Traduzione, con introduzione e note , di un brano tratto dalla Yuktidīpikā, testo anonimo databile tra il VII e l’VIII sec. d. C.), appartenente alla scuola Sāṃkhya. Il brano ha per tema la giustificazione dell’astensione dalla violenza (ahiṃsā). L’argomentazione chiama in causa la regola aurea dell’etica della reciprocità, espressa nella formula: «[che uno] non faccia a un altro ciò che è sgradito a se stesso»; la necessità di attenersi a tale “norma (dharma) generale” rende ragione del fatto che ci si astenga dal compiere atti che, pur procurando vantaggio a se stessi, arrecano danno ad altri. L'argomentazione continua precisando perché l'atto sacrificale violento viene chiamato "impuro". In chi compie un atto violento, si produce una sofferenza interiore, causata dalla “compassione” (kāruṇya) provata per la vittima della violenza – e tale sofferenza viene qualificata come “impurità”: per questo motivo alla violenza che ne è la causa, anche alla violenza sacrificale ingiunta dal Veda, può essere traslatamente imputato il difetto di essere caratterizzata dall’“impurità”.
Yuktidīpikā ad Sāṅkhyakārikā 2ab
Marchignoli Saverio
Primo
Writing – Original Draft Preparation
2019
Abstract
Traduzione, con introduzione e note , di un brano tratto dalla Yuktidīpikā, testo anonimo databile tra il VII e l’VIII sec. d. C.), appartenente alla scuola Sāṃkhya. Il brano ha per tema la giustificazione dell’astensione dalla violenza (ahiṃsā). L’argomentazione chiama in causa la regola aurea dell’etica della reciprocità, espressa nella formula: «[che uno] non faccia a un altro ciò che è sgradito a se stesso»; la necessità di attenersi a tale “norma (dharma) generale” rende ragione del fatto che ci si astenga dal compiere atti che, pur procurando vantaggio a se stessi, arrecano danno ad altri. L'argomentazione continua precisando perché l'atto sacrificale violento viene chiamato "impuro". In chi compie un atto violento, si produce una sofferenza interiore, causata dalla “compassione” (kāruṇya) provata per la vittima della violenza – e tale sofferenza viene qualificata come “impurità”: per questo motivo alla violenza che ne è la causa, anche alla violenza sacrificale ingiunta dal Veda, può essere traslatamente imputato il difetto di essere caratterizzata dall’“impurità”.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.