Nella carta pergamenacea di risguardo alla fine del Cod. Barb. gr. 127 un umanista, per me ora non identificabile, ha tracciato la brutta copia di un carme latino di grande interesse: un appello al Sultano Bayezid II (che regnò dal 1481 al 1512) a venire in Italia per occupare Roma e per regnare, come monarca universale, «in orbis capite». E sin qui il testo sarebbe sulla linea di altri appelli al Sultano italiani quattrocenteschi, come quello poetico di Pacifico Massimo o come le lettere che proprio a Bayezid avrebbe scritto verso il 1486 il si- gnore di Osimo Boccolino Guzzoni: un invito ad occupare l’Italia, unificarla, aiutare i Cristiani, la cui religione avrebbe dovuto essere rispettata, a liberarsi dal giogo papale; essere insomma in Italia l’autorità politica che costringe papa e preti a riformare i loro costumi, richiamandoli finalmente agli esempi evangelici. E forse in queste richieste c’era anche la speranza di costringere poi la gerarchia ecclesiastica ad assumere una struttura quale essa aveva in Oriente sotto gli imperatori bizantini: controllo su di essa dello Stato, autocefalia ed autonomia dei vescovi e delle chiese locali. Idee che avevano fatto capolino in tutti i testi che Giorgio da Trebisonda aveva scritto al Sultano Maometto II negli anni 1453-1469. Ma il nostro testo va più oltre: è una professione di fede musulmana, una esaltazione non del sovrano o del patrono della Chiesa, ma proprio del profeta Maometto, sotto la cui religione il mondo sarebbe stato unificato e politicamente e religiosamente: sarebbe fiorita allora «una giocondissima unità», un’unica monarchia ed una sola religione avrebbe fatto felice il mondo.

Un appello al sultano Bayezid II di un latino convertito all’Islam ed uno “Psefisma” di Isidoro di Kiev per la concordia universale

Franco Bacchelli
2019

Abstract

Nella carta pergamenacea di risguardo alla fine del Cod. Barb. gr. 127 un umanista, per me ora non identificabile, ha tracciato la brutta copia di un carme latino di grande interesse: un appello al Sultano Bayezid II (che regnò dal 1481 al 1512) a venire in Italia per occupare Roma e per regnare, come monarca universale, «in orbis capite». E sin qui il testo sarebbe sulla linea di altri appelli al Sultano italiani quattrocenteschi, come quello poetico di Pacifico Massimo o come le lettere che proprio a Bayezid avrebbe scritto verso il 1486 il si- gnore di Osimo Boccolino Guzzoni: un invito ad occupare l’Italia, unificarla, aiutare i Cristiani, la cui religione avrebbe dovuto essere rispettata, a liberarsi dal giogo papale; essere insomma in Italia l’autorità politica che costringe papa e preti a riformare i loro costumi, richiamandoli finalmente agli esempi evangelici. E forse in queste richieste c’era anche la speranza di costringere poi la gerarchia ecclesiastica ad assumere una struttura quale essa aveva in Oriente sotto gli imperatori bizantini: controllo su di essa dello Stato, autocefalia ed autonomia dei vescovi e delle chiese locali. Idee che avevano fatto capolino in tutti i testi che Giorgio da Trebisonda aveva scritto al Sultano Maometto II negli anni 1453-1469. Ma il nostro testo va più oltre: è una professione di fede musulmana, una esaltazione non del sovrano o del patrono della Chiesa, ma proprio del profeta Maometto, sotto la cui religione il mondo sarebbe stato unificato e politicamente e religiosamente: sarebbe fiorita allora «una giocondissima unità», un’unica monarchia ed una sola religione avrebbe fatto felice il mondo.
2019
Tra antichità e modernità. Studi di storia della filosofia medievale e rinascimentale
641
656
Franco Bacchelli
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