Alcuni studiosi la chiamano azienda, altri la chiamano impresa. Tuttavia, se alziamo gli occhi dalla ricerca esclusiva del profitto, saldo fra ricavi e costi, e dalla massimizzazione di una funzione, che identifica ancora una volta il profitto, le differenze di termine sembrano scomparire. Ed è proprio in questa diversa visione che gli studi più moderni sembrano orientarsi. Nel nuovo Millennio, in cui ci siamo oramai addentrati per un quinto di secolo, fra gli aziendalisti escono con frequenza studi che mettono in primo piano la responsabilità d’impresa (Matacena, 2009), la cooperazione mutualistica (Matacena & Fiorentini, 2009), l’impresa sociale (Matacena, 2006a e 2006b), il bilancio sociale (Matacena & Mattei, 2008); fra gli economisti trovano con sempre maggiore frequenza studi che pongono in evidenza i vantaggi di un’economia del Noi (Carlini, 2011), solidale e mutualistica, che si concretizza nell’autogestione (Candela & Senta, 2017), nei beni comuni (Sacconi & Ottone, 2015), nell’economia civile per una produzione e un consumo responsabili (Becchetti et al., 2010), nell’economia sostenibile (Raworth, 2019). È con questo sguardo che ci sembra di riconoscere nell’organizzazione del turismo balneare di Riccione (costa romagnola) – che Antonio Matacena e noi ben conosciamo, spesso guardandola, raramente osservandola – un esempio vero in cui quelle differenze scompaiono, un esempio tanto reale che vorremmo fosse in qualche modo pubblicamente riconosciuto. In questo breve scritto narriamo di come alcuni hanno tentato di farlo. Lo facciamo innanzitutto perché apprezziamo questo tipo di economia, poi perché riteniamo che, col tempo, questo territorio sia approdato a un esemplare ed efficiente progetto.
G. Candela, M. Mussoni (2020). Il patrimonio culturale immateriale come sito UNESCO. Il caso della spiaggia di Riccione. Milano : Franco Angeli.
Il patrimonio culturale immateriale come sito UNESCO. Il caso della spiaggia di Riccione
G. CandelaPrimo
;M. Mussoni
Secondo
2020
Abstract
Alcuni studiosi la chiamano azienda, altri la chiamano impresa. Tuttavia, se alziamo gli occhi dalla ricerca esclusiva del profitto, saldo fra ricavi e costi, e dalla massimizzazione di una funzione, che identifica ancora una volta il profitto, le differenze di termine sembrano scomparire. Ed è proprio in questa diversa visione che gli studi più moderni sembrano orientarsi. Nel nuovo Millennio, in cui ci siamo oramai addentrati per un quinto di secolo, fra gli aziendalisti escono con frequenza studi che mettono in primo piano la responsabilità d’impresa (Matacena, 2009), la cooperazione mutualistica (Matacena & Fiorentini, 2009), l’impresa sociale (Matacena, 2006a e 2006b), il bilancio sociale (Matacena & Mattei, 2008); fra gli economisti trovano con sempre maggiore frequenza studi che pongono in evidenza i vantaggi di un’economia del Noi (Carlini, 2011), solidale e mutualistica, che si concretizza nell’autogestione (Candela & Senta, 2017), nei beni comuni (Sacconi & Ottone, 2015), nell’economia civile per una produzione e un consumo responsabili (Becchetti et al., 2010), nell’economia sostenibile (Raworth, 2019). È con questo sguardo che ci sembra di riconoscere nell’organizzazione del turismo balneare di Riccione (costa romagnola) – che Antonio Matacena e noi ben conosciamo, spesso guardandola, raramente osservandola – un esempio vero in cui quelle differenze scompaiono, un esempio tanto reale che vorremmo fosse in qualche modo pubblicamente riconosciuto. In questo breve scritto narriamo di come alcuni hanno tentato di farlo. Lo facciamo innanzitutto perché apprezziamo questo tipo di economia, poi perché riteniamo che, col tempo, questo territorio sia approdato a un esemplare ed efficiente progetto.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.