Questo contributo propone una lettura del percorso attraverso il quale alcuni oggetti subiscono, in ambito cristiano-cattolico, una particolare riqualificazione e acquistano, in un certo momento, una condizione di superiorità e di ricercatezza, condizione che viene comunemente definita, sia in ambito pratico-devozionale che teorico-scientifico, con il termine ‘sacro’. Pur analizzandoli come prodotti di reificazione e, quindi, di inversione o di elaborazione sociale sulla scia degli studi di Rappaport 1971 e di Remotti 1993 , questi oggetti hanno una propria dimensione, tanto da intervenire direttamente nel reale, non solo religioso, modellandolo e modificandolo. Partendo da una etnografia partecipante realizzata condividendo la vita di alcuni gruppi monacali francesi e italiani, si intende presentare il caso dei resti (frammenti tessili e parti ossee) della duchessa bretone Françoise d’Amboise (1427-1485), beatificata da Pio IX nel 1863 e considerata la fondatrice delle Carmelitane in Francia. I resti della duchessa sono oggi conservati presso monasteri e conventi. Si tratta di un sistema di beni patrimonializzato, sottoposto a processi di lavorazione e a interazioni regolate da normative conventuali. Si presenteranno i lavori manuali saperi tecnici e logiche di produzione (Andlauer 2002, Charuty 1992) concretamente compiuti oggi da parte di religiose di clausura specializzate sui resti attribuiti alla beata e su tessuti ordinari che, secondo le produttrici, possono essere fatti diventare a loro volta materiali ai quali è riconosciuto un valore extra-umano [disponibile cortometraggio inedito realizzato dall’autrice]. Attraverso la pratica della riproducibilità sacrale (Durkheim 1912) si tenta di superare i princìpi di scarsità e di «unicità» della reliquia (Wirth 2005). Queste figure di donne seguono e decidono l’intero processo di produzione, di significazione e di diffusione dell’oggetto ‘sacro’, creando per se stesse delle nicchie di potere autonomo all’interno del più ampio panorama ecclesiastico. Questo caso solleva non solo problematiche legate ad una antropologia delle cose, ma più specificatamente, ad una epistemologie dell’oggetto resto umano. Ciò offre l’occasione per chiedersi attraverso quali processi relazionali e quali strategie – protagonisti, situazioni, apparati materiali e ideologici – questi oggetti acquisiscano il loro potere sacrale (Kopytoff 1986, Geary 1990) e soprattutto quali siano gli indicatori che lo determinano e lo caratterizzano, mantenendolo vitale. La pratica di produzione delle reliquie è utilizzata come strategia politica in relazione non solo del mondo ecclesiastico stesso ma anche indirettamente a quello civile: se da una parte, infatti, è utilizzata dall’ambito monastico (femminile) per svincolarsi dal mondo ecclesiastico (maschile), dall’altra sembra essere anche un modo per sottolineare la piena autonomia da quello politico locale. Quest’ultimo, infatti, riconosce sì l’oggetto reliquia e spesso lo utilizza per fini civili e politici ma non può entrare nel merito del processo di sacralizzazione, limitazione di cui le religiose sottolineano l’importanza. Interessante notare, tuttavia, che in taluni casi, è proprio sull’attività di manipolazione dei resti che le amministrazioni locali vanno ad intervenire per legittimare delle scelte politiche. Il caso di Pluerlin (Morbihan) è al riguardo esemplare. Quando nel 2002 fu trovata (o inventata) nella parrocchia del paese una reliquia di Françoise d’Amboise, furono proprio gli amministratori politici locali a voler intervenire sul trattamento dei resti, rovinati dal tempo, e per farlo si appoggiarono a artigiani locali e alle monache di Vannes. Nella chiesa di Pluherlin, infatti, Saint Gentien, secondo la tradizione orale, nel 1461 la beata avrebbe manifestato pubblicamente la sua intenzione di dedicarsi alla vita monastica, cosa rivendicata anche dalla parrocchia del vicino paese di Rochefort-en-Terre. L’appropriazione dei resti e la gestione del loro trattamento avrebbe permesso – cosa che in parte è avvenuta – la legittimazione della chiesa e del paese stesso a livello turistico.
F. Sbardella (2020). Processing Human Remains. The Construction of Political Objects. Padova : Cleup.
Processing Human Remains. The Construction of Political Objects
F. Sbardella
2020
Abstract
Questo contributo propone una lettura del percorso attraverso il quale alcuni oggetti subiscono, in ambito cristiano-cattolico, una particolare riqualificazione e acquistano, in un certo momento, una condizione di superiorità e di ricercatezza, condizione che viene comunemente definita, sia in ambito pratico-devozionale che teorico-scientifico, con il termine ‘sacro’. Pur analizzandoli come prodotti di reificazione e, quindi, di inversione o di elaborazione sociale sulla scia degli studi di Rappaport 1971 e di Remotti 1993 , questi oggetti hanno una propria dimensione, tanto da intervenire direttamente nel reale, non solo religioso, modellandolo e modificandolo. Partendo da una etnografia partecipante realizzata condividendo la vita di alcuni gruppi monacali francesi e italiani, si intende presentare il caso dei resti (frammenti tessili e parti ossee) della duchessa bretone Françoise d’Amboise (1427-1485), beatificata da Pio IX nel 1863 e considerata la fondatrice delle Carmelitane in Francia. I resti della duchessa sono oggi conservati presso monasteri e conventi. Si tratta di un sistema di beni patrimonializzato, sottoposto a processi di lavorazione e a interazioni regolate da normative conventuali. Si presenteranno i lavori manuali saperi tecnici e logiche di produzione (Andlauer 2002, Charuty 1992) concretamente compiuti oggi da parte di religiose di clausura specializzate sui resti attribuiti alla beata e su tessuti ordinari che, secondo le produttrici, possono essere fatti diventare a loro volta materiali ai quali è riconosciuto un valore extra-umano [disponibile cortometraggio inedito realizzato dall’autrice]. Attraverso la pratica della riproducibilità sacrale (Durkheim 1912) si tenta di superare i princìpi di scarsità e di «unicità» della reliquia (Wirth 2005). Queste figure di donne seguono e decidono l’intero processo di produzione, di significazione e di diffusione dell’oggetto ‘sacro’, creando per se stesse delle nicchie di potere autonomo all’interno del più ampio panorama ecclesiastico. Questo caso solleva non solo problematiche legate ad una antropologia delle cose, ma più specificatamente, ad una epistemologie dell’oggetto resto umano. Ciò offre l’occasione per chiedersi attraverso quali processi relazionali e quali strategie – protagonisti, situazioni, apparati materiali e ideologici – questi oggetti acquisiscano il loro potere sacrale (Kopytoff 1986, Geary 1990) e soprattutto quali siano gli indicatori che lo determinano e lo caratterizzano, mantenendolo vitale. La pratica di produzione delle reliquie è utilizzata come strategia politica in relazione non solo del mondo ecclesiastico stesso ma anche indirettamente a quello civile: se da una parte, infatti, è utilizzata dall’ambito monastico (femminile) per svincolarsi dal mondo ecclesiastico (maschile), dall’altra sembra essere anche un modo per sottolineare la piena autonomia da quello politico locale. Quest’ultimo, infatti, riconosce sì l’oggetto reliquia e spesso lo utilizza per fini civili e politici ma non può entrare nel merito del processo di sacralizzazione, limitazione di cui le religiose sottolineano l’importanza. Interessante notare, tuttavia, che in taluni casi, è proprio sull’attività di manipolazione dei resti che le amministrazioni locali vanno ad intervenire per legittimare delle scelte politiche. Il caso di Pluerlin (Morbihan) è al riguardo esemplare. Quando nel 2002 fu trovata (o inventata) nella parrocchia del paese una reliquia di Françoise d’Amboise, furono proprio gli amministratori politici locali a voler intervenire sul trattamento dei resti, rovinati dal tempo, e per farlo si appoggiarono a artigiani locali e alle monache di Vannes. Nella chiesa di Pluherlin, infatti, Saint Gentien, secondo la tradizione orale, nel 1461 la beata avrebbe manifestato pubblicamente la sua intenzione di dedicarsi alla vita monastica, cosa rivendicata anche dalla parrocchia del vicino paese di Rochefort-en-Terre. L’appropriazione dei resti e la gestione del loro trattamento avrebbe permesso – cosa che in parte è avvenuta – la legittimazione della chiesa e del paese stesso a livello turistico.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.