I Paparazzi. «Banditi delle immagini». Scattini. «Implacabili, scattanti Savonarola della Nikon (…) Impiccioni, scandalisti, amorali». Un pezzo di storia nazionale che lega indissolubilmente il mito della Dolce vita felliniana all’immagine di un popolo che cerca di lasciarsi alle spalle le durezze del Dopoguerra, e le censure fasciste del L.U.C.E., apprestandosi a divenire il porto naturale del mondo delle celebrities al di là dell’Oceano, consacrando una certa italianità da rotocalco all’agiografia della cultura di massa. Per quegli anni, per Fellini stesso che a lui si ispirò e che cercò anche di scritturare, Paparazzo è sinonimo di Tazio Secchiaroli, il fotoreporter le cui immagini dei divi colti al volo sono entrate nel patrimonio visuale della collettività: Anita Ekberg, Walter Chiari ma, soprattutto, la seducente Aiché Nanà fotografata nel 1958 al centro del locale romano Rugantino mentre si lancia in una danza erotica senza veli. Ancora oggi un paparazzo appostato significa presenza o supposto arrivo di un personaggio famoso. Il bottino (allora i rullini nascosti, strappati, trafugati, oggi i pixel salvati dentro a dei minuscoli microchip) significa gossip, pettegolezzo, scoop. Già nel 1970 Vincenzo Carrese, fondatore dell’agenzia Publifoto, indicava le sue regole del buon paparazzo, anzi stendeva una vera e propria normativa per «un’etica paparazziana». Oggi un professionista di nome William Abenhaim pubblica un libro per spiegare chi è un paparazzo, in cosa consiste il suo lavoro, quali sono le tecniche di spionaggio, chi sono i suoi informatori, quanto guadagna. Italiano dunque di concezione, la notte del 30 agosto 1997 il termine paparazzo diventa però di comprensione davvero mondiale, quando cioè nel tunnel parigino dell’Alma la macchina su cui si trovano Lady Diana e Dodi Al Fayed si scontra violentemente contro un pilone di cemento. Gli stessi fotografi sono sulle prime considerati corresponsabili dell’incidente: l’autista sarebbe stato accecato da quei flash che continuano inesorabili a lampeggiare anche dopo l’urto. Lady Diana, che ha alimentato fama e grandezza del suo personaggio grazie ad un’esasperante esposizione mediatica, ora ne diviene tragica vittima globalizzata. La favola ha comunque origine tra Cinecittà e i bar all’aperto della Via Veneto degli anni Cinquanta, location ideali di questa professione rocambolesca che definisce proprio allora e in quei luoghi la sua identità. Era lì infatti che si poteva trovare la materia prima per quella loro attività di fotoreporter da rotocalco, grazie ad un’industria cinematografica che portava in città le star di Hollywood pronte ad entrare a fare parte della luccicante café-society. «Per i fotografi le strade del centro di Roma erano il campo di battaglia, lo studio ed il set ideale, conoscevano abitudini e stili di vita dei soggetti più interessanti, spesso grazie a una “soffiata” potevano arrivare in tempo per una fotografia». Ora come allora i paparazzi si appostano come animali da caccia e sono sempre all’avanguardia su tutto ciò che riguarda la tecnologia miniaturizzata capace di camuffare piccoli apparecchi fotografici dentro a orologi da polso, spille, fermacravatta, penne stilografiche. Le prede di cui inseguono tracce e “profumi” sono star e starlette, dive, uomini politici, affaristi, bancarottieri. Tazio Secchiaroli rimane sicuramente il paparazzo più famoso della storia della fotografia. Poi ci sono stati tanti altri nomi, tra cui quelli di Elio Sorci, di Velio Cioni, di Rino Barillari detto “The King” e, oggi, di Massimo Sestini.

Paparazzi. La fotografia e la moda del gossip / F.Muzzarelli. - STAMPA. - (2010), pp. 105-112.

Paparazzi. La fotografia e la moda del gossip

MUZZARELLI, FEDERICA
2010

Abstract

I Paparazzi. «Banditi delle immagini». Scattini. «Implacabili, scattanti Savonarola della Nikon (…) Impiccioni, scandalisti, amorali». Un pezzo di storia nazionale che lega indissolubilmente il mito della Dolce vita felliniana all’immagine di un popolo che cerca di lasciarsi alle spalle le durezze del Dopoguerra, e le censure fasciste del L.U.C.E., apprestandosi a divenire il porto naturale del mondo delle celebrities al di là dell’Oceano, consacrando una certa italianità da rotocalco all’agiografia della cultura di massa. Per quegli anni, per Fellini stesso che a lui si ispirò e che cercò anche di scritturare, Paparazzo è sinonimo di Tazio Secchiaroli, il fotoreporter le cui immagini dei divi colti al volo sono entrate nel patrimonio visuale della collettività: Anita Ekberg, Walter Chiari ma, soprattutto, la seducente Aiché Nanà fotografata nel 1958 al centro del locale romano Rugantino mentre si lancia in una danza erotica senza veli. Ancora oggi un paparazzo appostato significa presenza o supposto arrivo di un personaggio famoso. Il bottino (allora i rullini nascosti, strappati, trafugati, oggi i pixel salvati dentro a dei minuscoli microchip) significa gossip, pettegolezzo, scoop. Già nel 1970 Vincenzo Carrese, fondatore dell’agenzia Publifoto, indicava le sue regole del buon paparazzo, anzi stendeva una vera e propria normativa per «un’etica paparazziana». Oggi un professionista di nome William Abenhaim pubblica un libro per spiegare chi è un paparazzo, in cosa consiste il suo lavoro, quali sono le tecniche di spionaggio, chi sono i suoi informatori, quanto guadagna. Italiano dunque di concezione, la notte del 30 agosto 1997 il termine paparazzo diventa però di comprensione davvero mondiale, quando cioè nel tunnel parigino dell’Alma la macchina su cui si trovano Lady Diana e Dodi Al Fayed si scontra violentemente contro un pilone di cemento. Gli stessi fotografi sono sulle prime considerati corresponsabili dell’incidente: l’autista sarebbe stato accecato da quei flash che continuano inesorabili a lampeggiare anche dopo l’urto. Lady Diana, che ha alimentato fama e grandezza del suo personaggio grazie ad un’esasperante esposizione mediatica, ora ne diviene tragica vittima globalizzata. La favola ha comunque origine tra Cinecittà e i bar all’aperto della Via Veneto degli anni Cinquanta, location ideali di questa professione rocambolesca che definisce proprio allora e in quei luoghi la sua identità. Era lì infatti che si poteva trovare la materia prima per quella loro attività di fotoreporter da rotocalco, grazie ad un’industria cinematografica che portava in città le star di Hollywood pronte ad entrare a fare parte della luccicante café-society. «Per i fotografi le strade del centro di Roma erano il campo di battaglia, lo studio ed il set ideale, conoscevano abitudini e stili di vita dei soggetti più interessanti, spesso grazie a una “soffiata” potevano arrivare in tempo per una fotografia». Ora come allora i paparazzi si appostano come animali da caccia e sono sempre all’avanguardia su tutto ciò che riguarda la tecnologia miniaturizzata capace di camuffare piccoli apparecchi fotografici dentro a orologi da polso, spille, fermacravatta, penne stilografiche. Le prede di cui inseguono tracce e “profumi” sono star e starlette, dive, uomini politici, affaristi, bancarottieri. Tazio Secchiaroli rimane sicuramente il paparazzo più famoso della storia della fotografia. Poi ci sono stati tanti altri nomi, tra cui quelli di Elio Sorci, di Velio Cioni, di Rino Barillari detto “The King” e, oggi, di Massimo Sestini.
2010
Gossip. Moda e modi del voyeurismo contemporaneo
105
112
Paparazzi. La fotografia e la moda del gossip / F.Muzzarelli. - STAMPA. - (2010), pp. 105-112.
F.Muzzarelli
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11585/78203
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