La Cina, colei che più ne beneficia, non è per gli Stati Uniti soltanto una sfida economica, ma anche una spina nel fianco ideologica. Lo è in quanto tale, ovviamente. Ma ancor più perché offre una poderosa sponda agli atavici nemici dell’ordine liberale nella regione, ai populismi latini. Per essi, la Cina è un alleato naturale, il carro di una vasta coalizione globale contro il liberalismo occidentale cui agganciarsi. Non incarna forse un regime politico e un modello di sviluppo opposti a quelli liberali e capitalisti? Non è ciò che anch’essi perseguono? Il suo impasto di comunismo e confucianesimo evoca loro il socialismo cristiano che idealizzano e cui si abbeverano, il veemente antiliberalismo che predicano e praticano. Questa è, nell’emisfero, la maggiore sfida che gli Stati Uniti affrontano e ancora affronteranno; questo è il maggior strumento che la Cina ha per insidiarli; questo è, infine, il più grande e imminente pericolo che incombe sul fragile liberalismo latinoamericano. Se tali sono i termini della questione, se così stanno le cose, allora la rinuncia di Donald Trump ai principi panamericani produce effetti assai più gravi, profondi e duraturi di quant’egli e i suoi fan immaginino. Gli effetti in America Latina del suo mandato provano che la causa liberale ha ancora bisogno di una leadership statunitense forte e credibile; di una leadership orgogliosa dei suoi valori: della democrazia e del libero commercio, del multilateralismo e dei diritti individuali. Oggi più che mai i democratici latinoamericani hanno bisogno di avere al fianco gli Stati Uniti e che gli Stati Uniti siano disposti a pagare almeno in parte il costo dell’egemonia, a formare una vasta coalizione con gli alleati nella regione. Non è così che pensa Trump, ma non vi sarà America first senza Americhe first.

I campi di gioco. L'America Latina

Loris Zanatta
2020

Abstract

La Cina, colei che più ne beneficia, non è per gli Stati Uniti soltanto una sfida economica, ma anche una spina nel fianco ideologica. Lo è in quanto tale, ovviamente. Ma ancor più perché offre una poderosa sponda agli atavici nemici dell’ordine liberale nella regione, ai populismi latini. Per essi, la Cina è un alleato naturale, il carro di una vasta coalizione globale contro il liberalismo occidentale cui agganciarsi. Non incarna forse un regime politico e un modello di sviluppo opposti a quelli liberali e capitalisti? Non è ciò che anch’essi perseguono? Il suo impasto di comunismo e confucianesimo evoca loro il socialismo cristiano che idealizzano e cui si abbeverano, il veemente antiliberalismo che predicano e praticano. Questa è, nell’emisfero, la maggiore sfida che gli Stati Uniti affrontano e ancora affronteranno; questo è il maggior strumento che la Cina ha per insidiarli; questo è, infine, il più grande e imminente pericolo che incombe sul fragile liberalismo latinoamericano. Se tali sono i termini della questione, se così stanno le cose, allora la rinuncia di Donald Trump ai principi panamericani produce effetti assai più gravi, profondi e duraturi di quant’egli e i suoi fan immaginino. Gli effetti in America Latina del suo mandato provano che la causa liberale ha ancora bisogno di una leadership statunitense forte e credibile; di una leadership orgogliosa dei suoi valori: della democrazia e del libero commercio, del multilateralismo e dei diritti individuali. Oggi più che mai i democratici latinoamericani hanno bisogno di avere al fianco gli Stati Uniti e che gli Stati Uniti siano disposti a pagare almeno in parte il costo dell’egemonia, a formare una vasta coalizione con gli alleati nella regione. Non è così che pensa Trump, ma non vi sarà America first senza Americhe first.
2020
Rapporto ISPI 2020. Lavori in corso, la fine di un mondo, atto II
129
138
Loris Zanatta
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