Parlare del quartiere come di una possibile chiave di lettura del paesaggio sociale e urbano italiano può apparire anacronistico, oggi che cinema, letteratura, nonché critica d’architettura hanno bellamente allontanato non solo il quartiere, ma l’idea stessa della città, dalla scena del vissuto quotidiano. L’idea della città densa, fatta di componenti che erano i quartieri, intesi come parte urbana con una propria identità, seppure a volte indecorosa e perché no indecente, si è liquefatta, sostituita da forme insediative indistinte, conurbazioni interregionali, o interpretate come tali, lungo gli assi infrastrutturali. Melassa che consuma il territorio come vuoto a perdere, in cui l’italica vocazione ad arrangiarsi riconosce nuove opportunità di flessibilità e integrazione. È a fronte di questa tendenza che cancella ogni prospettiva di futuro collettivo al territorio, che il quartiere torna ad avere una sua dignità, persino epica, nel tentativo di costituire l’ultima forma di possibile mediazione fra la progettazione ‘scientifica’ della scena urbana e l’auto-produzione demandata ai furbetti (non a caso detti ‘del quartierino’). Obiettivo di questo saggio è di affiancare alla narrazione iconografica che si dispiega lungo le pareti dello spazio del Padiglione italiano alla Biennale Architettura 2008 – ove si intrecciano, criticamente, la città, il quartiere, la casa collettiva –, una riflessione sulle modalità con cui la cultura architettonica italiana ha risposto, nell’arco di circa cinquant’anni, alle occasioni che la progettazione della casa per il grande numero le ha offerto. Con due divagazioni finali: l’una rivolta all’emblematica esperienza di Ivrea, microcosmo dell’utopia olivettiana del buongoverno urbano, l’altra indirizzata a segnalare la vitalità del design italiano nella costruzione di un nuovo paesaggio domestico.
M.Casciato (2008). Paesaggi di città, case, quartieri. MILANO : Electa Mondadori.
Paesaggi di città, case, quartieri
CASCIATO, MARISTELLA
2008
Abstract
Parlare del quartiere come di una possibile chiave di lettura del paesaggio sociale e urbano italiano può apparire anacronistico, oggi che cinema, letteratura, nonché critica d’architettura hanno bellamente allontanato non solo il quartiere, ma l’idea stessa della città, dalla scena del vissuto quotidiano. L’idea della città densa, fatta di componenti che erano i quartieri, intesi come parte urbana con una propria identità, seppure a volte indecorosa e perché no indecente, si è liquefatta, sostituita da forme insediative indistinte, conurbazioni interregionali, o interpretate come tali, lungo gli assi infrastrutturali. Melassa che consuma il territorio come vuoto a perdere, in cui l’italica vocazione ad arrangiarsi riconosce nuove opportunità di flessibilità e integrazione. È a fronte di questa tendenza che cancella ogni prospettiva di futuro collettivo al territorio, che il quartiere torna ad avere una sua dignità, persino epica, nel tentativo di costituire l’ultima forma di possibile mediazione fra la progettazione ‘scientifica’ della scena urbana e l’auto-produzione demandata ai furbetti (non a caso detti ‘del quartierino’). Obiettivo di questo saggio è di affiancare alla narrazione iconografica che si dispiega lungo le pareti dello spazio del Padiglione italiano alla Biennale Architettura 2008 – ove si intrecciano, criticamente, la città, il quartiere, la casa collettiva –, una riflessione sulle modalità con cui la cultura architettonica italiana ha risposto, nell’arco di circa cinquant’anni, alle occasioni che la progettazione della casa per il grande numero le ha offerto. Con due divagazioni finali: l’una rivolta all’emblematica esperienza di Ivrea, microcosmo dell’utopia olivettiana del buongoverno urbano, l’altra indirizzata a segnalare la vitalità del design italiano nella costruzione di un nuovo paesaggio domestico.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.