Soltanto in apparenza contenendosi a ripresentare soluzioni già sperimentate in passato, la nuova direttiva sull’ordine europeo di indagine penale genera una profonda metamorfosi delle prescrizioni previste dal nostro ordinamento. Da regole a struttura chiusa, imperniate su bilanciamenti tra i valori in gioco prestabiliti in astratto dal legislatore, queste prescrizioni si trasformano in principi a struttura aperta, il cui contenuto può essere individuato dal giudice in ciascuna vicenda concreta in base a un proprio contemperamento tra le varie esigenze che si contrappongono nella raccolta transnazionale delle prove. Da qui il rischio che le autorità giudiziarie chiamate a raccogliere e a utilizzare prove in base alla direttiva eccedano i poteri loro conferiti. Del resto, si tratta di un pericolo che, come dimostrano alcune decisioni in tema di mandato di arresto europeo, non sempre la Corte di giustizia è in grado di fronteggiare. Un possibile antidoto è rinvenibile nello stesso diritto dell'Unione: si identifica con il rispetto del principio di equivalenza con gli standard di protezione dei diritti fondamentali rinvenibili nella CEDU e nelle Costituzioni nazionali e del principio di proporzionalità, statuiti dagli artt. 52 e 53 Carta di Nizza. Ne consegue che l’Unione non tollera restrizioni dei diritti fondamentali non finalizzate a proteggere interessi degni di rilevanza, non controbilanciate da adeguate garanzie processuali e non strettamente necessarie. In questo quadro delineato, con il presente scritto l’Autrice delinea alcune linee-guida nell’impiego degli OEI in Italia.
Capparelli, B. (2020). L’attuazione dell’ordine d’indagine europeo nell’ordinamento italiano. Valencia : Tirant.
L’attuazione dell’ordine d’indagine europeo nell’ordinamento italiano
Bruna Capparelli
2020
Abstract
Soltanto in apparenza contenendosi a ripresentare soluzioni già sperimentate in passato, la nuova direttiva sull’ordine europeo di indagine penale genera una profonda metamorfosi delle prescrizioni previste dal nostro ordinamento. Da regole a struttura chiusa, imperniate su bilanciamenti tra i valori in gioco prestabiliti in astratto dal legislatore, queste prescrizioni si trasformano in principi a struttura aperta, il cui contenuto può essere individuato dal giudice in ciascuna vicenda concreta in base a un proprio contemperamento tra le varie esigenze che si contrappongono nella raccolta transnazionale delle prove. Da qui il rischio che le autorità giudiziarie chiamate a raccogliere e a utilizzare prove in base alla direttiva eccedano i poteri loro conferiti. Del resto, si tratta di un pericolo che, come dimostrano alcune decisioni in tema di mandato di arresto europeo, non sempre la Corte di giustizia è in grado di fronteggiare. Un possibile antidoto è rinvenibile nello stesso diritto dell'Unione: si identifica con il rispetto del principio di equivalenza con gli standard di protezione dei diritti fondamentali rinvenibili nella CEDU e nelle Costituzioni nazionali e del principio di proporzionalità, statuiti dagli artt. 52 e 53 Carta di Nizza. Ne consegue che l’Unione non tollera restrizioni dei diritti fondamentali non finalizzate a proteggere interessi degni di rilevanza, non controbilanciate da adeguate garanzie processuali e non strettamente necessarie. In questo quadro delineato, con il presente scritto l’Autrice delinea alcune linee-guida nell’impiego degli OEI in Italia.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.