Come ricordava Paul Oskar Kristeller, «l’opinione spesso ripetuta che l’umanesimo rinascimentale ebbe origine e si sviluppò al di fuori delle università è errata o perlomeno gravemente esagerata». In effetti, alcune università italiane riservarono un’attenzione assai precoce agli studia humanitatis: accanto agli Studia di Bologna, Siena, e Firenze, non mancarono quelli di Padova e di Pavia. Queste due sedi rientravano in pieno fra gli undici Studi generali che lo storico canadese Paul F. Grendler, cui si deve a oggi la miglior sintesi sulla storia delle università nel rinascimento, individua alla fine del XV secolo, come detentori del diritto di creare dottori, ottenuto dal papa e/o dall’imperatore, ma che erano in grado di garantire uno standard didattico minimo basato su almeno tre «facoltà» (diritto, medicina e arti) e su sei-otto docenti. Vero è tuttavia che un’organizzazione “leggera”, quasi volatile, com’era uno Studium, aggregazione di docenti e studenti, appariva in balia delle condizioni circostanti; pativa immediatamente le ristrettezze delle risorse destinate agli scopi bellici e il venir meno delle condizioni di sicurezza che garantivano le peregrinationes, sia dei docenti che degli studenti. Mettere in relazione due sedi universitarie padane di antica tradizione come Padova (1222) e Pavia (1361) consente tuttavia di seguire parallelamente il sorgere, nel clima umanistico, degli stimoli riformatori, in ambito religioso e morale, negli ambienti intellettuali del tempo. Questo itinerario, nei decenni rinascimentali, si divaricò portando a esiti ben diversi: per Padova, sotto l’occhio vigile della Repubblica di Venezia, venne confermato il vanto della sua Patavina libertas anche nella sfera religiosa, mentre Pavia, pedina del Milanesado nello scacchiere ispano-asburgico, si dimostrò una salda roccaforte controriformistica con l’erezione dei collegi Borromeo e Ghislieri.

Fermenti riformatori nelle università italiane tra XV e XVI secolo: i casi di Padova e Pavia

Simona Negruzzo
2019

Abstract

Come ricordava Paul Oskar Kristeller, «l’opinione spesso ripetuta che l’umanesimo rinascimentale ebbe origine e si sviluppò al di fuori delle università è errata o perlomeno gravemente esagerata». In effetti, alcune università italiane riservarono un’attenzione assai precoce agli studia humanitatis: accanto agli Studia di Bologna, Siena, e Firenze, non mancarono quelli di Padova e di Pavia. Queste due sedi rientravano in pieno fra gli undici Studi generali che lo storico canadese Paul F. Grendler, cui si deve a oggi la miglior sintesi sulla storia delle università nel rinascimento, individua alla fine del XV secolo, come detentori del diritto di creare dottori, ottenuto dal papa e/o dall’imperatore, ma che erano in grado di garantire uno standard didattico minimo basato su almeno tre «facoltà» (diritto, medicina e arti) e su sei-otto docenti. Vero è tuttavia che un’organizzazione “leggera”, quasi volatile, com’era uno Studium, aggregazione di docenti e studenti, appariva in balia delle condizioni circostanti; pativa immediatamente le ristrettezze delle risorse destinate agli scopi bellici e il venir meno delle condizioni di sicurezza che garantivano le peregrinationes, sia dei docenti che degli studenti. Mettere in relazione due sedi universitarie padane di antica tradizione come Padova (1222) e Pavia (1361) consente tuttavia di seguire parallelamente il sorgere, nel clima umanistico, degli stimoli riformatori, in ambito religioso e morale, negli ambienti intellettuali del tempo. Questo itinerario, nei decenni rinascimentali, si divaricò portando a esiti ben diversi: per Padova, sotto l’occhio vigile della Repubblica di Venezia, venne confermato il vanto della sua Patavina libertas anche nella sfera religiosa, mentre Pavia, pedina del Milanesado nello scacchiere ispano-asburgico, si dimostrò una salda roccaforte controriformistica con l’erezione dei collegi Borromeo e Ghislieri.
2019
Verso la Riforma. Criticare la chiesa, riformare la chiesa (XV-XVI secolo)
75
99
Simona Negruzzo
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