Nella prefazione al suo libro del 1970 America welfare capitalism 1880-1940, Stuart D. Brandes informava i lettori della difficoltà di essere imparziali su un tema in cui persino la scelta delle parole implicava l’adesione ad una precisa ideologia: welfare capitalism aveva sfumature pro-imprenditori mentre industrial paternalism pro-sindacato; industrial village e representation plan rivelavano un atteggiamento a favore della direzione dell’impresa, mentre company town e company union sapevano di sindacato. Nonostante sia difficile ritracciare nel lessico italiano una divisione ideologica così marcata come nel contesto americano, le opere delle imprese sono state sintetizzate con una varietà di espressioni, dalle connotazioni molto differenti: le case e villaggi operai fra Otto e Novecento, l’assistenza sociale dell’industria nel periodo fascista, il paternalismo industriale negli anni Settanta e Ottanta, il welfare aziendale dalla fine degli anni Novanta in poi. I nomi accompagnano e qualificano le fasi storiche di un fenomeno. Le denominazioni sopra ricordate corrispondono, infatti, a distinte fasi della storia delle opere delle imprese – fasi che, in assenza di serie statistiche sono stati identificati sulla base della visibilità del tema sulla scena pubblica nazionale e di quanto emerso da una pluralità di i casi di studio. Pur con le precauzioni del caso, è però possibile scomporre la vicenda delle opere delle imprese del secondo Novecento in tre fasi: una di espansione dall’immediato dopoguerra sino agli anni Sessanta; una di contrazione o di mancata crescita che si prolungò sino ai primi anni Novanta; e una di risveglio che è ancora in corso. Come è noto, la ricostruzione postbellica e il miracolo economico si rivelarono contesti favorevoli allo sviluppo delle opere delle imprese sia per il grande bisogno di manodopera stabile e fidata sia per l’esistenza di una forte domanda inevasa di servizi sociali, sanitari e anche ricreativi che non poteva essere soddisfatta né attraverso acquisti individuali e né da uno stato sociale ancora ai suoi esordi. In questo contesto le opere delle imprese si diffusero, senza però venire iscritte a nessun preciso modello di organizzazione della società industriale e prive di una qualunque espressione che le rappresentasse nella loro unitarietà. Nel corso degli anni Sessanta i tanti cambiamenti intervenuti dentro e fuori la fabbrica spostarono progressivamente verso il territorio e gli enti locali (e in alcuni casi anche lo stato nazionale) l’organizzazione di una risposta articolata a tutto un insieme di bisogni (le cure mediche, gli interventi di tipo sociale, l’housing sociale), mentre l’accresciuta capacità di spesa delle famiglie aprì la strada all’acquisto sul mercato dei servizi turistici e ricreativi, rendendo meno attraenti i villaggi e le colonie aziendali. Sempre più spesso questi servizi vennero rappresentati come un residuo del passato e identificati con il termine di paternalismo industriale. Gli anni Novanta rappresentarono una cesura perché posero le basi per una sorta di rifondazione culturale di queste pratiche aziendali, grazie al fiorire di una nuova legislazione che ne incentivava la diffusione. E’ solamente in questo nuovo contesto che fa la sua apparizione la definizione di welfare aziendale.

P.Battilani (2018). Il welfare aziendale fra economia, politica e società nell’Italia del secondo dopoguerra. Milano : Egea.

Il welfare aziendale fra economia, politica e società nell’Italia del secondo dopoguerra

P. Battilani
2018

Abstract

Nella prefazione al suo libro del 1970 America welfare capitalism 1880-1940, Stuart D. Brandes informava i lettori della difficoltà di essere imparziali su un tema in cui persino la scelta delle parole implicava l’adesione ad una precisa ideologia: welfare capitalism aveva sfumature pro-imprenditori mentre industrial paternalism pro-sindacato; industrial village e representation plan rivelavano un atteggiamento a favore della direzione dell’impresa, mentre company town e company union sapevano di sindacato. Nonostante sia difficile ritracciare nel lessico italiano una divisione ideologica così marcata come nel contesto americano, le opere delle imprese sono state sintetizzate con una varietà di espressioni, dalle connotazioni molto differenti: le case e villaggi operai fra Otto e Novecento, l’assistenza sociale dell’industria nel periodo fascista, il paternalismo industriale negli anni Settanta e Ottanta, il welfare aziendale dalla fine degli anni Novanta in poi. I nomi accompagnano e qualificano le fasi storiche di un fenomeno. Le denominazioni sopra ricordate corrispondono, infatti, a distinte fasi della storia delle opere delle imprese – fasi che, in assenza di serie statistiche sono stati identificati sulla base della visibilità del tema sulla scena pubblica nazionale e di quanto emerso da una pluralità di i casi di studio. Pur con le precauzioni del caso, è però possibile scomporre la vicenda delle opere delle imprese del secondo Novecento in tre fasi: una di espansione dall’immediato dopoguerra sino agli anni Sessanta; una di contrazione o di mancata crescita che si prolungò sino ai primi anni Novanta; e una di risveglio che è ancora in corso. Come è noto, la ricostruzione postbellica e il miracolo economico si rivelarono contesti favorevoli allo sviluppo delle opere delle imprese sia per il grande bisogno di manodopera stabile e fidata sia per l’esistenza di una forte domanda inevasa di servizi sociali, sanitari e anche ricreativi che non poteva essere soddisfatta né attraverso acquisti individuali e né da uno stato sociale ancora ai suoi esordi. In questo contesto le opere delle imprese si diffusero, senza però venire iscritte a nessun preciso modello di organizzazione della società industriale e prive di una qualunque espressione che le rappresentasse nella loro unitarietà. Nel corso degli anni Sessanta i tanti cambiamenti intervenuti dentro e fuori la fabbrica spostarono progressivamente verso il territorio e gli enti locali (e in alcuni casi anche lo stato nazionale) l’organizzazione di una risposta articolata a tutto un insieme di bisogni (le cure mediche, gli interventi di tipo sociale, l’housing sociale), mentre l’accresciuta capacità di spesa delle famiglie aprì la strada all’acquisto sul mercato dei servizi turistici e ricreativi, rendendo meno attraenti i villaggi e le colonie aziendali. Sempre più spesso questi servizi vennero rappresentati come un residuo del passato e identificati con il termine di paternalismo industriale. Gli anni Novanta rappresentarono una cesura perché posero le basi per una sorta di rifondazione culturale di queste pratiche aziendali, grazie al fiorire di una nuova legislazione che ne incentivava la diffusione. E’ solamente in questo nuovo contesto che fa la sua apparizione la definizione di welfare aziendale.
2018
Welfare aziendale in Italia nel secondo dopoguerra. Riflessioni e testimonianze
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P.Battilani (2018). Il welfare aziendale fra economia, politica e società nell’Italia del secondo dopoguerra. Milano : Egea.
P.Battilani
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11585/742103
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