La collocazione di Arthur Saint-Léon nel panorama della scena coreica dell’Ottocento è ben nota. Danzatore provetto, apprezzato maître de ballet, coreografo rinomato e teorico di peso, oltre che abile violinista e compositore, egli attraversa larga parte del secolo incidendo con decisione il proprio nome nell’ideale libro d’oro della danza. Tuttavia, la recente storiografia pare non essersi presa particolare cura di questo figlio di Francia, ma anche del mondo senza frontiere del balletto che fiorisce in Europa tra gli anni Quaranta e gli anni Settanta del XIX secolo. Mancano, infatti, studi ampi che ne inquadrino il ruolo e la collocazione, se si fa eccezione per alcune voci enciclopediche che si mantengono come imprescindibili punti di riferimento e per l’ampio saggio con il quale Ivor Guest apre una preziosa raccolta di lettere del coreografo ; inoltre, per il volume esito dello studio svolto da Ann Hutchinson Guest sulla partitura di movimento con la quale lo stesso Saint-Léon trascrisse il Pas de six da lui composto e per il saggio con il quale Flavia Pappacena introduce e contestualizza la parziale edizione di La sténochorégraphie, dello stesso Saint-Léon, da lei curata . Questo saggio si propone di puntare l’attenzione su un aspetto della articolata attività di Saint-Léon: quella che lui stesso definisce come «la cuisine du ballet» - la cucina del balletto -, ovvero il suo lavoro come coreografo, con l’auspicio che un più dettagliato ritratto possa essere tratteggiato in futuro.
La “cuisine du ballet” di Arthur Saint-Léon
Elena Cervellati
2019
Abstract
La collocazione di Arthur Saint-Léon nel panorama della scena coreica dell’Ottocento è ben nota. Danzatore provetto, apprezzato maître de ballet, coreografo rinomato e teorico di peso, oltre che abile violinista e compositore, egli attraversa larga parte del secolo incidendo con decisione il proprio nome nell’ideale libro d’oro della danza. Tuttavia, la recente storiografia pare non essersi presa particolare cura di questo figlio di Francia, ma anche del mondo senza frontiere del balletto che fiorisce in Europa tra gli anni Quaranta e gli anni Settanta del XIX secolo. Mancano, infatti, studi ampi che ne inquadrino il ruolo e la collocazione, se si fa eccezione per alcune voci enciclopediche che si mantengono come imprescindibili punti di riferimento e per l’ampio saggio con il quale Ivor Guest apre una preziosa raccolta di lettere del coreografo ; inoltre, per il volume esito dello studio svolto da Ann Hutchinson Guest sulla partitura di movimento con la quale lo stesso Saint-Léon trascrisse il Pas de six da lui composto e per il saggio con il quale Flavia Pappacena introduce e contestualizza la parziale edizione di La sténochorégraphie, dello stesso Saint-Léon, da lei curata . Questo saggio si propone di puntare l’attenzione su un aspetto della articolata attività di Saint-Léon: quella che lui stesso definisce come «la cuisine du ballet» - la cucina del balletto -, ovvero il suo lavoro come coreografo, con l’auspicio che un più dettagliato ritratto possa essere tratteggiato in futuro.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.