Il ruolo cui sono chiamati i pubblici funzionari, e i relativi vincoli che questi hanno di imparzialità e servizio nell’interesse della collettività, insieme alla tutela dell’efficienza dell’amministrazione, sembrano essere in molti Paesi alla base di discipline che richiedono ai pubblici impiegati peculiari doveri di riserbo. La presenza anche in Europa di tradizioni giuridiche che impongono forme di «moderazione» ai funzionari pubblici è alla base dei principi applicati in materia tanto dalla Corte di giustizia quanto soprattutto dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Sembra dunque interessante ricostruire il tema anche in riferimento all’ordinamento italiano per provare a stabilire se quest’ultimo permetta, preveda o addirittura imponga il rispetto, da parte del pubblico dipendente, di un peculiare dovere di riserbo. Nell’ambito della categoria dei «funzionari», intesi estensivamente quali titolari di pubbliche funzioni, uno spazio di riflessione specifico, legato alle peculiarità delle mansioni svolte, non può non essere riservato all’esercizio della libertà di espressione da parte dei magistrati, che spesso nel nostro ordinamento, come ebbe a sottolineare il Presidente della Repubblica Napolitano, si rendono protagonisti di dichiarazioni «esorbitanti i criteri di misura, correttezza espositiva e riserbo» contribuendo a «disorientare i cittadini». Al contempo, però, i fatti più recenti avvenuti proprio in Europa richiamano l’attenzione sui limiti che un ordinamento costituzionale pienamente liberal-democratico deve porre ai pubblici poteri quando questi restringono l’esercizio della libertà di espressione dei propri funzionari. I licenziamenti di massa avvenuti in Turchia dopo il tentato golpe del 2015 o la cessazione anticipata del mandato dei giudici in Ungheria ci ammoniscono sui rischi di ogni forma di limitazione della libertà di espressione ed in particolare delle limitazioni applicate ai dipendenti pubblici, necessari, più di tutti, alla costruzione di un’«ortodossia politica» di Stato e più di tutti esposti a divenire, nelle democrazie instabili, nuovi «vassalli».

LA LIBERTÀ DI ESPRESSIONE DEI «FUNZIONARI»

Chiara Bologna
2020

Abstract

Il ruolo cui sono chiamati i pubblici funzionari, e i relativi vincoli che questi hanno di imparzialità e servizio nell’interesse della collettività, insieme alla tutela dell’efficienza dell’amministrazione, sembrano essere in molti Paesi alla base di discipline che richiedono ai pubblici impiegati peculiari doveri di riserbo. La presenza anche in Europa di tradizioni giuridiche che impongono forme di «moderazione» ai funzionari pubblici è alla base dei principi applicati in materia tanto dalla Corte di giustizia quanto soprattutto dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Sembra dunque interessante ricostruire il tema anche in riferimento all’ordinamento italiano per provare a stabilire se quest’ultimo permetta, preveda o addirittura imponga il rispetto, da parte del pubblico dipendente, di un peculiare dovere di riserbo. Nell’ambito della categoria dei «funzionari», intesi estensivamente quali titolari di pubbliche funzioni, uno spazio di riflessione specifico, legato alle peculiarità delle mansioni svolte, non può non essere riservato all’esercizio della libertà di espressione da parte dei magistrati, che spesso nel nostro ordinamento, come ebbe a sottolineare il Presidente della Repubblica Napolitano, si rendono protagonisti di dichiarazioni «esorbitanti i criteri di misura, correttezza espositiva e riserbo» contribuendo a «disorientare i cittadini». Al contempo, però, i fatti più recenti avvenuti proprio in Europa richiamano l’attenzione sui limiti che un ordinamento costituzionale pienamente liberal-democratico deve porre ai pubblici poteri quando questi restringono l’esercizio della libertà di espressione dei propri funzionari. I licenziamenti di massa avvenuti in Turchia dopo il tentato golpe del 2015 o la cessazione anticipata del mandato dei giudici in Ungheria ci ammoniscono sui rischi di ogni forma di limitazione della libertà di espressione ed in particolare delle limitazioni applicate ai dipendenti pubblici, necessari, più di tutti, alla costruzione di un’«ortodossia politica» di Stato e più di tutti esposti a divenire, nelle democrazie instabili, nuovi «vassalli».
2020
234
978-88-6923-637-2
978-88-6923-638-9
Chiara Bologna
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