Contenuto Noi tutti conosciamo il fico, sia come albero, che come frutto: dolcissimo e succulento se fresco, polposo e carnoso se secco. Tanti sono i detti popolari legati al fico, a volte che ne esaltano la bontà, tanto che si dice “bisogna serbar la pancia ai fichi”, a volte dalla valenza negativa, un frutto di poco pregio, se lo stesso Dante scriveva “ qui riprendo dattero per fico” (Inferno, canto XXIII), che significa che si prende più di quanto si è dato. Il fico ha sempre rivestito un ruolo importante dal punto di vista alimentare. Gli antichi Romani avevano creato succulente pietanze a base di fichi, non solo per i ricchi banchetti domestici, ma anche per i pasti frugali consumati per strada, proprio come nel mondo di oggi. Il nostro viaggio virtuale alla scoperta del fico nelle sue mille declinazioni (alimentari, etiche, culturali, artistiche, mitologiche, religiose ecc.) ha inizio proprio nell’antica Roma, camminando per le sue strade ciotolate o sterrate, immaginandone i colori e i suoni e, se ci sforziamo, persino gli odori, soprattutto quelli alimentari. Gli odori dei cibi aleggiavano infatti per fori, templi, terme e vicoli dalle prime ore dell’alba fino a notte avanzata, provenienti dalle cucine delle tabernae e dai banchi degli ambulanti che, come racconta Marziale negli Epigrammi, “avevano sottratto la città intera, così le strade sembravano sentieri”. I Romani non godevano solo delle tavole imbandite, ma amavano consumare i pasti in maniera molto veloce, in piedi o addirittura camminando. Centinaia di persone si fermavano a mangiare un boccone presso le bancarelle (lixae) degli ambulanti che offrivano loro una vasta scelta di panini, frittelle, pizza e fichi, carne arrostita fa cui lo iecur ficatum ossia il fegato di animali ingrassati coi fichi oppure cucinato coi fichi. I Romani, si sa, non amavano, in linea di massima, mangiare “leggero”. Accade anche a noi oggi di andare al ristorante o di cucinare a casa una ricetta e scoprire che la lezione degli impenitenti ghiottoni dell’Antica Roma sia ancora sorprendentemente viva ed attuale come con il ‘prosciutto in crosta’ o l’americano ‘Virginia baked ham’ a base di prosciutto e moltissimi fichi. Il fico è però molto di più di semplici locuzioni o modi di dire, o di un ingrediente, seppure prelibato, per ricette: la sua Storia straordinaria si perde nella notte dei tempi. Tutti conosciamo la ‘vicenda’ del serpente, la più astuta di tutte le bestie selvatiche che tentò Eva facendole raccogliere il frutto dall’Albero proibito, quello della Conoscenza del Bene e del Male posto al centro del Giardino dell’Eden. Ma qual era questo frutto? Un pomum. Nell’immaginario si è sempre parlato di una mela, eppure, nel corso del medioevo tutti sapevano che il frutto in questione era in realtà un fico. Fu infatti un banale malinteso sul doppio senso della parola latina pomum a far nascere e radicare la convinzione che Eva avesse raccolto una mela. Ma tanti Artisti del passato non caddero in questo tranello lessicale e lo andremo a scoprire ammirando da vicino le scene della Genesi di Masolino da Panicale, di Raffaello, e di tanti altri Pittori e Scultori, come quelle della Cappella Sistina del grande Michelangelo. È dunque il fico l’Albero della Conoscenza del Bene e del Male, non solo della “Bontà”.
Maria Grazia Bellardi (2020). “Il fico, ovvero l’albero della conoscenza del bene, del male…e della bontà”.
“Il fico, ovvero l’albero della conoscenza del bene, del male…e della bontà”
Maria Grazia Bellardi
2020
Abstract
Contenuto Noi tutti conosciamo il fico, sia come albero, che come frutto: dolcissimo e succulento se fresco, polposo e carnoso se secco. Tanti sono i detti popolari legati al fico, a volte che ne esaltano la bontà, tanto che si dice “bisogna serbar la pancia ai fichi”, a volte dalla valenza negativa, un frutto di poco pregio, se lo stesso Dante scriveva “ qui riprendo dattero per fico” (Inferno, canto XXIII), che significa che si prende più di quanto si è dato. Il fico ha sempre rivestito un ruolo importante dal punto di vista alimentare. Gli antichi Romani avevano creato succulente pietanze a base di fichi, non solo per i ricchi banchetti domestici, ma anche per i pasti frugali consumati per strada, proprio come nel mondo di oggi. Il nostro viaggio virtuale alla scoperta del fico nelle sue mille declinazioni (alimentari, etiche, culturali, artistiche, mitologiche, religiose ecc.) ha inizio proprio nell’antica Roma, camminando per le sue strade ciotolate o sterrate, immaginandone i colori e i suoni e, se ci sforziamo, persino gli odori, soprattutto quelli alimentari. Gli odori dei cibi aleggiavano infatti per fori, templi, terme e vicoli dalle prime ore dell’alba fino a notte avanzata, provenienti dalle cucine delle tabernae e dai banchi degli ambulanti che, come racconta Marziale negli Epigrammi, “avevano sottratto la città intera, così le strade sembravano sentieri”. I Romani non godevano solo delle tavole imbandite, ma amavano consumare i pasti in maniera molto veloce, in piedi o addirittura camminando. Centinaia di persone si fermavano a mangiare un boccone presso le bancarelle (lixae) degli ambulanti che offrivano loro una vasta scelta di panini, frittelle, pizza e fichi, carne arrostita fa cui lo iecur ficatum ossia il fegato di animali ingrassati coi fichi oppure cucinato coi fichi. I Romani, si sa, non amavano, in linea di massima, mangiare “leggero”. Accade anche a noi oggi di andare al ristorante o di cucinare a casa una ricetta e scoprire che la lezione degli impenitenti ghiottoni dell’Antica Roma sia ancora sorprendentemente viva ed attuale come con il ‘prosciutto in crosta’ o l’americano ‘Virginia baked ham’ a base di prosciutto e moltissimi fichi. Il fico è però molto di più di semplici locuzioni o modi di dire, o di un ingrediente, seppure prelibato, per ricette: la sua Storia straordinaria si perde nella notte dei tempi. Tutti conosciamo la ‘vicenda’ del serpente, la più astuta di tutte le bestie selvatiche che tentò Eva facendole raccogliere il frutto dall’Albero proibito, quello della Conoscenza del Bene e del Male posto al centro del Giardino dell’Eden. Ma qual era questo frutto? Un pomum. Nell’immaginario si è sempre parlato di una mela, eppure, nel corso del medioevo tutti sapevano che il frutto in questione era in realtà un fico. Fu infatti un banale malinteso sul doppio senso della parola latina pomum a far nascere e radicare la convinzione che Eva avesse raccolto una mela. Ma tanti Artisti del passato non caddero in questo tranello lessicale e lo andremo a scoprire ammirando da vicino le scene della Genesi di Masolino da Panicale, di Raffaello, e di tanti altri Pittori e Scultori, come quelle della Cappella Sistina del grande Michelangelo. È dunque il fico l’Albero della Conoscenza del Bene e del Male, non solo della “Bontà”.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.