Il termine “rieducazione” viene utilizzato in due ambiti: uno è quello medico, l’altro è psicopedagogico. Nel primo ci si riferisce in generale alla rieducazione funzionale laddove un soggetto ha bisogno di interventi e di trattamenti specifici per ripristinare la funzionalità, per esempio, di un arto al movimento, o di un organo. Si tratta quindi di una rieducazione che diventa ri-abilitazione, poiché è finalizzata a restituire “abilità” a una parte del corpo che, per qualche ragione (un incidente, una patologia…) ha leso tale abilità. In questo caso, la verifica del lavoro rieducativo si potrà soggettivamente e oggettivamente constatare sulla base del ripristino di capacità fisiche. In campo psicopedagogico il concetto di rieducazione riguarda i soggetti, prevalentemente in età giovanile, che presentino comportamenti devianti, una visione del mondo ritenuta pericolosa per sé e per gli altri, un a formazione dovuta all'essere cresciuti in ambienti socialmente e moralmente degradati, con ciò che ne consegue. A differenza dell’ambito medico, dove il lavoro rieducativo si basa su “protocolli” di intervento definiti da un certo grado di “scientificità” tecnica e procedurale, il campo pedagogico presenta una complessità epistemologica irriducibile ad applicazioni oggettive. L’operatore della rieducazione in questo caso non si limita ad applicare tecniche di intervento su qualcuno verificandone l’efficacia funzionale, ma è lui stesso parte del processo rieducativo, il metodo che intenzionalmente utilizza lo comprende come soggetto. Dunque esiste una “scientificità” pedagogica nella rieducazione che consenta di definirla sul piano metodologico e di verificarne gli esiti?
Roberto Farné (2020). Educazione e rieducazione, una possibile "antipedagogia" nelle terre di mafia e di camorra. Milano : Guerini.
Educazione e rieducazione, una possibile "antipedagogia" nelle terre di mafia e di camorra
Roberto Farné
2020
Abstract
Il termine “rieducazione” viene utilizzato in due ambiti: uno è quello medico, l’altro è psicopedagogico. Nel primo ci si riferisce in generale alla rieducazione funzionale laddove un soggetto ha bisogno di interventi e di trattamenti specifici per ripristinare la funzionalità, per esempio, di un arto al movimento, o di un organo. Si tratta quindi di una rieducazione che diventa ri-abilitazione, poiché è finalizzata a restituire “abilità” a una parte del corpo che, per qualche ragione (un incidente, una patologia…) ha leso tale abilità. In questo caso, la verifica del lavoro rieducativo si potrà soggettivamente e oggettivamente constatare sulla base del ripristino di capacità fisiche. In campo psicopedagogico il concetto di rieducazione riguarda i soggetti, prevalentemente in età giovanile, che presentino comportamenti devianti, una visione del mondo ritenuta pericolosa per sé e per gli altri, un a formazione dovuta all'essere cresciuti in ambienti socialmente e moralmente degradati, con ciò che ne consegue. A differenza dell’ambito medico, dove il lavoro rieducativo si basa su “protocolli” di intervento definiti da un certo grado di “scientificità” tecnica e procedurale, il campo pedagogico presenta una complessità epistemologica irriducibile ad applicazioni oggettive. L’operatore della rieducazione in questo caso non si limita ad applicare tecniche di intervento su qualcuno verificandone l’efficacia funzionale, ma è lui stesso parte del processo rieducativo, il metodo che intenzionalmente utilizza lo comprende come soggetto. Dunque esiste una “scientificità” pedagogica nella rieducazione che consenta di definirla sul piano metodologico e di verificarne gli esiti?I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.