Sebbene il principio «chi inquina paga» possa sembrare univoco, la sua applicazione risulta nei fatti problematica: l’autorità non è sempre in grado di individuare «chi inquina» con precisione. Dinanzi ad inquinamenti a carattere diffuso, cioè con molteplici origini può essere in pratica difficile fornire la prova di una concreta condotta causativa. Di conseguenza, vari Stati – tra cui alcuni membri dell’Ue – applicano il principio «chi inquina paga» in modo poco rigido, addossando i costi delle misure di bonifica anche a operatori la cui responsabilità per il danno ambientale non è certa, e addirittura ai proprietari dei terreni contaminati, anche quando questi non hanno alcuna relazione con il danno. Tale prassi interna potrebbe trovare un ostacolo nel diritto dell’Unione, che applica il principio «chi inquina paga» in modo apparentemente più rigido: l’aver causato i danni ambientali è infatti il presupposto dell’applicazione della normativa europea a carico delle persone fisiche e giuridiche. La Corte di Giustizia ha di recente avuto modo di chiarire taluni profili di compatibilità tra normativa interna ed europea. Questo contributo analizza la giurisprudenza della Corte, al fine di verificarne l’impatto sul margine di discrezionalità di cui godono gli Stati per quanto riguarda l’attribuzione della responsabilità ambientale, e quindi sull’efficacia delle misure che essi possono legittimamente adottare.
Mauro Gatti (2017). Paga (solo) chi inquina? L’attribuzione della responsabilità ambientale nella giurisprudenza della Corte di giustizia. Bologna : Maggioli.
Paga (solo) chi inquina? L’attribuzione della responsabilità ambientale nella giurisprudenza della Corte di giustizia
Mauro Gatti
2017
Abstract
Sebbene il principio «chi inquina paga» possa sembrare univoco, la sua applicazione risulta nei fatti problematica: l’autorità non è sempre in grado di individuare «chi inquina» con precisione. Dinanzi ad inquinamenti a carattere diffuso, cioè con molteplici origini può essere in pratica difficile fornire la prova di una concreta condotta causativa. Di conseguenza, vari Stati – tra cui alcuni membri dell’Ue – applicano il principio «chi inquina paga» in modo poco rigido, addossando i costi delle misure di bonifica anche a operatori la cui responsabilità per il danno ambientale non è certa, e addirittura ai proprietari dei terreni contaminati, anche quando questi non hanno alcuna relazione con il danno. Tale prassi interna potrebbe trovare un ostacolo nel diritto dell’Unione, che applica il principio «chi inquina paga» in modo apparentemente più rigido: l’aver causato i danni ambientali è infatti il presupposto dell’applicazione della normativa europea a carico delle persone fisiche e giuridiche. La Corte di Giustizia ha di recente avuto modo di chiarire taluni profili di compatibilità tra normativa interna ed europea. Questo contributo analizza la giurisprudenza della Corte, al fine di verificarne l’impatto sul margine di discrezionalità di cui godono gli Stati per quanto riguarda l’attribuzione della responsabilità ambientale, e quindi sull’efficacia delle misure che essi possono legittimamente adottare.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.