente al progetto educativo istituzionale e ai punti di forza e criticità delle pratiche scolastiche: l’obiettivo è una formalizzazione pedagogica degli elementi originali messi in campo dall’istituto stesso. I molti dati raccolti sono in corso di elaborazione. In questo contributo intendiamo tematizzare la questione di una possibile sinergia tra scuola e famiglia con particolare riferimento all’inclusione dei bambini e dei ragazzi diversamente abili e/o con bisogni educativi speciali, affrontando il tema dal punto di vista della Pedagogia generale. Nel caso osservato, la questione dell’inclusione rientra in un più ampio contesto teorico, oggetto di esplicita teorizzazione da parte dell’istituto, e che è riconducibile al principio della personalizzazione didattica (modello ampiamente discusso in letteratura, ma che in questo caso è assunto a cifra dell’azione scolastica complessiva e non riferito esclusivamente alle situazioni di difficoltà). L’osservazione di alcune prassi (che qui potremo descrivere solo sinteticamente) lascia emergere –qui l’elemento di interesse per la Pedagogia generale –numerosi impliciti sottesi all’accento posto su personalizzazione e inclusione. Essi sembrano costituire una forte spinta motivazionale condivisa dagli attori scolastici, capace di sostenere l’operato dei docenti/educatori osservati, anche se non necessariamente appaiono teorizzati/verbalizzati. Si tratta certamente delle “pedagogie/psicologie implicite” teorizzate dal Bruner come “anima” dell’azione docente. Più in generale, però, sembra possibile identificare qui le linee di una pedagogia della scuola come luogo educativo, espressamente richiamata in momenti dedicati dal personale didattico-educativo come presupposto ampio della progettazione e dei concreti interventi didattici. In particolare, tale pedagogia della scuola sembrerebbe esibire consapevolezza circa il doppio bisogno che continuamente interpella l’adulto insegnante: il bisogno sociale di consegnare agli allievi un patrimonio culturale tradotto nelle diverse programmazioni e ritenuto “degno” di essere condiviso; e il bisogno del discente, che necessita di insegnamento e ne ha diritto, ma ne è innanzitutto “degno”. Intrecciata a tale pedagogia della scuola emerge una pedagogia della famiglia come luogo educativo prioritario. Il P.T.O.F. dell’Istituto “Spallanzani” esplicita nelle prime battute tale presupposto, il quale sembra però operare, di nuovo, anche come movente implicito. Le osservazioni svolte lasciano ipotizzare che esso informi di sé innanzitutto il clima e lo stile complessivo della scuola (ad es. con la creazione di momenti/contesti nei quali i bambini e le loro famiglie possano fare esperienza assieme, nell’ideale avvio di prassi e percorsi spendibili anche nella quotidiana vita familiare). Esso pare però informare anche singole pratiche, come il coinvolgimento nella vita d’aula di un’associazione no profit fondata dalla madre di una ragazzina affetta da sindrome di Down. O, ancora, la rete scuola/famiglie che ha consentito l’attivazione per l’intero anno scolastico di un progetto volto a far percepire tale alunna dai compagni di classe come “risorsa” nelle attività didattiche: tale progetto non sarebbe stato possibile senza l’adesione cosciente delle famiglie di tutti i componenti della classe e la esplicitazione e condivisione di un quadro pedagogico a monte. L’osservazione partecipante ha determinato la possibilità di “esplicitare l’implicito”, riproponendo all’attenzione di tutti gli attori l’anima effettiva delle loro prassi in modo da ottenerne la consapevolezza e la condivisione socializzata.

Scuola e famiglia nella progettazione di una didattica inclusiva: osservazione di un caso concreto

Giorgia Pinelli
2020

Abstract

L’intervento si colloca nel quadro di un percorso triennale di ricerca-azione nato da un partenariato tra l’Università di Bologna e l’Istituto “Spallanzani”, comprendente una scuola primaria e due secondarie di primo grado, collocate tra le province di Modena e Reggio Emilia. L’istituto ha aperto le proprie porte con l’obiettivo di una valutazione pedagogica del proprio progetto educativo e didattico nonché delle singole pratiche scolastiche, assunte come “casi osservativi”. A un primo anno di osservazione partecipante ha fatto seguito un secondo anno dedicato a un’osservazione di secondo livello (il terzo anno ha invece visto l'estensione della ricerca ad altre scuole statali e paritarie del territorio emiliano). Contestualmente sono stati attivati processi metacognitivi negli attori della comunità scolastica, relativamente al progetto educativo istituzionale e ai punti di forza e criticità delle pratiche scolastiche: l’obiettivo è una formalizzazione pedagogica degli elementi originali messi in campo dall’istituto stesso. I molti dati raccolti sono in corso di elaborazione. In questo contributo intendiamo tematizzare la questione di una possibile sinergia tra scuola e famiglia con particolare riferimento all’inclusione dei bambini e dei ragazzi diversamente abili e/o con bisogni educativi speciali, affrontando il tema dal punto di vista della Pedagogia generale. Nel caso osservato, la questione dell’inclusione rientra in un più ampio contesto teorico, oggetto di esplicita teorizzazione da parte dell’istituto, e che è riconducibile al principio della personalizzazione didattica (modello ampiamente discusso in letteratura, ma che in questo caso è assunto a cifra dell’azione scolastica complessiva e non riferito esclusivamente alle situazioni di difficoltà). L’osservazione di alcune prassi (che qui potremo descrivere solo sinteticamente) lascia emergere –qui l’elemento di interesse per la Pedagogia generale –numerosi impliciti sottesi all’accento posto su personalizzazione e inclusione. Essi sembrano costituire una forte spinta motivazionale condivisa dagli attori scolastici, capace di sostenere l’operato dei docenti/educatori osservati, anche se non necessariamente appaiono teorizzati/verbalizzati. Si tratta certamente delle “pedagogie/psicologie implicite” teorizzate dal Bruner come “anima” dell’azione docente. Più in generale, però, sembra possibile identificare qui le linee di una pedagogia della scuola come luogo educativo, espressamente richiamata in momenti dedicati dal personale didattico-educativo come presupposto ampio della progettazione e dei concreti interventi didattici. In particolare, tale pedagogia della scuola sembrerebbe esibire consapevolezza circa il doppio bisogno che continuamente interpella l’adulto insegnante: il bisogno sociale di consegnare agli allievi un patrimonio culturale tradotto nelle diverse programmazioni e ritenuto “degno” di essere condiviso; e il bisogno del discente, che necessita di insegnamento e ne ha diritto, ma ne è innanzitutto “degno”. Intrecciata a tale pedagogia della scuola emerge una pedagogia della famiglia come luogo educativo prioritario. Il P.T.O.F. dell’Istituto “Spallanzani” esplicita nelle prime battute tale presupposto, il quale sembra però operare, di nuovo, anche come movente implicito. Le osservazioni svolte lasciano ipotizzare che esso informi di sé innanzitutto il clima e lo stile complessivo della scuola (ad es. con la creazione di momenti/contesti nei quali i bambini e le loro famiglie possano fare esperienza assieme, nell’ideale avvio di prassi e percorsi spendibili anche nella quotidiana vita familiare). Esso pare però informare anche singole pratiche, come il coinvolgimento nella vita d’aula di un’associazione no profit fondata dalla madre di una ragazzina affetta da sindrome di Down. O, ancora, la rete scuola/famiglie che ha consentito l’attivazione per l’intero anno scolastico di un progetto volto a far percepire tale alunna dai compagni di classe come “risorsa” nelle attività didattiche: tale progetto non sarebbe stato possibile senza l’adesione cosciente delle famiglie di tutti i componenti della classe e la esplicitazione e condivisione di un quadro pedagogico a monte. L’osservazione partecipante ha determinato la possibilità di “esplicitare l’implicito”, riproponendo all’attenzione di tutti gli attori l’anima effettiva delle loro prassi in modo da ottenerne la consapevolezza e la condivisione socializzata.
2020
30 anni dopo la Convenzione ONU sui diritti dell'infanzia. Quale pedagogia per i minori?
1520
1531
Giorgia Pinelli
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11585/810825
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