Il volume presenta - per la prima volta in traduzione in una lingua straniera - una selezione di racconti dalla raccolta 'Hana monogatari' (Storie di fiori, 1916-1924) di Yoshiya Nobuko, considerata una delle opere più significative della letteratura giapponese moderna. Yoshiya Nobuko era nata il 12 gennaio 1896 nella città di Niigata, unica figlia femmina di una famiglia di origini samuraiche, e aveva ricevuto un’educazione rigida, tradizionale e severa. Tuttavia, nel 1915 si trasferì a Tōkyō con uno dei fratelli e fu proprio durante il primo anno trascorso nella capitale che prese forma il progetto che qualche anno dopo le avrebbe regalato successo come scrittrice: la serie dei cinquantadue racconti di 'Hana monogatari', scritti fra il 1916 e il 1924 e pubblicati sulle riviste 'Shōjo gahō' e 'Shōjo kurabu'. I racconti, ognuno dei quali ha come titolo il nome di un fiore diverso, si sviluppano - con rare eccezioni - nell’ambiente delle scuole femminili giapponesi, spesso scuole missionarie cattoliche, e le protagoniste sono eroine anticonformiste, autonome e spesso solitarie. Non solo adolescenti inquiete, ma anche giovani mogli infelici. Le trame ruotano attorno a storie d’amore che vedono coinvolte giovani studentesse e talvolta insegnanti in preda a sentimenti spesso non corrisposti o coinvolte in relazioni comunque destinate a finire. In seguito raccolti e ripubblicati in volume, i racconti di Yoshiya Nobuko divennero un bestseller nel periodo prebellico, e sono ancora oggi fonte di ispirazione per molte scrittrici contemporanee. Uno dei motivi della celebrità di Yoshiya è senz’altro rintracciabile nella centralità che in 'Hana monogatari' assume la figura della 'shōjo', la “donna non-ancora-donna”, che nell’epoca Taishō era andata affermandosi come un nuovo target per l’emergente società dei consumi. Il termine, che alla lettera significa fanciulla o ragazza, in questo contesto acquisiva un significato più ampio, che trascendeva l’ovvio riferimento all’età per definire piuttosto la peculiare inclinazione o attitudine delle adolescenti, il desiderio di svincolarsi temporaneamente dalla realtà quotidiana per essere qualcosa di diverso. Per questo la cosiddetta ‘fase shōjo’ nella vita di una donna finì per coincidere nell’immaginario con un periodo - potenzialmente a rischio - di interazioni sociali non strutturate e comportamenti non convenzionali. Un ideale che calza alla perfezione alle protagoniste di 'Hana monogatari', giovani studentesse per le quali la scuola rappresenta un “periodo di moratoria”, durante il quale sono autorizzate a ignorare temporaneamente ogni aspettativa sociale e a godersi la loro giovinezza. Il dormitorio, teatro di molti dei racconti della raccolta, assume in questo senso un valore simbolico, in quanto è nel contempo una prigione che priva le ragazze della libertà e un rifugio che le protegge dal mondo esterno. Una sorta di bozzolo all’interno del quale le protagoniste vivono i propri sogni e creano un codice segreto delle emozioni e dei sentimenti, una comunità immaginaria che resiste tutt’ora al passare del tempo e continua a coinvolgere nuove generazioni di lettori. Il termine genericamente usato per definire questi rapporti era 'dōseiai', neologismo coniato per riferirsi specificatamente all’appassionata amicizia fra donne o fra ragazze, cioè all’omosessualità femminile che – nell’ottica dei sessuologi dell’epoca – si connotava in termini più spirituali e platonici rispetto a quella maschile. 'Hana monogatari' celebra apertamente i rapporti d’amore fra donne, sottolineandone la normalità in quanto espressione dell’innocenza 'shōjo' e nello stesso tempo raccontandone la fine inevitabile con l’ingresso nell’età adulta. Sotto questo profilo, Yoshiya Nobuko sembra conformarsi all’opinione diffusa che accettava il 'dōseiai' solo come fase della giovinezza, ma, nello stesso tempo, lascia trapelare anche una certa resistenza rispetto alla convinzione relativa alla transitorietà di questo tipo di relazioni, laddove dipinge l’uscita dal mondo 'shōjo' in termini di dolorosa frattura. La raccolta è stata all’epoca un bestseller, e ha giocato un ruolo importante nell’aprire il suo giovane pubblico di lettrici a nuove prospettive riguardo alle proprie scelte sessuali e di genere, mettendo di fatto in discussione il dovere sociale dell’eterosessualità. Ma i racconti sono interessanti anche sotto il profilo dello stile peculiare e unico della scrittura, che si evidenzia soprattutto nel linguaggio e nella punteggiatura. Da un lato infatti il primo si caratterizza per il forte ibridismo, un misto di 'genbun’icchi tai' ̧ lo stile emerso dalla riforma della lingua attuata nei primi anni dell’epoca Meiji al fine di superare l’obsoleto e decisamente poco moderno gap fra scritto e parlato, e di 'bibunchō', lo ‘stile ornato’ che abbonda di costruzioni arcaiche, frasi complesse e figure retoriche ridondanti, con numerose citazioni in inglese. Dall’altro la punteggiatura decisamente inconsueta connota il testo di un carattere segnatamente sperimentale, amplificando in primis la dimensione visuale della pagina, che si arricchisce di elementi estranei al giapponese standard quali trattini lunghi (letteralmente a centinaia), parentesi tonde utilizzate talvolta per gli incisi talaltra per introdurre il discorso diretto, puntini di sospensione. L’effetto è quello di un forte impatto a livello grafico che richiama certe sperimentazioni delle avanguardie, ma anche di una frammentazione della sintassi della frase, che risulta slabbrata, disgiunta, frastagliata, con un’amplificazione dello stacco rispetto alla realtà già tematizzato a livello di contenuto e di ambientazione. Proprio per queste caratteristiche peculiari, sotto il profilo tematico, strutturale e stilistico, il volume si arricchisce di note, glossario e postfazione.
Paola Scrolavezza (2020). Storie di fiori. Roma : Atmosphere Libri.
Storie di fiori
Paola Scrolavezza
2020
Abstract
Il volume presenta - per la prima volta in traduzione in una lingua straniera - una selezione di racconti dalla raccolta 'Hana monogatari' (Storie di fiori, 1916-1924) di Yoshiya Nobuko, considerata una delle opere più significative della letteratura giapponese moderna. Yoshiya Nobuko era nata il 12 gennaio 1896 nella città di Niigata, unica figlia femmina di una famiglia di origini samuraiche, e aveva ricevuto un’educazione rigida, tradizionale e severa. Tuttavia, nel 1915 si trasferì a Tōkyō con uno dei fratelli e fu proprio durante il primo anno trascorso nella capitale che prese forma il progetto che qualche anno dopo le avrebbe regalato successo come scrittrice: la serie dei cinquantadue racconti di 'Hana monogatari', scritti fra il 1916 e il 1924 e pubblicati sulle riviste 'Shōjo gahō' e 'Shōjo kurabu'. I racconti, ognuno dei quali ha come titolo il nome di un fiore diverso, si sviluppano - con rare eccezioni - nell’ambiente delle scuole femminili giapponesi, spesso scuole missionarie cattoliche, e le protagoniste sono eroine anticonformiste, autonome e spesso solitarie. Non solo adolescenti inquiete, ma anche giovani mogli infelici. Le trame ruotano attorno a storie d’amore che vedono coinvolte giovani studentesse e talvolta insegnanti in preda a sentimenti spesso non corrisposti o coinvolte in relazioni comunque destinate a finire. In seguito raccolti e ripubblicati in volume, i racconti di Yoshiya Nobuko divennero un bestseller nel periodo prebellico, e sono ancora oggi fonte di ispirazione per molte scrittrici contemporanee. Uno dei motivi della celebrità di Yoshiya è senz’altro rintracciabile nella centralità che in 'Hana monogatari' assume la figura della 'shōjo', la “donna non-ancora-donna”, che nell’epoca Taishō era andata affermandosi come un nuovo target per l’emergente società dei consumi. Il termine, che alla lettera significa fanciulla o ragazza, in questo contesto acquisiva un significato più ampio, che trascendeva l’ovvio riferimento all’età per definire piuttosto la peculiare inclinazione o attitudine delle adolescenti, il desiderio di svincolarsi temporaneamente dalla realtà quotidiana per essere qualcosa di diverso. Per questo la cosiddetta ‘fase shōjo’ nella vita di una donna finì per coincidere nell’immaginario con un periodo - potenzialmente a rischio - di interazioni sociali non strutturate e comportamenti non convenzionali. Un ideale che calza alla perfezione alle protagoniste di 'Hana monogatari', giovani studentesse per le quali la scuola rappresenta un “periodo di moratoria”, durante il quale sono autorizzate a ignorare temporaneamente ogni aspettativa sociale e a godersi la loro giovinezza. Il dormitorio, teatro di molti dei racconti della raccolta, assume in questo senso un valore simbolico, in quanto è nel contempo una prigione che priva le ragazze della libertà e un rifugio che le protegge dal mondo esterno. Una sorta di bozzolo all’interno del quale le protagoniste vivono i propri sogni e creano un codice segreto delle emozioni e dei sentimenti, una comunità immaginaria che resiste tutt’ora al passare del tempo e continua a coinvolgere nuove generazioni di lettori. Il termine genericamente usato per definire questi rapporti era 'dōseiai', neologismo coniato per riferirsi specificatamente all’appassionata amicizia fra donne o fra ragazze, cioè all’omosessualità femminile che – nell’ottica dei sessuologi dell’epoca – si connotava in termini più spirituali e platonici rispetto a quella maschile. 'Hana monogatari' celebra apertamente i rapporti d’amore fra donne, sottolineandone la normalità in quanto espressione dell’innocenza 'shōjo' e nello stesso tempo raccontandone la fine inevitabile con l’ingresso nell’età adulta. Sotto questo profilo, Yoshiya Nobuko sembra conformarsi all’opinione diffusa che accettava il 'dōseiai' solo come fase della giovinezza, ma, nello stesso tempo, lascia trapelare anche una certa resistenza rispetto alla convinzione relativa alla transitorietà di questo tipo di relazioni, laddove dipinge l’uscita dal mondo 'shōjo' in termini di dolorosa frattura. La raccolta è stata all’epoca un bestseller, e ha giocato un ruolo importante nell’aprire il suo giovane pubblico di lettrici a nuove prospettive riguardo alle proprie scelte sessuali e di genere, mettendo di fatto in discussione il dovere sociale dell’eterosessualità. Ma i racconti sono interessanti anche sotto il profilo dello stile peculiare e unico della scrittura, che si evidenzia soprattutto nel linguaggio e nella punteggiatura. Da un lato infatti il primo si caratterizza per il forte ibridismo, un misto di 'genbun’icchi tai' ̧ lo stile emerso dalla riforma della lingua attuata nei primi anni dell’epoca Meiji al fine di superare l’obsoleto e decisamente poco moderno gap fra scritto e parlato, e di 'bibunchō', lo ‘stile ornato’ che abbonda di costruzioni arcaiche, frasi complesse e figure retoriche ridondanti, con numerose citazioni in inglese. Dall’altro la punteggiatura decisamente inconsueta connota il testo di un carattere segnatamente sperimentale, amplificando in primis la dimensione visuale della pagina, che si arricchisce di elementi estranei al giapponese standard quali trattini lunghi (letteralmente a centinaia), parentesi tonde utilizzate talvolta per gli incisi talaltra per introdurre il discorso diretto, puntini di sospensione. L’effetto è quello di un forte impatto a livello grafico che richiama certe sperimentazioni delle avanguardie, ma anche di una frammentazione della sintassi della frase, che risulta slabbrata, disgiunta, frastagliata, con un’amplificazione dello stacco rispetto alla realtà già tematizzato a livello di contenuto e di ambientazione. Proprio per queste caratteristiche peculiari, sotto il profilo tematico, strutturale e stilistico, il volume si arricchisce di note, glossario e postfazione.File | Dimensione | Formato | |
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