Il saggio prende in esame memoirs e romanzi scritti da 'Japanese-Americans' che, all'epoca della sconda guerra mondiale, vennero rinchiusi in campi disumani, di volta in volta definiti ‘di transito’, ‘di assembramento’, di ‘ricollocamento’, ‘di internamento’ . L'internamento viene imposto all’intero nucleo familiare a partire dal 19 febbraio 1942 per effetto dell’Executive Order 9066, firmato dal Presidente Roosevelt. Si tratta, dunque, di una discriminazione etnico-razziale che, implicitamente, porta ad una sorta di tipizzazione del ‘nemico’ fondata sulla costruzione di una idea di alterità (razziale) e di pericolosità funzionale più alle politiche interne dell’establishment americano che giustificata dalla realtà della situazione nordamericana di quegli anni, anche dopo Pearl Harbour. Per interpretare il segno lasciato sulla società americana dalle tracce letterarie scritte dai Japanese-Americans dopo Pearl Harbour, si utilizza la controversa teoria del sociologo americano J. Alexander, secondo la quale, nel secondo novecento si assiste alla universalizzazione del dramma dell’olocausto nel mondo occidentale, un processo che connota la costruzione e la definizione di bene e di male e, implicitamente, di moralità, così come pure illumina sui meccanismi che controllano la costruzione simbolica che trasporta e fissa tali concetti nell’immaginario e nella memoria dei singoli e dei gruppi sociali.

Strani transiti: tracce letterarie dei Japanese-Americans dopo Pearl Harbour

LAMBERTI, ELENA
2008

Abstract

Il saggio prende in esame memoirs e romanzi scritti da 'Japanese-Americans' che, all'epoca della sconda guerra mondiale, vennero rinchiusi in campi disumani, di volta in volta definiti ‘di transito’, ‘di assembramento’, di ‘ricollocamento’, ‘di internamento’ . L'internamento viene imposto all’intero nucleo familiare a partire dal 19 febbraio 1942 per effetto dell’Executive Order 9066, firmato dal Presidente Roosevelt. Si tratta, dunque, di una discriminazione etnico-razziale che, implicitamente, porta ad una sorta di tipizzazione del ‘nemico’ fondata sulla costruzione di una idea di alterità (razziale) e di pericolosità funzionale più alle politiche interne dell’establishment americano che giustificata dalla realtà della situazione nordamericana di quegli anni, anche dopo Pearl Harbour. Per interpretare il segno lasciato sulla società americana dalle tracce letterarie scritte dai Japanese-Americans dopo Pearl Harbour, si utilizza la controversa teoria del sociologo americano J. Alexander, secondo la quale, nel secondo novecento si assiste alla universalizzazione del dramma dell’olocausto nel mondo occidentale, un processo che connota la costruzione e la definizione di bene e di male e, implicitamente, di moralità, così come pure illumina sui meccanismi che controllano la costruzione simbolica che trasporta e fissa tali concetti nell’immaginario e nella memoria dei singoli e dei gruppi sociali.
2008
Conflitti. Strategie di rappresentazione della guerra nella cultura contemporanea
215
222
E. Lamberti
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