Bologna, estate del 1770. Tre artisti inglesi vengono premiati con l’aggregazione ad honorem all’Accademia Clementina. Sono l’irlandese James Barry, lo scultore Joseph Nollekens – entrambi solo di passaggio durante il viaggio di ritorno in patria dopo il soggiorno di studio a Roma – e il pittore William Keable, l’unico a risiedere in città da ormai un lustro. Affermato ritrattista, oggi divenuto raro e poco noto, Keable suscita sconcerto per la condotta di vita non timorata degli scandali, per lo scarso rispetto delle tradizioni artistiche («sprezzava li Professori di pittura», Marcello Oretti), e continua a professare fedeltà alle radici culturali britanniche, che lo accomunano a Joseph Highmore nella schietta e rude aderenza al vero. Diversi sono i percorsi degli altri due connazionali che, rientrando a Londra, dimostreranno la centralità dell’esperienza italiana e romana. Barry con il suo Filottete, inviato in dono qualche mese dopo alla Clementina in segno di ricompensa: un exemplum doloris ideato come risposta al modello insuperato del Laocoonte del Belvedere; un «incunabolo» per la storia del Neoclassicmo (Giuliano Briganti), in cui l’eroe acheo dà prova della propria solitaria sopportazione misurandosi con i temi del “sublime” di Edmund Burke. Nollekens con la messa a punto del busto-ritratto, in cui fin dagli anni romani va sperimentando l’idea dell’antico come sintesi armoniosa di maestosità e semplice naturalezza: per la scienziata bolognese Anna Morandi Manzolini inventa un’iconografia a capo velato, di grande sobrietà formale, allusiva a doti interiori di vigore intellettuale e morale, che non mancherà di suscitare l’apprezzamento persino dell’imperatrice Caterina II di Russia.
Graziani, I. (2019). William Keable, Joseph Nollekens e James Barry. Tre artisti inglesi nella Bologna del Settecento. Cinisello Balsamo (Milano) : Silvana Editoriale.
William Keable, Joseph Nollekens e James Barry. Tre artisti inglesi nella Bologna del Settecento
Graziani, Irene
2019
Abstract
Bologna, estate del 1770. Tre artisti inglesi vengono premiati con l’aggregazione ad honorem all’Accademia Clementina. Sono l’irlandese James Barry, lo scultore Joseph Nollekens – entrambi solo di passaggio durante il viaggio di ritorno in patria dopo il soggiorno di studio a Roma – e il pittore William Keable, l’unico a risiedere in città da ormai un lustro. Affermato ritrattista, oggi divenuto raro e poco noto, Keable suscita sconcerto per la condotta di vita non timorata degli scandali, per lo scarso rispetto delle tradizioni artistiche («sprezzava li Professori di pittura», Marcello Oretti), e continua a professare fedeltà alle radici culturali britanniche, che lo accomunano a Joseph Highmore nella schietta e rude aderenza al vero. Diversi sono i percorsi degli altri due connazionali che, rientrando a Londra, dimostreranno la centralità dell’esperienza italiana e romana. Barry con il suo Filottete, inviato in dono qualche mese dopo alla Clementina in segno di ricompensa: un exemplum doloris ideato come risposta al modello insuperato del Laocoonte del Belvedere; un «incunabolo» per la storia del Neoclassicmo (Giuliano Briganti), in cui l’eroe acheo dà prova della propria solitaria sopportazione misurandosi con i temi del “sublime” di Edmund Burke. Nollekens con la messa a punto del busto-ritratto, in cui fin dagli anni romani va sperimentando l’idea dell’antico come sintesi armoniosa di maestosità e semplice naturalezza: per la scienziata bolognese Anna Morandi Manzolini inventa un’iconografia a capo velato, di grande sobrietà formale, allusiva a doti interiori di vigore intellettuale e morale, che non mancherà di suscitare l’apprezzamento persino dell’imperatrice Caterina II di Russia.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.